Paolo Soro

Italia / Panama: Convenzione sui generis

Ricorso alle MAP per determinare la residenza fiscale. Tassazione nello Stato di residenza. Scambio di informazioni limitato e non automatico. L’emananda convenzione con Panama elude i precetti fondamentali del Modello OCSE.

Lo scorso 4 dicembre 2015 è stato approvato il disegno di legge di ratifica ed esecuzione della Convenzione tra Italia e Panama contro le doppie imposizioni del 30 dicembre 2010. Il trattato entrerà in vigore dopo un periodo di tre mesi dal ricevimento dell’ultima delle notifiche di completamento delle procedure interne, e sarà efficace:

-          per le ritenute alla fonte, a partire dal 1° gennaio dell’anno solare successivo a quello di entrata in vigore della Convenzione stessa;

-          per le imposte sul reddito e le altre imposte diverse dalle ritenute alla fonte, a ogni esercizio fiscale che inizia il, o successivamente al, 1° gennaio dell’anno solare successivo a quello in cui la Convenzione entra in vigore.

Per quanto riguarda lo scambio di informazioni, si prevede che le richieste possano essere inoltrate per informazioni relative a qualsiasi data entro i tre anni precedenti l’entrata in vigore.

Leggiamo sulla rivista telematica dell’Agenzia delle Entrate che “il testo del trattato, approvato dal Consiglio dei ministri, è sostanzialmente in linea rispetto alla più recente versione del Modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni, con alcune differenze.” 

Evidentemente, dipende da quali sono tali differenze: nulla quaestio in ipotesi di lievi aggiustamenti dovuti alle diverse realtà nazionali; viceversa, nel caso si trattasse di questioni – appunto – di “sostanza”, l’affermazione risulterebbe contraddittoria.

Vediamo, allora, più nei dettagli quali sono le criticità (giudicate sostanzialmente irrilevanti dalla fonte summenzionata) previste in detto documento.

In premessa, giova ricordare che la Repubblica di Panama (rimossa dalla lista “grigia” dell’OCSE il 6 luglio 2011; ergo, alla data in cui è stato redatto il trattato in argomento – dicembre 2010 – era ancora nella lista), applica il principio della fonte territoriale con carattere esclusivo nei confronti di residenti e non residenti; ragione per cui, non aveva predisposto una normativa vera e propria per evitare la doppia imposizione, limitandosi a stipulare degli accordi in materia di trasporti internazionali. Di fatto, sia le persone fisiche che le società sono tassate a Panama per tutti i redditi ivi prodotti, indipendentemente da quale sia la loro nazionalità o la loro residenza.

Tale prerogativa, in teoria, apparirebbe in linea con il principio OCSE del nexus approach; ma, dal punto di vista della sua concreta attuazione pratica, presta il fianco a notevoli rischi elusivi, specie relativamente ai redditi attribuiti dalle “case madri” esterne, alle proprie controllate e/o stabili organizzazioni in loco.

Ebbene, la Convenzione, in merito alla residenza fiscale delle imprese, nel confermare il criterio della sede della direzione effettiva, prevede l’attivazione delle Mutual Agreement Procedures (MAP) fra Stati, al fine di dirimere eventuali conflitti di residenza. In assenza di accordo tra gli Stati, l’impresa non potrà godere di alcuno dei benefici previsti dalla Convenzione.

In particolare, a proposito delle stabili organizzazioni, le disposizioni, pur ricalcando lo schema generale dell’art. 5 del Modello OCSE (e, quindi, anche del 162 del TUIR), si conformano al Modello di Convenzione dell’ONU. A onor del vero, va riconosciuto che (non solo l’Italia, ma) la maggior parte degli Stati aderenti al G20 hanno ritenuto di ovviare alle rigide condizioni di assoluta reciprocità stabilite dal Modello OCSE, ratificando alcune regole proprie del Modello ONU nei casi dei trattati siglati con i c. d. Paesi emergenti, i quali presentano economie particolarmente anomale rispetto a quelle esistenti nei Paesi industrializzati.

Nella fattispecie in discorso (stabili organizzazioni), le principali differenze attengono ai seguenti due casi.

  1. L’agente indipendente: Se svolge l’attività interamente (o quasi) per conto di un’unica impresa, configura una stabile organizzazione, in quanto non può essere considerato effettivamente “indipendente”, pur se concretamente opera in maniera autonoma nell'ambito della propria attività ordinaria, anche in via continuativa; al contrario, nel Modello OCSE, è escluso che tale fattispecie possa essere considerata una PE.
  2. Il deposito: L’imprenditore il quale, pur non avendo alcun potere di rappresentanza, mantiene nell’altro Stato contraente una scorta di merci appartenenti all’impresa, dalla quale preleva regolarmente merci per la consegna a nome o per conto dell’impresa, determina (contrariamente a quanto disciplinato nel Modello OCSE) una stabile organizzazione.

Le differenze, dunque, sono poche, ma di pura sostanza; se, poi, consideriamo la sopra citata regola generale che impone di attivare le MAP per risolvere le questioni concernenti la residenza fiscale, il quadro complessivo che ne deriva non appare di certo il più indicato per dirimere le numerose fattispecie pratiche che si possono verificare.

Altra questione spinosa attiene all’ambiguità (e incertezza) della tassazione.

