Lo strumento del trust, vuoi per le indubbie potenzialità, vuoi per la maggiore conoscenza che va acquisendo (anche a seguito delle varie pronunce della Cassazione), sta prendendo piede sempre di più, diffondendosi fra i contribuenti, i quali chiedono con crescente frequenza informazioni in proposito ai loro consulenti di fiducia.
Nel presente elaborato, abbiamo allora pensato di tralasciare per una volta le solite questioni teoriche di diritto, per provare a cimentarci sugli aspetti prettamente pratici concernenti la redazione dell’atto.
Occorre, peraltro, avere ben presente la seguente premessa: a differenza dello statuto di una società, appare impensabile predisporre una sorta di facsimile generale di base dell'atto istitutivo di un trust, sul quale, in ipotesi, operare successivamente, plasmandolo a seconda del caso. Il trust è un "abito che va cucito su misura"; e le ragioni sono invero evidenti:
- i motivi per i quali si intende istituire un trust possono essere i più disparati;
- il trust è un rapporto giuridico che consente al disponente di stabilire le diverse regole in funzione dei propri personali intendimenti;
- le leggi regolatrici dei trust sono anch'esse differenti e numerose.
Assodato, dunque, come sia arduo ipotizzare una bozza di atto istitutivo, ciò non ci esime comunque dal fornire alcuni esempi di quelle che sono le clausole più importanti da inserire, nonché taluni fondamentali consigli da seguire al riguardo. Il tutto, poi, dovrà sempre essere valutato e ponderato attraverso un lavoro di costante collaborazione tra:
- il professionista che abitualmente segue il cliente: il quale, presumibilmente, sarà deputato ad assumere la veste di guardiano del trust;
- il trustee che si prevede di incaricare: convenientemente, una trust company; nominare un parente può farci risparmiare al principio, ma il trust sarebbe poco credibile, specie se trattasi di persona priva di conoscenze specifiche in materia, e gli effetti sarebbero ben più costosi e deleteri rispetto a quanto inizialmente risparmiato;
- il notaio che dovrà redigere il rogito: il quale, come ha avuto modo di precisare la Cassazione (ordinanza 3886/2015), diventa responsabile personalmente anche per l’imposta eventualmente dovuta dal disponente.
Non potendo, ovviamente, analizzare tutti i vari tipi di trust, prendiamo in esame quello in cui, più di sovente, ci si imbatte; ovverossia: il trust interno opaco (discrezionale), disciplinato dalla Trust Jersey Law, istituito per gestire il passaggio generazionale familiare, specie in presenza di soggetti c. d. deboli o svantaggiati (esempio: minori, anziani, portatori di handicap o di altre particolari patologie).
Ricordiamo, innanzitutto, quand’è che si parla di trust interno. Ebbene, il trust interno è istituito in Italia, da soggetti residenti in Italia, su beni situati in Italia, a favore di beneficiari anch’essi residenti in Italia, con trustee pure residente in Italia. In pratica, l’unico elemento internazionale è rappresentato dalla legge regolatrice scelta, la quale non potrebbe che essere straniera, posto che non esiste una legge nazionale. Giova rammentare, infatti, che il trust acquisisce piena legittimità in Italia a seguito della Legge 364/1989 (entrata in vigore il 1° gennaio 1992), che ha ratificato la Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985.
Il trust è, poi, detto opaco quando i beneficiari di reddito non sono individuati, ovvero quando è (come nel caso che qui abbiamo ipotizzato) discrezionale: ovverossia, pur essendo individuati i beneficiari, gli stessi non hanno il diritto di pretendere i frutti del fondo in trust, essendo tale eventuale distribuzione di utili nella piena discrezionalità del trustee (si dice, allora, che i beneficiari non hanno una capacità contributiva attuale).
Solo un brevissimo inciso per capire le motivazioni in base alle quali si rende conveniente adottare spesso questa scelta nel momento di dover qualificare la tipologia di trust che interessa.
Con la circolare 48/E del 2007, l’Agenzia delle Entrate ha fornito indicazioni in merito alla tassazione indiretta e diretta dei trust. Per quanto riguarda la prima, verrà applicata l’imposta sulle successioni e donazioni: il che significa che, se il disponente intende indicare i propri familiari quali beneficiari finali del trust, è opportuno che gli stessi siano individuati, onde poter godere delle franchigie e delle aliquote ridotte di riferimento. Per quanto concerne le imposte dirette, nel caso in cui i beneficiari individuati non abbiano diritto di pretendere i frutti del fondo in trust, ma l’eventuale erogazione sia rimessa alla discrezionalità del trustee, l’imposizione si esaurisce in capo al trust (il quale, attraverso una finzione giuridica, è assimilato agli enti soggetti all’IRES), senza che i beneficiari debbano poi dover sottostare ad alcun’altra imposta, pure nell’ipotesi in cui il trustee provveda a erogare loro gli utili. Giova, in proposito, rammentare che i beneficiari dei frutti potrebbero anche non essere per forza gli stessi di quelli dei beni del fondo.
