Paolo Soro

Rivalutazione dei beni d’impresa

L’art. 1, co. 140-147, della Legge n. 147/2013 ha riproposto la possibilità di rivalutare i beni d’impresa secondo lo schema previsto dalla Legge n. 342/2000, sia pure con alcune differenze: a dispetto di quanto previsto dal D.L. n. 185/2008, applicabile ai soli immobili, non sembrerebbe infatti ammessa la rivalutazione esclusivamente civilistica.

L’art. 1, co. 140-147, della Legge n. 147/2013 ha riproposto la possibilità di rivalutare i beni d’impresa secondo lo schema previsto dalla Legge n. 342/2000, sia pure con alcune differenze: a dispetto di quanto previsto dal D.L. n. 185/2008, applicabile ai soli immobili, non sembrerebbe infatti ammessa la rivalutazione esclusivamente civilistica.
In continuità con le precedenti leggi di rivalutazione, anche quella in commento prevede che, a fronte della rivalutazione dei beni, la cui imposta sostitutiva (imposte sui redditi e IRAP) è pari al 16%, ovvero 12% per i beni non ammortizzabili, la contropartita è costituita da una riserva in sospensione d’imposta. I soggetti ammessi alla rivalutazione sono, in generale, tutti gli esercenti attività d’impresa – compresi gli enti non commerciali – in relazione ai beni utilizzati per lo svolgimento dell’attività commerciale, nonché le stabili organizzazioni di soggetti non residenti ubicate nel territorio dello Stato. Possono accedere, altresì, alla rivalutazione dei beni in parola, anche le imprese in contabilità semplificata, che – in assenza del bilancio in cui eseguire tecnicamente l’operazione – devono evidenziare la rivalutazione dei beni in un apposito prospetto, che non necessita più di essere vidimato e bollato (R.M. 14/E/2010), da cui risulti il costo fiscalmente riconosciuto dei beni e la rivalutazione operata. Per tali imprese, stante l’assenza di un bilancio, è evidente che non opera la disposizione normativa che prevede la formazione di un saldo attivo di rivalutazione, con conseguente impossibilità di tassazione dello stesso in caso di sua distribuzione. E questa previsione potrebbe essere indicativa del fatto che la rivalutazione meramente civilistica non sia ammissibili.
L’art. 1, co. 140, della Legge n. 147/2013 ha, inoltre, stabilito che sono rivalutabili tutti i beni materiali e immateriali – a eccezione degli immobili “merce” – e le partecipazioni di controllo e collegamento, iscritti nel bilancio dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2012. Poiché la predetta disposizione richiama i beni d’impresa, è da ritenersi esclusa la possibilità, al pari di quanto previsto in occasione di precedenti rivalutazioni, dei costi pluriennali di cui all’art. 108 del D.P.R. n. 917/1986, quali, a esempio, i costi di pubblicità, i costi di impianto e tutte le altre spese relative a più esercizi, poiché tali “beni” non possono essere annoverati nella categoria dei beni immateriali giuridicamente tutelati.
Dal punto di vista oggettivo, i beni rivalutabili sono anche quelli completamente ammortizzati, purché aventi un valore economico, e la rivalutazione deve avvenire per categorie omogenee di beni, tenendo presente a tal fine quanto previsto dal D.M. n. 162/2001, le cui disposizioni sono richiamate dal c. 146, dell’art. 1, della Legge n. 147/2013. A esempio, i beni materiali ammortizzabili, diversi dagli immobili e dai beni mobili registrati, sono raggruppati in categorie omogenee per anno di acquisizione e coefficiente di ammortamento: gli immobili si devono, invece, distinguere in fabbricati non strumentali (c.d. immobili “patrimonio”), fabbricati strumentali per natura, fabbricati strumentali per destinazione, aree non fabbricabili e aree fabbricabili. I beni iscritti in pubblici registri sono a loro volta raggruppati in categorie omogenee a seconda che si tratti di aeromobili, veicoli, navi e imbarcazioni, mentre i singoli beni immateriali costituiscono un’autonoma categoria omogenea.
