Paolo Soro

Black list, ecco come cambia la geografia dei paradisi fiscali

Ancora molta confusione tra operatori e Agenzia delle Entrate in merito al mutato scenario dei Paesi fuori dalla white list.

Mentre ci si avvia verso la voluntary-bis, la geografia dei paradisi fiscali cambia a seguito dei numerosi accordi internazionali recentemente conclusi dall’Italia (tra i principali quelli con Hong Kong, Liechtenstein, Monaco, Singapore e la Svizzera). Tuttavia, il mutato scenario è stato recepito a livello domestico solo in parte, posto che i nuovi Paesi firmatari di accordi sono ancora inseriti nella black list di cui ai Dm 4 maggio 1999 (la black list delle persone fisiche) e, con riferimento a Liechtenstein e Monaco, anche in quella di cui al Dm 21 novembre 2001 (la black list Cfc).

A oggi, quindi, in relazione a questi Paesi rimangono in particolare applicabili le seguenti disposizioni di sfavore, che ruotano proprio attorno alla presenza nelle due black list citate:

la presunzione relativa, ex articolo 12, comma 2, del Dl 78/09, secondo cui si considerano formati con redditi sottratti a tassazione gli investimenti e le attività finanziarie costituiti o detenuti nei Paesi ivi indicati in violazione del monitoraggio fiscale;

il raddoppio dei termini di decadenza per le violazioni in materia di monitoraggio fiscale e di accertamento dei redditi connessi alle attività detenute in questi Paesi, ai sensi dell’articolo 12, comma 2 bis e 2-ter del Dl 78/09 (norma di cui è discussa la natura procedurale e la conseguente retroattività);

il raddoppio delle sanzioni amministrative per le violazioni degli obblighi di monitoraggio fiscale di cui all’articolo 5, comma 2, del Dl 167/90.

Le modifiche intervenute sulla black list del Dm 21 novembre 2001, a opera del Dm 30 marzo 2015 e del Dm 18 novembre 2015, rilevano infatti solo con riferimento al regime Cfc di cui all’articolo 167, comma 4, del Tuir e degli articoli 47 (comma 4), 68 (comma 4), 87 (comma 1) e 89 (comma 3) del Tuir in materia di tassazione dei dividendi e delle plusvalenze esteri sino al periodo di imposta 2015. Da quest’anno, per l’individuazione dei Paesi privilegiati, vale solo il criterio del livello nominale di tassazione inferiore al 50 per cento di quello italiano.

Tra le liste oggetto di recenti modifiche, irrilevante (ancorché non abrogata espressamente) dovrebbe invece essere diventata quella di cui al Dm 23 gennaio 2002, che individua(va) gli Stati privilegiati ai fini della deducibilità dei componenti negativi di reddito secondo il regime previsto dall’articolo 110, commi da 10 a 12-bis, del Tuir. Questo regime, infatti, è stato totalmente abrogato (si ritiene con effetti retroattivi, quantomeno sotto il profilo sanzionatorio) a decorrere dal periodo di imposta 2016.

L’ordinamento conosce poi la cosiddetta white list di cui al Dm 4 settembre 1996, recentemente rinnovata dal Dm 9 agosto 2016 e che rileva in particolare per individuare i soggetti residenti in Paesi che godono dell’esenzione dall’imposta sostitutiva sugli interessi delle obbligazioni e dei titoli dei “grandi emittenti” di cui al decreto legislativo 239/1996. Si tratta peraltro della lista da considerare, “in negativo”, per individuare i Paesi non collaborativi in relazione ai quali, ai fini del corretto assolvimento degli obblighi di monitoraggio fiscale, si rende necessaria la compilazione del modello RW secondo il cosiddetto approccio look through (si veda la circolare 38/2013).

Questo ginepraio andrebbe semplificato in maniera sistematica e ragionata. Si pensi, tra le altre, alla situazione kafkiana della Svizzera che è inclusa nella black list del 1999, è stata eliminata da quella del 2001 ed aggiunta nella white list del 1996, avendo concluso un accordo in linea con il modello Ocse. La strada dovrebbe essere quella di prevedere l’individuazione di un’unica lista valevole in ambito tributario, da aggiornare periodicamente alla luce dei progressi negli accordi conclusi dall’Italia a livello internazionale, che peraltro, ed è bene ricordarlo, dovrebbero superare già oggi, sul piano della gerarchia delle fonti, le (penalizzanti) disposizioni previste a livello nazionale.

Fonte: Il Sole 24 Ore

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