Paolo Soro

UK, abolire la tassa sulle imprese

Stop alla tassa sulle imprese. Questo il mantra che emerge dallo studio “Rebooting Britain” fatto dall'Adam Smith Institute di Londra ad opera di Madsen Pirie.

Il Regno Unito dovrebbe eliminare gradualmente la tassazione sulle imprese passando prima al 12,5% poi al 6,25% e infine allo 0%. Anche perché, secondo il report, la tassa sulle imprese non è pagata dalla società stesse, bensì dai suoi dipendenti, clienti e azionisti.

Senza l'imposta, le imprese avrebbero a disposizione più soldi da distribuire agli azionisti sotto forma di dividendi, per aumentare la paga dei dipendenti e per riuscire a mantenere un prezzo più competitivo dei lori prodotti.

È vero che il governo dovrebbe rinunciare all'incasso proveniente dalla tassa sulle imprese, ma potrebbe recuperare il gap senza alcun problema.

Questo sarebbe possibile perché, in cambio dell'abolizione della tassa sulle imprese si innesterebbe un circolo virtuoso secondo il quale: l'aumento dei dividendi degli azionisti e del salario medio dei lavoratori porterebbe maggiori entrate al governo poiché aumenterebbero i proventi derivanti dalla tassa sui dividendi e sul salario.

In aggiunta a ciò, mantenendo i prezzi competitivi (e cioè anche abbassandoli) si avrebbe un aumento del potere di acquisto dei contribuenti e quindi il governo potrebbe incasserebbe un’IVA maggiore.

Il Regno Unito in questo momento ha bisogno di un'economia vibrante, indirizzata verso la crescita; e le tasse sul “capital gain” non possono in alcun modo rientrare in questo progetto, visto che non portano alcun tipo di beneficio all'economia, ma bensì la rallentano.

Si ha bisogno, quindi, di nuovi capitali per incoraggiare gli investimenti (in particolare per le startup), e di persone capaci di spostare gli investimenti da un business che ora mai non frutta più a uno più forte e produttivo.

L'obiettivo, dunque, sarebbe quello di far si che il Regno Unito possa diventare una calamita (fiscale), ancora più di oggi, per tutte le imprese.

Lo studio, non è così poi lontano dalla realtà inglese, visto che solo qualche settimana fa l'ex cancelliere George Osborne aveva annunciato di voler ridurre la tassazione sulle imprese del 15%, e aveva inoltre intrapreso un tour diplomatico verso Wall Street, Singapore e la Cina per rassicurare gli investitori esteri sulle condizioni economiche presenti e future dell'economia inglese.

L'attuale cancelliere Philip Hammond, non ha ancora avuto tempo di prendere in mano le carte lasciate dal suo predecessore, ma ha subito dichiarato al Telegraph che:

“Farà tutto il possibile per ripristinare la fiducia nell'economia e che prenderà tutte le misure necessarie al riguardo”.

Non ci sono stati ancora commenti espliciti in merito allo studio condotto dall'Adam Smith Institute, però, secondo Esmond Birnie, capo economista al Pwc Institute dell'Irlanda del Nord, il nuovo cancelliere inglese abbraccerebbe, senza troppi problemi, un regime a bassa fiscalità.

Da un punto di vista economico nazionale, le Entrate complessive aumentano creando incentivi – anche e soprattutto fiscali – al lavoro e alla produzione dei redditi. Dopo di che, se si riesce ad assicurare determinati privilegi agli imprenditori (non solo tributari, ma economici, infrastrutturali, di stabilità geografica e politica), non si vede ragione alcuna perché questi dovrebbero cercare di alloccare i propri guadagni in altri “paradisi”.

E, così, il gioco è fatto: sono contenti i governanti e i governati.

Una Brexit, dunque, che potrebbe alla fine risultare persino vantaggiosa, in quanto slegata dai vincoli UE. Ma la realtà pratica, in un’economia globale mondiale, non necessariamente porta i citati benefici ipotizzati in teoria.

In ogni caso, dobbiamo rilevare come si faccia sempre più strada uno scenario simile a quanto da noi paventato circa tre settimane orsono, nel pezzo dal titolo: “Brexit Tax”, alla Sezione Blog di questo sito:

http://www.paolosoro.it/news/853/Brexit-Tax.html

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