Paolo Soro

Pianificazione fiscale internazionale

L’internazionalizzazione delle PMI, specie oggigiorno, si sviluppa obbligatoriamente attraverso un’attenta attività di pianificazione tributaria e previdenziale (prima ancora che economica e finanziaria), rispettosa dei principi concernenti l’abuso del diritto e l’elusione fiscale.

Qualunque strategia di internazionalizzazione non può prescindere da una preventiva analisi relativa alle potenziali connesse ipotesi di pianificazione fiscale. Da un lato, infatti, appare evidente che la differente incidenza del carico impositivo determini il risultato finale dell’esercizio sociale e, dunque, condizioni le eventuali scelte imprenditoriali: imposte, tasse e contributi, nel bilancio, sono voci di costo che influenzano l’utile (ovvero la perdita) finale di bilancio. Per contro, però, la normativa – sia nazionale che internazionale – non consente di predisporre delle operazioni che siano, di fatto, fondate esclusivamente (o quasi) sui ritorni di carattere tributario, senza l’esistenza di concrete e non marginali ragioni economiche (extra-fiscali): l’Agenzia delle Entrate parla di “genuinità” delle operazioni messe in atto.

Ciò premesso, peraltro, nessuna norma di sicuro obbliga l’imprenditore a scegliere, fra più alternative, quella che implichi la maggiore tassazione. Anzi, al di là delle ovvie motivazioni concernenti il generale risparmio, non di rado potrà accadere che solo attraverso quella particolare opzione che consenta di razionalizzare il carico fiscale e contributivo, l’azienda interessata risulterà essere davvero in condizione di sviluppare un vantaggioso programma di internazionalizzazione.

Ed ecco, allora, che l’attività di pianificazione fiscale internazionale diventa prioritaria per quelle aziende – in special modo, le PMI – che desiderino concretamente intraprendere dei percorsi di internazionalizzazione. Ma che cosa si intende con “pianificazione fiscale internazionale”?

Ebbene, la pianificazione fiscale internazionale si basa su quell’insieme di studi sul diritto tributario, previdenziale e societario, vigenti nelle varie nazioni, e si concretizza nella realizzazione di framework fiscali che ci consentano di razionalizzare la nostra libera iniziativa economica privata, conseguendone il maggior volume di profitti, senza peraltro azionare alcuna illecita pratica tributaria.

La realizzazione del migliore risultato economico globale è obiettivo insito in ogni operazione che ciascuno di noi si appresta a effettuare. Nel momento stesso in cui, dovendo acquistare un bene o richiedere un servizio, opto per una transazione internazionale online presso un particolare Paese, anziché andare a comprare nel negozio sotto casa, sto di fatto compiendo un’azione che deriva da una precedente attività di pianificazione internazionale economica: scelgo il fornitore, il canale di approvvigionamento e il sistema di pagamento più convenienti in base alle mie personalissime esigenze.

Analogamente, il pensionato italiano che, improvvisamente, opta per emigrare in Portogallo, sta compiendo un’azione che deriva da una preventiva attività di pianificazione fiscale e previdenziale, in funzione della quale sceglie la nazione di interesse, non tanto o solo in base a personali preferenze afferenti lo stile di vita (rectius, il “mercato” di interesse), quanto soprattutto in funzione dei particolari vantaggi fiscali e previdenziali che gli permettono di conseguire un introito enormemente maggiore rispetto a quello di cui gode oggigiorno in Italia.

In ogni caso, onde comprendere meglio la questione, forniamo subito una serie di esempi di pianificazione fiscale assolutamente lecita: ovverossia, fattispecie che non rappresentano né elusione, né abuso del diritto, partendo da una casistica nazionale per arrivare poi a enunciare alcune tipiche ipotesi internazionali.

In generale, si realizza un legittimo risparmio d’imposta qualora il contribuente semplicemente adotti soluzioni, percorsi giuridici, od opzioni cui il sistema espressamente accorda un trattamento fiscale di maggior favore rispetto ad altri, sostanzialmente equivalenti, per effetti economici e/o giuridici conseguibili. In pratica, quando è il sistema stesso a offrire un’alternativa fiscalmente più vantaggiosa, la scelta del contribuente non può essere censurata. Il vantaggio fiscale che ne consegue diviene, infatti, semplicemente un vantaggio offerto dal sistema; ergo, non contrario a esso. D’altronde, se il Legislatore ha deciso di “favorire” talune tipologie di operazioni rispetto ad altre, rendendole più attraenti dal punto di vista del risparmio tributario, evidentemente si deve ritenere che auspicasse per le stesse un maggiore grado di accoglimento nella platea dei contribuenti. In conclusione, si può affermare che si realizza un legittimo risparmio d’imposta ogniqualvolta il contribuente utilizzi gli strumenti messi a disposizione dall’ordinamento, i quali gli consentano di ottenere un minore onere tributario.