Un ulteriore elemento che occorre considerare è legato a eventuali creditori personali dei beneficiari stessi: non avendo questi ultimi, infatti, alcun diritto predeterminato, non c’è neppure la possibilità che un loro creditore personale possa richiederne il pignoramento.
Chiuso anche tale inciso, occupiamoci ora dell’atto istitutivo vero e proprio.
Per la validità dell’atto è richiesta la forma scritta. Ciò non significa per forza obbligo di atto pubblico, salvo l’atto di disposizione non comporti l’alienazione di immobili, partecipazioni o altri beni e diritti per i quali la normativa italiana prescriva, appunto, l’atto pubblico a pena di nullità. In ogni caso, la prassi consolidata è quella di rivolgersi sempre al notaio.
L’atto istitutivo del trust (deed of trust) è unilaterale: in teoria, l’unico soggetto che deve partecipare all’atto è il disponente. In pratica, il notaio che redige l'atto in genere richiede la presenza del trustee, il quale dichiari di accettare l’incarico. Aggiungiamo che è consigliata, fin dall’inizio, anche la presenza del guardiano (il quale spesso non interviene all’atto), salvo non si abbia l’intenzione di nominarne uno, posto che non esiste un obbligo in tal senso. Peraltro, anche su questo fatto, il nostro parere è che la figura del guardiano risulti essere viceversa assai utile e, dunque, personalmente suggeriamo di prevederla sempre nell’atto. Chi non partecipa mai (o quasi) all’atto, sono sicuramente i beneficiari del fondo, i quali potrebbero anche non sapere di esserlo.
Sostanzialmente, si tratta di un atto unico anche se formalmente esso contiene in realtà due negozi differenti: quello concernente l’atto istitutivo vero e proprio del trust con le regole dettate dal disponente al trustee per l’amministrazione dei beni, e l’atto di disposizione appunto dei beni nel fondo in trust. Anche in tale ipotesi, si ritiene utile non scindere i due atti in fasi separate, ma redigerli e registrarli insieme nello stesso documento per ovvie ragioni di praticità. Tra l’altro, in ogni caso, occorre prevedere un fondo patrimoniale minimo per le spese ordinarie; per cui, tanto vale provvedere a disporre fin da subito in trust, quanto meno, il grosso del patrimonio. Ricordiamo che, comunque, nulla vieta di implementare successivamente il fondo, apportando ulteriori beni o somme di denaro; e ciò anche da parte di chi non risulta essere l'iniziale disponente del trust. Evidentemente, in caso di apporti di denaro o beni non soggetti a pubblicità non sarà richiesta la forma notarile.
Esempio: il padre – disponente – istituisce il trust a favore dei propri figli – beneficiari – inserendo nel fondo i suoi immobili; dopo di che, il nonno decide di apportare nel fondo in trust la propria abitazione a favore dei nipoti. Da notare che il nonno in questione potrebbe anche scegliere di destinare l’immobile solo ad alcuni dei nipoti e non necessariamente a tutti i beneficiari indicati nell’atto (in tal caso, il trustee, contabilmente, creerà un fondo separato). Ovviamente, poi, si potrà destinare in trust la proprietà intera o la nuda proprietà, mantenendosi il diritto di usufrutto o di abitazione. Resta, comunque, impregiudicato il divieto di ledere le quote di legittima, previste dal Codice Civile.
Per converso, sarà opportuno lasciare al trustee il potere anche di rifiutare eventuali incrementi del fondo: si pensi, per esempio, a un’azienda in perdita, o comunque anti-economica da gestire; inglobarla nel fondo non sarebbe di certo positivo per il trust nel suo complesso.