La regola generale prevede l’imposizione esclusiva nello Stato di residenza del beneficiario. Tale previsione non pare soddisfare il principio raccomandato dall’OCSE, posto che la residenza fiscale del soggetto potrebbe non coincidere con il luogo in cui effettivamente vengono prodotti tutti i redditi. Ciò significa che il nexus approach verrebbe meno: è necessario, come noto, che un’entità economica venga tassata in ciascuno Stato per quella parte di reddito ivi prodotta.

È, poi, prescritta la tassazione concorrente anche nel Paese nel quale vengono resi i servizi (professionali, di consulenza, di assistenza industriale e commerciale, tecnici o gestionali), ma solo fino al limite massimo dell’aliquota del 10%. Peraltro, nell’ipotesi in cui il beneficiario possieda una base fissa o una stabile organizzazione nello Stato di provenienza del reddito, la tassazione concorrente avviene senza limite massimo di aliquota alla fonte.

Francamente, sembra evidente che tale disposizione, da un lato, si presta a essere facilmente elusa dai grandi gruppi multinazionali, che possono provvedere ad allocare fittiziamente reddito laddove è più conveniente, o comunque modificare le loro filiali in modo da farle risultare – a piacimento – PE ovvero non-PE; da un altro verso, ingenera duplicazioni di imposta, con obblighi di versamenti in entrambi i Paesi per almeno parte dello stesso reddito prodotto. In più, si avrà a che fare con i problemi che derivano da una definizione di stabile organizzazione inserita nella Convenzione che, come sopra evidenziato, non è del tutto coincidente con quella nazionale prevista nel 162 del TUIR. Infine, cosa fondamentale, questa previsione di doppia tassazione (esclusiva e concorrente) non è nemmeno lontanamente in accordo con quanto previsto al riguardo dal Modello Convenzionale OCSE.

L’ultima questione su cui intendiamo richiamare l’attenzione è quella afferente allo scambio di informazioni. Anche qui, pur comprendendo lo spirito campanilistico della già ricordata rivista filogovernativa, è impossibile concordare con l’affermazione che appare nel commento alla Convenzione:

“L’articolo 25 della Convenzione, relativo allo scambio d’informazioni, è conforme al più recente standard OCSE. Tuttavia, non è stato inserito l’articolo sull’assistenza nella riscossione tra Stati.” (Allora, non è conforme: salvo attribuire al vocabolo “conforme” un significato grammaticalmente differente da quello corretto).

A ben vedere, al di là della facile battuta e della questione pur non secondaria relativa all’assistenza nella riscossione tra Stati, la disposizione inserita in tema di scambio di informazioni è ben lungi dall’essere “conforme” alle raccomandazioni diffuse dall’OCSE nelle sue Linee Guida, e già – in realtà – fatte proprie da molti Paesi, Italia inclusa (salvo, ovviamente, nel caso concernente la Convenzione in questione).

I fattori di discordanza sono tanti e – ciò che più rivela – di assoluta sostanza.

  1. Vengono indicate le informazioni minime che devono essere presenti in una richiesta: la bozza predisposta dall’OCSE richiede un numero assai più rilevante di notizie da trasmettere.
  2. Viene specificato che non esiste alcun obbligo per gli Stati contraenti di scambiare le informazioni in modo automatico: come noto, lo scambio automatico delle informazioni è l’elemento fondamentale; senza di questo, appare assai improbabile individuare i soggetti che operano nel Paese straniero.
  3. Posto che Panama non ha ancora varato una norma interna che consenta di adempiere allo scambio di informazioni, è stata inserita una clausola generica che impone agli Stati contraenti di promulgare una legge a tal proposito; ma detta previsione è del tutto insoddisfacente: le richieste di informazioni potranno essere retrodatate di tre anni; se la legge non verrà resa esecutiva entro tale periodo, i zelanti governanti avranno per l’ennesima volta chiuso la stalla quando i buoi sono scappati.

Ora, la domanda che pare lecito porsi è la seguente:

Se valutiamo attentamente tutte le conseguenze che deriveranno nella pratica dalle disposizioni qui analizzate, siamo assolutamente certi che l’Italia, approvando questa convenzione, non sia incorsa nella violazione dell’Action 6 (Treaty Abuse) del Piano BEPS?

In conclusione, il disegno di legge di ratifica ed esecuzione della Convenzione (sui generis) tra Italia e Panama contro le doppie imposizioni, sembra atto eseguito – more solito – con troppa fretta e senza la minima ponderazione. Seppure, considerando che il testo originale è datato 30 dicembre 2010, avrebbe dovuto essere di tutta evidenza che non poteva certo essere in linea con le risultanze dell’enorme lavoro compiuto dall’OCSE in questi ultimi 5 anni.

Si obietterà che si tratta comunque di un qualcosa in più rispetto al “nulla” preesistente.

Non siamo d’accordo: innanzitutto, non condividiamo il fatto che avere una previsione sbagliata sia meglio che non averne affatto; ma ciò che più conta è che ora, con la scusa di avere teoricamente già provveduto, passeranno svariati anni prima che i governi dei due Paesi rimettano nuovamente mano al trattato; e Panama costituisce una delle mete più frequentate proprio dagli “expa” italiani.

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