Paolo Soro

Normativa black list 2015: l’Agenzia riscrive la legge

A quattro giorni dalla scadenza, l’Agenzia dirama una circolare in materia di costi black list relativi al 2015 che, in alcuni punti, non convince e – tanto per cambiare – pare andare ben oltre la mera funzione interpretativa, riscrivendo di fatto le norme di legge. Le bacchettate ricevute a livello internazionale, evidentemente, non son servite: il lupo perde il pelo, ma non il vizio.

La necessità di ridisegnare la normativa interna in funzione delle richieste giunte in sede OCSE/G20, ha messo a dura prova la capacità legislativa di molti Paesi membri. L’Italia, ai cui governanti certo non fa difetto l’incapacità di scrivere leggi semplici e chiare, non poteva smentire la propria fama.

I tecnici del ministero (rectius, Agenzia delle Entrate), ancora alle prese con la mancata emanazione della white list prevista dalla finanziaria per l’anno 2008 (che di fatto ha lasciato inalterate in proposito le indicazioni fornite dal lontano DM 23.01.2002), sono riusciti a partorire, nel giro di un anno, una serie di norme contraddittorie fra di loro che hanno creato una matassa impossibile da sbrogliare anche per chi l’aveva imbastita fin dall’inizio.

Ci riferiamo alle modifiche introdotte con la Legge di Stabilità per il 2015, con i Decreti Ministeriali intervenuti nel corso dello stesso 2015, col Decreto Crescita e Internazionalizzazione del settembre 2015, fino ad arrivare alla Legge di Stabilità per il 2016. Tutta una serie di norme che hanno a più riprese variato i criteri di detrazione dei costi concernenti le operazioni intercorse con soggetti residenti nei territori black list, nonché l’individuazione stessa di questi Stati e la loro elencazione, prevedendo diverse scadenze afferenti l’entrata in vigore di tali differenti disposizioni di legge.

Per dirla alla maniera dantesca, il risultato è stata un’oscura selva normativa, in cui: lasciate ogni speranza, o voi che entrate.

Ma, niente paura: quegli stessi tecnici hanno pensato bene (come sempre, quasi sotto il suono del gong) di fornire la loro interpretazione “autentica”, riuscendo – se possibile – a superare sé stessi e ingarbugliare ancor di più quelle pochissime certezze che sembravano rimaste.

Assai facile, a questo punto, prevedere una serie di future controversie. Più difficile immaginarne gli esiti, avuto anche riguardo alle recenti elucubrazioni giuridiche enunciate da alcuni giudici della Corte di Cassazione.

Tralasciamo il resto del contenuto della Circolare 30/E dell’Agenzia (emanata lunedì, 26 settembre 2016) e focalizziamo l’attenzione sui punti maggiormente controversi, che costringeranno non pochi di noi a rivedere alcune dichiarazioni, prima di procedere, entro venerdì 30, alla loro trasmissione telematica (fatte salve le quasi certe ipotesi di ravvedimento).

Il documento in questione ripercorre cronologicamente la modifiche normative intervenute, utilizzando il 2015 come esercizio spartiacque, e dunque rappresentando le differenze tra i periodi: ante 2015, 2015 e post 2015.

Fino al 2014 incluso, il TUIR (art. 110, commi 10, 11, 12 e 12bis) prevedeva l’indeducibilità dei costi intercorsi con i soggetti residenti nei territori black list, salva dimostrazione delle esimenti che l’impresa residente doveva fornire all’Ufficio:

  1. Concreta attività economica commerciale realmente svolta in via prevalente dalla società black list;
  2. Operazione corrispondente a un effettivo interesse economico;

e, naturalmente,

  1. Concreta ed effettiva esecuzione dell’operazione.

Già su questo, quanto meno con riferimento alla prima esimente, c’era tanto da eccepire: pretendere che il soggetto italiano sia in condizione di fornire tale prova, significa partire dal presupposto aprioristico che l’impresa residente ha una qualche forma di controllo sostanziale nascosto sul soggetto black list, anche se in realtà si tratta ufficialmente di due entità totalmente separate (ovverossia: i contribuenti sono tutti evasori, salvo prova contraria). Ma, come si dice, acqua passata non macina più.