Ecco alcuni degli esempi maggiormente frequenti nella pratica nazionale:

-          la trasformazione societaria finalizzata al conseguimento di una minore imposizione;

-          la scelta di condurre la propria attività con il veicolo della società di capitali, anziché sotto forma di impresa individuale, onde beneficiare dell’aliquota proporzionale fissa in luogo di quelle progressive per scaglioni (a parte la nuova IRI 2017);

-          l’acquisizione di partecipazioni per raggiungere il requisito soggettivo che consenta la predisposizione del bilancio consolidato domestico, approfittando così dei connessi vantaggi contabili e fiscali a livello di gruppo nazionale;

-          l’opzione tra la cessione dell’azienda e la cessione delle partecipazioni;

-          l’opzione tra la cessione dell’immobile, ovvero della società che lo detiene;

-          l’opzione tra il finanziamento basato sul capitale proprio e quello di debito;

-          la scelta del periodo d’imposta nel quale incassare proventi o pagare spese;

-          la misura degli ammortamenti, degli accantonamenti e di tutte le altre valutazioni di bilancio, da calcolare e applicare in funzione delle differenti possibilità dettate dalla normativa tributaria;

-          la scelta, onde dar luogo all’estinzione di una società, di procedere a una fusione anziché alla liquidazione della stessa, ovvero ancora a un conferimento d’azienda (operazioni fiscalmente neutre, come noto);

-          la scelta del commercialista che intesta l’immobile dello studio alla propria società di servizi, con quest’ultima che poi “ribalta” gli oneri dello stesso immobile al professionista (o, viceversa);

-          la cessione delle partecipazioni dopo la scissione del ramo immobiliare e la scissione non proporzionale o asimmetrica;

-          la trasformazione di una società in un’altra con un minore carico impositivo, ovvero la riorganizzazione partecipativa nell’ambito del gruppo per fruire del consolidato fiscale.

E gli esempi potrebbero essere ancora tanti…

Particolarmente significative, al riguardo, due recentissime risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate, che pare senz’altro utile segnalare:

-          Con la risoluzione N. 101/E/2016, è stato ritenuto perfettamente legittimo il comportamento di una società che, detenendo anche beni non rientranti nella trasformazione agevolata di cui alla Legge 208/2015, ha dapprima effettuato la scissione parziale, mantenendo in capo alla società scissa i beni non agevolati, e poi ha provveduto alla trasformazione in società semplice della beneficiaria, fruendo dei vantaggi fiscali previsti.

-          Con la risoluzione N. 93/E/2016, è stato precisato, sempre in tema di assegnazione agevolata, che se una società, di fronte a dei promissari acquirenti di un immobile di proprietà della società stessa, anziché provvedere all’alienazione (conseguendo delle rilevanti plusvalenze), lo assegna prima ai soci (fruendo della tassazione agevolata sostitutiva dell’8 per cento), e poi gli stessi soci provvedono alla cessione del fabbricato ai precedenti promissari acquirenti della società al valore “di carico” conseguente all’assegnazione, si realizza un’ipotesi di legittimo risparmio d’imposta.

Passando in campo internazionale, un’ordinaria attività di pianificazione fiscale parte dalla scelta del Paese in cui localizzare il business e la sede effettiva: detta scelta dovrà – senza dubbio – tenere conto del mercato esistente in funzione del particolare tipo di lavoro che si vuole sviluppare; ma non potrà nel contempo prescindere dall’esame del contestuale carico fiscale ivi previsto. Sarà, infatti, per me, maggiormente conveniente posizionare la mia azienda dove presumo di raggiungere un margine operativo lordo pari a 100, con un’imposizione globale al 15%; anziché agire in una regione che mi potrebbe far maturare un EBITDA = 200, ma con una pressione fiscale globale superiore al 60%. Anche perché, indubitabilmente, i tributi fluttuano proporzionalmente meno, rispetto agli andamenti economici dei vari mercati (soprattutto, oggigiorno).

Sempre restando nel campo fiscale, ulteriori elementi di basilare importanza nella scelta del Paese sono, poi, quelli concernenti:

-          l’eventuale appartenenza a organizzazioni internazionali (UE, OCSE, G20);

-          il tipo di Modello Convenzionale adottato;

-          il numero di Trattati Bilaterali e Multilaterali contro le doppie imposizioni in essere (nonché, i Paesi interessati);

-          la funzionalità operativa concreta delle MAP;

-          lo stato dell’arte attuale e quello presumibile nell’immediato futuro relativamente al common reporting standard;

-          il sistema interno di adempimenti e verifiche fiscali e previdenziali;

-          gli indirizzi di politica tributaria e il grado di stabilità della normativa (a esempio, se si prevedono variazioni nel breve/medio termine).