Per quanto riguarda la motivazione del trust, non ci stancheremo mai di ripetere che, alla base, deve esistere un interesse meritevole di tutela, il quale (evidentemente) non sarà certo quello di mettere il proprio patrimonio al riparo da potenziali pretese creditorie: la segregazione dei beni è solo l’effetto del trust, ma non ne potrà mai essere la causa. Oltre tutto, la Convenzione fa salve le disposizioni di legge vigenti negli ordinamenti giuridici dei rispettivi Stati; pertanto, sarà, in ipotesi, abbastanza agevole per un creditore pre-esistente all’istituzione del trust (e, come ha confermato di recente il Tribunale di Bologna - 1357/2015 - anche per crediti contestati, il cui giudizio non sia ancora divenuto definitivo), agire con l’azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 del Codice Civile e far dichiarare inefficace la disposizione dei beni nel trust (o, quanto meno, di quelli occorrenti per soddisfare le ragioni del credito). Se, poi, i crediti dovessero riguardare l’Erario, si configurerebbe – come noto – anche l’ipotesi di reato, in cui, inevitabilmente verrebbero coinvolti pure coloro che hanno aiutato il disponente (esempio: il commercialista). Ecco un altro motivo per il quale è sempre importante coordinarsi col consulente di fiducia del cliente, che dovrebbe conoscere bene tutta la situazione.
Altra questione che, teoricamente, potrebbe essere eccepita nei riguardi del disponente (almeno, in taluni particolari trust), potrebbe attenere a potenziali ipotesi di elusione / abuso del diritto. Riportiamo la cosa solo per completezza espositiva, ma pare assai agevole, anche nella peggiore delle ipotesi, dimostrare che gli effetti che si possono ottenere attraverso lo strumento del trust siano talmente unici che diventerebbe davvero improbabile pensare di poter conseguire i medesimi risultati tramite altri istituti. E, in ogni caso, avuto riguardo all’evoluzione stessa della Giurisprudenza di Legittimità in tema di abuso del diritto, nonché all’emananda (all’epoca in cui si scrive) normativa in materia, un’eventuale eccezione di tale portata sarebbe destinata a rimanere priva di qualsivoglia portata sostanziale.
Orbene, dato che gli atti istitutivi dei trust sono, in genere, assai lunghi e corposi, e coloro che devono leggerli (esempio: l’Agenzia delle Entrate, il Tribunale etc.) spesso non hanno voglia di sorbirsene tutto il contenuto, parola per parola, fino alla fine, il consiglio è di inserire le clausole più importanti, fin dall’inizio, nelle premesse.
Andremo, dunque, subito a rappresentare qual è l’interesse meritevole di tutela giuridica; nella fattispecie che occupa la presente trattazione, la tutela di soggetti deboli.
Esempio di clausola:
Premesso che il disponente, operata una seria riflessione sulla contingenza della vita e sulla necessità di salvaguardare le esigenze dei propri figli, intende:
- disporre in trust i beni al fine di fare fronte al soddisfacimento delle molteplici esigenze che dovessero presentarsi nel tempo ai beneficiari;
- reputa necessario che, in caso di suo decesso in presenza di figli minorenni, il patrimonio venga gestito in modo professionale, onde garantire mezzi adeguati per far fronte ai loro bisogni;
- assicurare il passaggio generazionale dei beni secondo le proprie volontà;
tutto ciò premesso, il disponente ha individuato nel trust lo strumento giuridico che gli consente di attuare i propri interessi.
Al trust si applicano le disposizioni della Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, come ratificata dalla Legge 364/1989 della Repubblica italiana, fatte salve le eventuali disposizioni di miglior favore.
Dopo le premesse, inseriremo i dati generali. A tal riguardo, considerato che il trust comporta per il disponente lo spossessarsi a titolo definitivo dei propri beni, una clausola importante da inserire è la seguente:
Il presente atto non è revocabile.
Ciò impedisce che chiunque possa in qualche modo ipotizzare una temporaneità del trust e, dunque, una sua incoerenza rispetto all’interesse meritevole di tutela dichiarato in premessa.
Tra gli altri dati generali, avremo la denominazione del trust. Scegliamo nomi naturali; esempio: “Trust Federico Rossi”; evitiamo nomi esotici che richiamino nei giudici chissà quale intento di fuga in qualche non meglio identificato paradiso fiscale, tipo: Trust Liberty Islands. Il nostro intento è chiaro e assolutamente legittimo, fin dal nome che usiamo.
Indicheremo, poi, le norme attinenti al fondo e ai beni del trust (oltre alle regole concernenti segregazione, incrementi etc.), e i vari soggetti del trust: il trustee, il guardiano e i beneficiari, premurandoci – come anzidetto – del fatto che i diretti interessati (a parte i beneficiari) siano presenti all’atto e accettino la carica (non è obbligatorio, ma conveniente da un punto di vista pratico). In ogni caso, l'eventuale successiva accettazione della carica da parte del trustee dovrà comunque avvenire con la forma dell'autentica notarile.