Con la Stabilità per il 2015, è stato recepito quel principio di carattere internazionale in base al quale i costi black list vanno individuati sulla base, non del livello di tassazione ivi presente inferiore al 50% rispetto a quello italiano, ma solo sul fatto che siano in essere dei trattati internazionali (bilaterali o multilaterali) che assicurino lo scambio di informazioni. Dopo di che (visto detto articolo 1, comma 678, della legge 23 dicembre 2014, n. 190), nelle more dell'approvazione del decreto di cui all'articolo 168-bis del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, l'individuazione dei regimi fiscali privilegiati è effettuata, con decreto del Ministro dell'Economia e delle Finanze. In proposito, il ministero ha emanato:

-          Il DM 27 aprile 2015, pubblicato in G.U. n. 107 del 11 maggio 2015, che ha rimosso dalla black list i seguenti Stati: Alderney (Isole del Canale), Anguilla, ex Antille Olandesi, Aruba, Belize, Bermuda, Costarica, Emirati Arabi Uniti, Filippine, Gibilterra, Guernsey (Isole del Canale), Herm (Isole del Canale), Isola di Man, Isole Cayman, Isole Turks e Caicos, Isole Vergini britanniche, Jersey (Isole del Canale), Malesia, Mauritius, Montserrat, Singapore;

-          Il DM 18 novembre 2015, pubblicato in G.U. n. 279 del 30 novembre 2015, che ha espunto dalla black list anche Hong Kong.

Orbene, pare evidente che:

  1. Tali decreti servono solo a identificare i territori ai quali va applicata la normativa sancita dalla precedente Stabilità a decorrere dal giorno 01.01.2015;
  2. Il compito del ministero era solo quello di ufficializzare tutti quei Paesi che, alla data di riferimento, avevano già in essere degli accordi tali da ricadere nella previsione della citata Legge di Stabilità, onde per cui, se al 1° gennaio 2015 l’accordo era operativo, la disposizione in parola va applicata con la decorrenza dalla stessa prescritta (invero, sarebbe stato impossibile pensare che, dalla data di approvazione della Stabilità – 23 dicembre – alla data di emanazione e pubblicazione in GU dei conseguenti decreti ministeriali, si sarebbe rientrati entro il termine del 31.12.2015).

Tali fatti – come premesso – paiono evidenti a tutti, tranne che all’Agenzia, la quale, nella sua circolare, afferma che la nuova disciplina si applica in relazione alle operazioni commerciali con gli Stati espunti dalla black list, intercorse entro il giorno precedente all’entrata in vigore del rispettivo decreto ministeriale. Più precisamente, i costi derivanti da operazioni con soggetti localizzati nei seguenti Stati:

i)                    Alderney (Isole del Canale), Anguilla, ex Antille Olandesi, Aruba, Belize, Bermuda, Costarica, Emirati Arabi Uniti, Filippine, Gibilterra, Guernsey (Isole del Canale), Herm (Isole del Canale), Isola di Man, Isole Cayman, Isole Turks e Caicos, Isole Vergini britanniche, Jersey (Isole del Canale), Malesia, Mauritius, Montserrat, Singapore, rientrano nell’ambito applicativo della disciplina in esame se sostenuti entro il 10 maggio 2015;

ii)                  Mentre, per Hong Kong, se sostenuti fino al 29 novembre 2015.

Così calpestando il dato sostanziale, si vanno a creare situazioni complicatissime e, dal lato pratico, assai difficilmente gestibili, dovendo innanzitutto identificare esattamente cosa la stessa Agenzia intenda per “costi sostenuti”: La data di emissione delle fatture? La data di effettivo pagamento? E, se i pagamenti sono avvenuti a rate a cavallo del giorno indicato dall’Agenzia, cosa succede? E se abbiamo più operazioni svolte sia prima che dopo tale data nei confronti dello stesso soggetto (black list fino al 10 maggio e white list a partire dall’11 maggio)?

