Paolo Soro

Lotta aperta tra Svizzera e USA

Dopo il rifiuto di fornire i dati dei cittadini americani all’IRS (Internal Revenue Service), vale a dire l’Agenzia delle Entrate statunitense, anche la Svizzera si accoda al coro degli altri Stati che giudicano gli Stati Uniti per quello che sono: ovverossia, un Paese non collaborativo e dunque da considerare fuori della white list.

La privacy dei consulenti fiscali svizzeri di clienti americani è sacra e quindi niente informazioni all'IRS (Internal Revenue Service; Agenzia delle Entrate statunitense) e al Dipartimento di Giustizia americana, che quindi rimangono a bocca asciutta.

Il 5 ottobre 2016, infatti, il Tribunale Federale svizzero ha deciso di proibire la divulgazione dei nomi di due avvocati che avevano gestito, in quanto rappresentanti autorizzati, i conti correnti della banca per dei clienti americani, e di uno studio legale, che aveva portato all'istituto di credito i clienti statunitensi.

La conclusione è andata a confermare quanto era stato già stato deciso il 22/9/2016 della Corte Commerciale da Zurigo. E ha, di conseguenza, rigettato l'appello della banca coinvolta.

La Banca ticinese partecipa al programma, «non-prosecution agreements or non-target letters for Swiss banks» (accordo firmato il 29 agosto 2013, tra la Svizzera e gli USA, con l'obiettivo di mettere fine al contenzioso fiscale tra le banche elvetiche e gli Stati Uniti), imposto dall'IRS e dal Dipartimento di Giustizia americana.

La banca voleva fornire alle autorità statunitensi i nomi dei due avvocati svizzeri che avevano gestito i conti dei clienti americani e il nome dello studio legale che li aveva introdotti nell'istituto di credito.

Il Tribunale Federale ha, però, concluso che non è possibile consegnare i dati personali all'autorità statunitense, perché il livello di protezione delle informazioni negli USA è considerato insufficiente ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, LDP, della Legge Federale sulla protezione dei dati.

Nonostante ciò, però, si sarebbero potuti condividere i dati se si fosse posto il problema della salvaguardia di un interesse pubblico prevalente (ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 2, LDP). Situazione non dimostrata secondo la Corte.

In aggiunta a ciò, secondo il Tribunale Federale svizzero, il passaggio dei dati si sarebbe potuto verificare se in assenza di ciò si fosse intensificato, nuovamente, il contenzioso fiscale tra gli Stati Uniti e la Svizzera.

A livello di governo federale, inoltre, la Svizzera non sostiene più la scelta americana di non voler sottoscrivere il CRS (Common Reporting Standard) dell'OCSE.

Prima delle prese di posizione dei singoli Paesi, la non scelta americana era stata giudicata in modo non positivo sia dall'OCSE che dall'Unione europea.

E si era paventata l'ipotesi di voler inserire gli Stati Uniti d'America nelle future liste dei Paesi non collaborativi.

Ebbene, pochi giorni fa, la Svizzera si è unita al coro generale, dichiarando che gli Stati Uniti sono ormai esclusi dalla definizione di Paese collaborativo, secondo la normativa elvetica.

Affermazione che segue quella fatta dal Lussemburgo a luglio.

D'altra parte il comportamento svizzero non stupisce più di tanto, viste le pressioni americane nei confronti del Paese elvetico, legate alla questione concernente l’evasione fiscale dei contribuenti americani.

Resta il fatto che definire gli Stati Uniti come Paese non collaborativo (dunque, fuori dalla white list) è perfettamente coerente con la realtà dei fatti e, semmai, non si comprende per quale motivo, fino a ora, non sia già stato fatto, considerata l’evidente disparità di trattamento con gli altri Stati per i quali tale classificazione è stata regolarmente ufficializzata da tempo.

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