Riguardo all’individuazione dei citati soggetti, corre l’obbligo di specificare quanto segue.
Vi sono alcune previsioni che non sono vietate dalla legge, ma che sono quanto mai inopportune e che è bene, se possibile, evitare sempre.
Esempi:
1) nominare trustee, il disponente (c. d.: trust auto-dichiarato);
2) nominare beneficiario, il disponente;
3) apporre clausole che limitino in modo rilevante i poteri del trustee, o che riservino comunque un potere sostanziale di gestione dei beni o di percepimento degli utili in capo al disponente e ai beneficiari.
Il disponente, con l’atto di trust, come già precisato, si spossessa definitivamente dei propri beni. Ora, nulla toglie (e, anzi, appare del tutto legittimo) che lo stesso disponente si riservi il diritto di abitare nella casa (la cui nuda proprietà, in ipotesi, è stata disposta in trust), dove ha sempre vissuto (non si può certo pretendere che vada a dormire sotto i ponti); o che il trustee debba utilizzare parte del fondo in trust per far fronte a eventuali cure mediche di cui il disponente potrebbe aver bisogno nel corso della sua esistenza e per le quali, magari, non avrebbe più le finanze necessarie, avendo disposto tutto il suo patrimonio nel trust. Di certo, però, non si può pensare di disporre i beni in trust, de facto, mantenendone il controllo o il totale godimento. Ciò sarebbe contrario alla causa dell’atto e comporterebbe un’inevitabile declaratoria di inefficacia degli atti di disposizione, nonché finanche di nullità generale del trust, per essere lo stesso qualificato come sham trust (letteralmente, un trust falso): in pratica, un atto che mira a simulare un rapporto giuridico diverso da quello realmente esistente; ovvero, un atto in cui la volontà dichiarata dalle parti è difforme da quella effettiva.
Con riferimento al superiore punto 3), risulterà particolarmente utile la nomina di un guardiano di fiducia del disponente. Attraverso l’operato del guardiano, infatti, il disponente potrà verificare che il trustee svolga la sua attività in piena osservanza delle regole previste nell’atto; nonché apporre dei limiti ragionevoli alle eventuali operazioni di straordinaria amministrazione che potrebbero essere potenzialmente foriere di recare serio nocumento al patrimonio destinato, al termine del trust, ai beneficiari individuati. Il tutto, senza venir meno alla causa contrattuale che non consente al disponente alcuna ingerenza sull’operato del trustee. Come noto, al limite, il disponente potrà dare delle indicazioni tramite le c. d. “lettere dei desideri” “(letters of wishes”); che, però, in quanto appunto desideri (non comandi imperativi), potranno essere come tali esauditi o meno dal trustee.
Particolare attenzione occorre riporre nell’individuazione dei beneficiari.
Famiglia tipo: disponente + coniuge + due figli minorenni. L’intenzione è quella di nominare beneficiari i figli (spesso, anche il coniuge). Purtroppo, la vita, a volte, riserva brutte sorprese: ciò che pare essere un idillio perfetto oggi, un domani potrebbe rivelarsi tutt’altro che tale. Se ci limitassimo a indicare quali beneficiari i figli “Giorgio e Francesca”, avremmo quella che è chiamata una “categoria chiusa”.
Cosa comporta il fatto di avere una “categoria chiusa”?
L’applicazione della regola nota come “Saunders-Vautier” (dai nomi del disponente e del beneficiario di un trust inglese del 1841 – norma di matrice Common Law). In base a tale clausola, i beneficiari a conoscenza della loro qualità di “unici beneficiari” potrebbero in qualunque momento chiedere al trustee la consegna dei beni e diritti esistenti nel fondo in trust (con conseguente cessazione del trust, indipendentemente dalla durata inizialmente stabilita dal disponente, non essendoci più un fondo da amministrare). Infatti, posto che il trust, per definizione, è istituito nell’interesse dei beneficiari, una volta che costoro siano tutti esattamente individuati, non v’è alcuna ragione per costringerli ad attendere il termine finale del trust, fissato dal disponente. Se capaci di agire, i beneficiari individuati che abbiano un titolo certo di diritto sulla totalità del fondo in trust, potranno, dunque, concordemente, pretendere dal trustee l’attribuzione della loro trust property.