Auspicabile, dunque, che l’Agenzia emani ora una nuova circolare interpretativa per interpretare quello che lei stessa ha scritto.

Nel frattempo, a noi sembra che le sopra richiamate affermazioni dell’Agenzia, non interpretano, ma riscrivono la norma: posto che la legge non ha mai prescritto che la decorrenza dovesse essere quella relativa alla data di pubblicazione dei decreti ministeriali, ma ha solo dato il compito al ministero di indicare quei Paesi nei confronti dei quali si sarebbe dovuto applicare il nuovo regime dei costi black list, a decorrere dal 1° gennaio 2015.

Nel settembre del 2015, è poi intervenuto il Decreto Crescita e Internazionalizzazione provvedendo a ridimensionare (a decorrere dallo stesso periodo d’imposta 2015 – beninteso, salvo che anche qui non intervenga una qualche differente “interpretazione”… a questo punto, tutto è possibile) le esimenti prima elencate, e stabilendo che la deducibilità della parte dei costi black list che eccede il “valore normale” è possibile in presenza della sola esimente relativa all’effettivo interesse economico (oltre, evidentemente, la concreta ed effettiva esecuzione dell’operazione); fermo, però, restando l’obbligo di separata indicazione nel Modello Unico di competenza.

Infine, con l’ultima Legge di Stabilità per il 2016, il Legislatore, sempre in ossequio ai dettami OCSE / G20, ha abrogato i commi da 10 a 12-bis dell’articolo 110 del TUIR, eliminando così la disciplina fiscale riservata ai costi black list; con la conseguenza che, alle spese e agli altri componenti negativi di reddito derivanti da operazioni intercorse con imprese o professionisti residenti, ovvero localizzati in Stati o territori a fiscalità privilegiata, è stato restituito il regime generale di deducibilità, cui soggiacciono – in via generale – tutti i componenti negativi di reddito.

Sarebbe lecito domandarsi perché quest’ultima previsione contenuta nella Legge di Stabilità non sia stata sin dall’inizio inserita nel Decreto Crescita e Internazionalizzazione, atteso che detto decreto è stato licenziato quando la normativa da inserire nella successiva Stabilità era stata temporalmente già scritta. Ma, immaginiamo che presupporre un percorso legislativo semplice e chiaro sia contrario agli interessi o alle capacità del nostro sistema politico, il quale ha evidentemente capito che il caos normativo ha i suoi validi tornaconti, che di certo non sono quelli dei contribuenti e/o dei professionisti che li assistono. Come scriveva il Giusti, un gran proverbio caro al Potere dice che l’essere sta nell’avere. Soprassediamo…

Il risultato pratico è allora che, dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015, i costi black list sono deducibili per il loro intero ammontare, restando soggetti solo alle ordinarie regole di deducibilità previste per gli analoghi costi sostenuti nei confronti di qualsiasi fornitore.

A questo punto, prosegue la Circolare, un ulteriore effetto dell’abrogazione della norma in esame è la contestuale eliminazione dell’obbligo di separata indicazione nella dichiarazione dei redditi dei costi black list, così come precedentemente previsto dal comma 11, secondo periodo, articolo 110 del TUIR, e, quindi, dell’inapplicabilità della relativa sanzione in caso di mancato adempimento.

Dopo l’enunciazione di tali incontestabili postulati, però, arriva la conclusione che non ti aspetti. A parere dell’Agenzia:

“Per quanto concerne i periodi di imposta anteriori al 2016, si pone il dubbio circa l’applicabilità o meno delle sanzioni correlate alla disciplina dei costi black list.

In realtà, questo dubbio noi non l’avevamo: esiste la legge sul favor rei – N.d.R.