Dopo di che, operata la scelta-Paese, occorrerà valutare la forma societaria più consona per l’operazione economica che si vuole fare, nuovamente comparando i differenti carichi tributari, in funzione anche di una soggettiva graduatoria di priorità più completa. Per esempio: se voglio localizzare un’attività di trading a Dubai, dovrei optare per una LLC (Limited Liability Company); ma tale veicolo societario mi obbliga ad avere un socio locale cui deve andare almeno il 51% della proprietà. Per alcuni, allora, sarà preferibile costituire una locale Free Zone Entity (ossia, una società off-shore), il cui capitale può restare al 100% in proprietà a non-residenti, e poi magari stipulare una joint venture con altra società che opera in mainland (ossia, all’interno di tutto il territorio e non solo nelle zone franche), dotata di una licenza di general trading. In tale caso, nulla o quasi muta da un punto di vista fiscale, ma intervengono altre rilevanti considerazioni personali che appare imperativo analizzare e pianificare prima di internazionalizzarsi a Dubai.

Un altro esempio tipico che richiede un’attenta attività preventiva di pianificazione fiscale internazionale, è senz’altro il trust: noto rapporto giuridico che consente di conseguire molteplici vantaggi in una diversità di campi; che, però, va “cucito su misura” in base alle necessità e agli obiettivi propri di ciascun disponente, onde – prima di tutto – essere in grado di optare per la legge regolatrice più consona al caso di interesse (considerate le tante normative internazionali esistenti al riguardo). Per esempio, laddove i miei interessi siano legati alla gestione di partecipazioni in società multinazionali straniere, potrebbe diventare particolarmente utile la costituzione di un trust internazionale a Cipro, regolato dalla legge inglese: il disponente potrebbe essere anche il beneficiario effettivo; ma, scegliendo la discrezionalità, il trust in questione (in quanto classificato come passive financial entity), in ossequio alla vigente normativa, non sarebbe nemmeno soggetto al common reporting standard per tutta la sua durata, fino all’attribuzione finale ai beneficiari dei beni costituenti il fondo in trust.

Altro esempio di pianificazione fiscale internazionale è, inoltre, quello concernente la realizzazione della c. d. “double structure” maltese (trading / holding), la quale consente, a determinate condizioni, di maturare in capo agli effettivi proprietari “non-resident” rimborsi fiscali in funzione delle imposte previamente corrisposte dalle società controllate.

O, ancora, i vantaggi fiscali (e, soprattutto, relativi ai costi del personale) connessi alla localizzazione di particolari nuove attività alle Isole Canarie; beninteso, purché siano ivi effettivamente esistenti e operino in uno di quei particolari settori di vantaggio per il territorio, specificatamente individuati dal governo spagnolo. Il tutto, sempre per parlare di territori UE, con libera circolazione del lavoro e dei lavoratori, assenza di vincoli e dazi doganali, e ogni altra semplificazione di carattere fiscale e contrattuale; senza per forza andare a ricadere nelle eclatanti – potenzialmente elusive – fattispecie irlandesi, esaminate nel precedente capitolo.

Insomma, un’oculata attività di pianificazione fiscale internazionale appare fondamentale per tutte quelle PMI che intendano intraprendere un’ottimale percorso di internazionalizzazione. Fermo restando che, alla fin fine, l’imprenditore che ha realmente intenzione di trasferire il centro dei propri affari all’estero, sarà particolarmente attento a valutazione esclusivamente soggettive di ben altra matrice, quali:

-          Localizzazione geografica

-          Qualità generale della vita

-          Moneta in vigore

-          Lingua ufficiale e altre eventuali lingue parlate

-          Usanze religiose

-          Cibo

-          Attività industriali e commerciali in essere

-          Sicurezza del Paese

-          Relazioni sociali

-          Bellezze naturali

-          Patrimonio artistico e culturale

-          Intrattenimenti e svaghi

-          Sistema bancario e finanziario

-          Sistema scolastico ed educativo

-          Funzionamento della giustizia e dell’ordine pubblico

-          Costi complessivi contenuti

-          Mercato stabile e in continua crescita economica

-          Settore immobiliare

-          Turismo

-          Effettivo e immediato controllo diretto sulle società in ogni momento, senza necessità di intermediari-filtro

-          Facilità di spostamenti all’interno del Paese e all’estero

-          Infrastrutture esistenti

-          Garanzie di carattere giuridico sull’amministrazione locale

-          Welfare e sistema sanitario

-          Grado di professionalità dei consulenti locali

-          Facilità di reperimento di manodopera qualificata

-          Densità della popolazione e livello quantitativo e qualitativo della domanda

-          Tipologia dei competitor e possibilità di dialogo e/o di partnership

-          Facilità di rapportarsi con le istituzioni locali pubbliche e private

-          Burocrazia esistente

-          Possibilità di ampia scelta negli scenari concernenti eventuali ulteriori investimenti futuri

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