Se qualcuno aveva ancora dubbi sul fatto che il segreto bancario si sta trasformando sempre più velocemente nel suo esatto contrario, quello che è successo negli ultimi giorni dovrebbe farglieli superare del tutto. Da una parte il tribunale federale svizzero, ribaltando completamente l’orientamento espresso in primo grado, ha acconsentito alla richiesta di gruppo dell’amministrazione finanziaria olandese sui clienti Ubs, certificando così, nei fatti, che la Svizzera ha scelto in modo sempre più convinto la strada della trasparenza. Dall’altra parte anche gli staterelli che hanno fatto dell’opacità il loro asset principale devono confrontarsi con una offensiva mediatica devastante per la reputazione del paese coinvolto e dei suoi clienti: dopo i Panama paper, è adesso la volta dei Bahama records. In entrambi i casi si tratta di milioni di file riservati che, analizzati da un consorzio mondiale di giornalisti, stanno mettendo alla berlina milioni di risparmiatori, imprenditori, politici che contavano di gestire i propri business all’ombra di sistemi finora piuttosto blindati. Nell’occhio del tifone è finita giovedì scorso addirittura l’ex commissario europeo alla concorrenza, Neelie Kroes, a certificare il fatto che non si fanno trattamenti di favore per nessuno. È abbastanza ovvio per chi ha un minimo di dimestichezza con queste cose, che fenomeni di questo tipo non avvengono per caso. È evidente che dietro ci sia una regia molto potente, in grado di spostare con le buone o con le cattive equilibri internazionali sui quali si erano retti finora parecchi stati.
Per i contribuenti italiani che non abbiano approfittato della voluntary disclosure le possibilità di restare imbrigliati nella rete del fisco o in quella degli agguerriti cacciatori di evasori del Consorzio internazionale di giornalisti investigativi (IcJi) sono molto alte. Soprattutto perché l’amministrazione finanziaria di viale Cristoforo Colombo è una delle più attive nella lotta ai tesori nascosti all’estero. Con la Svizzera, il paese che storicamente ha nascosto la gran parte dei capitali italiani, dal 16 luglio 2015 è in vigore un nuovo protocollo che consente lo scambio di qualsiasi tipo di informazione di interesse della nostra amministrazione, senza che da parte elvetica possa più essere opposto il segreto bancario. Inoltre dal 1° gennaio 2017 sarà possibile effettuare richieste di gruppo, cioè senza il nominativo delle persone sulle quali si sta indagando. Basterà richiedere, per esempio, l’indicazione di tutti i contribuenti che hanno chiuso i loro conti dopo il 23 febbraio 2015, oppure (come ha fatto l’amministrazione olandese) il nome dei contribuenti che, dopo la relativa richiesta della banca svizzera, non hanno dato prova che i depositi non sono frutto di evasione ed elusione. Di fatto, le banche, da custodi dei segreti dei contribuenti, diventeranno sempre più le loro spie. Esponendo i correntisti a sanzioni pesantissime che, nella migliore delle ipotesi, prevedono l’espropriazione del patrimonio. Mentre per chi ha cercato di far perdere le tracce del proprio tesoretto, le disposizioni sull’autoriciclaggio, entrate in vigore insieme alla voluntary disclosure del 2015, prevedono sanzioni penali e l’imprescrittibilità dei reati commessi.
L’ultima spiaggia per mettersi in regola a costi ragionevoli potrebbe essere la voluntary disclosure 2, annunciata dal ministro Padoan, a Porta a Porta, qualche sera fa. Il ministro ha annunciato di avere allo studio un decreto legge con la riedizione della sanatoria che si è chiusa nel 2015 con l’obiettivo di incassare altri 4 miliardi che dovrebbero essere impiegati per i lavori di ricostruzione dei paesi del Centro Italia colpiti dal terremoto del 24 agosto. In alternativa è sempre disponibile il ravvedimento operoso, ma a costi leggermente superiori e senza la copertura penale assicurata dalla voluntary.
Fonte: Italia Oggi