In particolare, la questione riguarda:

- la sanzione per la mancata separata indicazione dei costi black list nella dichiarazione dei redditi (cfr. articolo 8, comma 3-bis, del decreto legislativo n. 471 del 1997);

- la sanzione per dichiarazione infedele (cfr. articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 471 del 1997), qualora tali costi black list fossero considerati (parzialmente) indeducibili, per insussistenza dell’esimente.

Al riguardo, come recentemente affermato anche dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 6651 del 21 gennaio 2016, non assume rilevanza lo ius superveniens rappresentato dalla norma abrogativa della disciplina in esame stante l’irretroattività prevista sia, in linea generale, dall’articolo 11 delle preleggi, sia dalla specifica disciplina transitoria di cui all’articolo 1, comma 144, della legge di stabilità 2016. In particolare, si ricorda che il citato comma 144 recita testualmente: “le disposizioni di cui ai commi 142 e 143 si applicano a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015”.

In virtù di tale disciplina transitoria non può essere invocato neanche il principio del favor rei, previsto nel nostro sistema tributario nell’ambito delle disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie.

Dall’esame del comma 2 dell’articolo 3 del d.lgs. n. 472 del 1997, si evince che il principio generale del favor rei può essere derogato dal legislatore con una espressa previsione di legge. Tale possibilità di deroga, infatti, è enunciata nell’incipit del predetto comma 2 in cui si dispone: salvo diversa previsione di legge.

Con riferimento alla disciplina in esame, la suprema Corte ha confermato l’esercizio di tale potere di deroga da parte del legislatore, prevedendo l’irretroattività delle norme più favorevoli.

Pertanto, con riferimento ai periodi d’imposta precedenti al 2016, si ritiene che potranno essere applicate sia la sanzione prevista per l’omessa separata indicazione dei costi black list, sia la sanzione per dichiarazione infedele qualora tali costi fossero considerati indeducibili (o parzialmente indeducibili), in assenza dell’esimente.”

Pur con tutta la più buona volontà, appare davvero impossibile condividere tali affermazioni: ci troviamo di fronte, nuovamente, a una riscrittura della legge, sia da parte dell’Agenzia che da parte della Cassazione. Se tali soggetti vogliono avocare a sé il potere legislativo, hanno due sole opzioni: o aspettano che venga cambiata la Costituzione della Repubblica, o si candidano al Parlamento, si fanno eleggere e presentano le loro proposte di legge. Fino a che ciò non accade, si devono mettere l’anima in pace e limitarsi a svolgere il proprio compito istituzionale che non consente loro di scrivere delle norme di legge, né tanto meno di stravolgere quelle in vigore.

Davvero, non si comprende che cosa c’entri la doverosa previsione di cui alla Legge di Stabilità relativamente all’entrata in vigore delle nuove disposizioni in materia di costi black list, con l’inapplicabilità del principio del favor rei.

Qualunque normativa ha l’onere, sia di indicare la propria decorrenza, che di non consentirne la retroattività (ci mancherebbe!). E proprio quel: “salvo diversa previsione di legge”, caro giudice estensore della citata Cassazione 6651/2016, significa che una mancata applicazione del favor rei imponga l’obbligo al Legislatore di scrivere tale eccezionale provvedimento, in maniera espressa. Vale a dire, qualcosa del tipo: per questa particolare norma non opera il principio del favor rei.

Se tale originale nuovo teorema giuridico del giudice in questione avesse un qualche fondamento di correttezza, il principio del favor rei non potrebbe operare mai: l’irretroattività di una nuova norma – come detto – è di regola sempre prevista.

In sostanza, ci troviamo di fronte a due contrastanti applicazioni dello stesso principio di diritto:

-          Da una parte, l’Agenzia delle Entrate e (una sentenza della) Corte di Cassazione;

-          Dall’altra, una Legge dello Stato.

Quale prevarrà tra le suddette fonti?

Onde avere un’autorevole conferma, abbiamo rintracciato il nostro vecchio professore di diritto dell’università, il quale ci ha confermato che non esiste dubbio alcuno al riguardo. Peraltro, presumiamo, che anche i Colleghi non ne avessero affatto…

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