Per quanto riguarda la tecnica di rivalutazione, dovrebbero assumere validità i tre metodi indicati nell’art. 5 del D.M. n. 162/2001: rivalutazione del valore iscritto nell’attivo, oppure anche del fondo di ammortamento – con l’intento di mantenere inalterata la durata del processo di ammortamento – o la riduzione del fondo di ammortamento. Come già a suo tempo indicato dall’Agenzia delle Entrate (C.M. n. 18/E/2006), l’utilizzo di tali tecniche rivalutative comporta differenti conseguenze in ambito civilistico e fiscale. Gli effetti tributari non sono, infatti, immediati, bensì differiti al terzo periodo d’imposta successivo a quello con riferimento al quale la rivalutazione è stata eseguita. In altri termini, considerando che, come detto, la rivalutazione deve essere effettuata nel bilancio chiuso al 31 dicembre 2013, i maggiori valori assumeranno rilevanza fiscale nel periodo d’imposta 2016, sia per quanto riguarda i maggiori ammortamenti che per la determinazione del relativo plafond per la deduzione delle spese di manutenzione.
Ciò posto, l’eventuale cessione a titolo oneroso, assegnazione ai soci, destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa ovvero al consumo personale o familiare dell’imprenditore dei beni rivalutati – in data anteriore a quella di inizio del quarto esercizio successivo a quello nel cui bilancio è stata eseguita la rivalutazione (1° gennaio 2017 per i contribuenti con esercizio coincidente con l’anno solare, con rivalutazione effettuata nel bilancio del periodo amministrativo in corso al 31 dicembre 2013) – comporta che, ai fini del computo della plusvalenza o minusvalenza fiscale, deve essere considerato il costo del bene prima della rivalutazione. Conseguentemente, all’impresa è riconosciuto un  credito d’imposta pari al tributo sostitutivo pagato, e contestuale liberazione della riserva per la quota parte riferita ai beni alienati, con successiva eliminazione del vincolo di sospensione d’imposta e riallocazione della stessa tra le riserve di utili.
A fronte della rivalutazione dei beni, come anticipato, viene iscritta una riserva in sospensione d’imposta, la cui distribuzione, comportando la tassazione sia in capo alla società che ai soci, determina un anticipato riconoscimento del maggior valore rivalutato dei beni ai fini fiscali. L’art. 1, co. 142, della Legge n. 147/2013 offre, tuttavia, la possibilità di effettuare, contemporaneamente alla rivalutazione e anche soltanto parzialmente, l’affrancamento del saldo attivo, mediante pagamento di un’imposta sostituiva del 10%, che consente di svincolare la riserva di rivalutazione in capo alla società, ferma restando la tassazione in capo ai soci all’atto della distribuzione, se trattasi di società di capitali. Relativamente alla base imponibile dell’affrancamento della riserva, è opportuno rammentare che l’importo da affrancare è al lordo dell’imposta sostituiva versata, anche se la stessa è stata portata in riduzione della riserva all’atto della rivalutazione (C.M. n. 23/E/2006). In detta circolare, l’Amministrazione finanziaria ha altresì precisato che l’affrancamento della riserva non produce altri effetti rispetto a quelli descritti, e in particolare mantiene inalterato il costo fiscale dei beni oggetto di rivalutazione fino al decorrere del triennio previsto.
Tutto ciò riepilogato per dovere espositivo, la lettera della norma non appare comunque  definitiva relativamente all’ipotesi di una rivalutazione obbligatoria, sia dal punto civilistico che da quello fiscale:
“Il maggior valore attribuito ai beni in sede di rivalutazione si considera riconosciuto ai fini delle imposte sui redditi mediante il versamento di un’imposta sostitutiva”.
Potrebbe anche non essere riconosciuto ai fini fiscali? Se è così, allora, si tratterebbe appunto di una scelta (potestà del contribuente).
Ci parrebbe evidente l’intento del legislatore nel volere incamerare l’imposta in tutti i casi in cui le imprese intendessero approfittare dell’istituto della rivalutazione, anche ai fini fiscali; ma ciò non sarebbe definitivo in merito all’argomento qui in esame, posto che la normativa civilistica non deve necessariamente coincidere, sic et simpliciter, con quella fiscale.
Come al solito, la normativa non è formulata in maniera oculata e, così com’è attualmente, rischia di non recare alcun effetto realmente positivo all’economicità delle imprese, posto che, senza la potestà di scelta da parte del contribuente (rivalutazione solo civilistica/fiscale), sarebbe davvero di ben poca utilità pratica.
Pertanto, ci uniamo anche noi al coro dei colleghi che auspicano fortemente una rapida interpretazione della normativa da questo punto di vista.

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