Ovviamente, il disponente potrebbe comunque ritenere che i suoi figli siano in grado, fin dal compimento della maggiore età, di poter gestire in proprio i loro beni. Senonché, a parte il fatto che l’interesse espresso di assicurare una gestione professionale dei beni cozzerebbe non poco con una clausola che consentisse a chiunque, se maggiorenne, di potere corrispondere a tale requisito, i figli, una volta acquisiti i loro diritti, potrebbero non voler adempiere a quelle altre regole che consentono al trustee – per esempio – di utilizzare i fondi per far fronte a eventuali spese per cure mediche del disponente (o qualunque altra ipotesi determinata nell’atto).
Per ovviare a tale potenziale problema, sarà sufficiente lasciare “aperta” la categoria dei beneficiari. In proposito, ci è capitato di leggere una clausola (apparentemente corretta) di tale tenore:
Il termine “Beneficiari” indica i Figli del disponente e del coniuge nati entro il termine finale di durata del Trust.
Qui, la categoria è senz’altro “aperta”; ma, così come riportata, i figli potrebbero essere quelli generati dal disponente e dal coniuge anche con altri eventuali rispettivi partner. Dunque, quanto meno, occorrerà specificare l’articolo dell’atto nella seguente maniera:
Il termine “Beneficiari” indica i Figli del disponente e del coniuge, concepiti fra loro, nati entro il termine finale di durata del Trust.
Tenendo presente che, in tal modo, peraltro, staremmo prestando il fianco a un ulteriore potenziale problema: laddove, a esempio, uno dei due non dovesse essere più in grado di procreare, la categoria tornerebbe a essere “chiusa”. Modificheremmo, allora, la clausola, come segue:
Il termine “Beneficiari” indica i Figli del disponente e del coniuge, adottati e/o concepiti fra loro, nati entro il termine finale di durata del Trust.
Tutto ciò per dare un’idea di quanto possa diventare importante ponderare e analizzare bene ogni clausola dell’atto.
Sempre con riferimento ai beneficiari appena individuati, dovremmo inserire nell’atto una previsione che (come anticipato all’inizio) renda il trust discrezionale. All’uopo, sarà sufficiente, per esempio, scrivere:
Il trustee può attribuire i frutti dei beni in trust ai beneficiari.
Per altro verso, a garanzia del fondo (nonché, contro potenziali azioni di eventuali creditori personali dei beneficiari), potremmo inserire una clausola del tipo:
Il trustee non è titolare del potere di anticipazione.
Il nostro personale parere è che sia sempre preferibile scrivere gli articoli in forma chiara, schematica e il più possibile sintetica. In genere, meno si scrive e minori rischi si corrono, soprattutto riguardo alla possibilità di ingenerare, con l’atto istitutivo dei trust, interpretazioni false o, peggio ancora, contraddittorie. Ovviamente, ciascuno in questo ha il suo stile: c’è, invece, chi preferisce dilungarsi nell’esprimere un medesimo concetto, magari riprendendolo in più parti dell’atto. Noi, come detto, non concordiamo con tale metodo.
Uno degli articoli cui prestare particolare attenzione è ovviamente quello relativo alla durata del trust, da raccordare direttamente proprio con quanto indicato riguardo alla categoria dei beneficiari.
Innanzitutto, pare importante premettere che, dando per scontato il fatto che nel trust occorra inserire una clausola di anticipata cessazione prima del termine ordinario (esempio: quando delle norme di legge sopravvenute ne rendano l’esercizio particolarmente oneroso agli effetti della soddisfazione dell’interesse dei beneficiari), occorrerà provvedere a definire i c. d. “beneficiari attuali”:
Per “beneficiari attuali” si intendono, in un qualsiasi momento nel corso della durata del trust, coloro che, in forza delle disposizioni di questo articolo, avrebbero diritto a una quota del fondo in trust, se il termine finale della durata del trust sopraggiungesse in quel momento.
Alla data di sottoscrizione del presente atto, sono beneficiari attuali: Tizio e Caio.
Detto ciò, una clausola tipo concernente la durata del trust, potrebbe essere la seguente:
Il trust ha la seguente durata: dalla data di accettazione espressa da parte del trustee (che, come già precisato, potrebbe non coincidere con la data di redazione dell’atto, ma che dovrà comunque avvenire con autentica notarile) alla data in cui si verificherà l’ultimo dei seguenti eventi:
- la morte del disponente;
- il compimento del 25º anno d’età da parte del più giovane dei Figli ancora in vita ovvero il suo decesso, a condizione che tutti gli altri Figli abbiano compiuto il 25º anno d’età o siano anch’essi deceduti.
Sempre riguardo alla durata del trust, un'altra previsione che potrebbe rivelarsi importante è quella che consentisse al trustee di istituire un nuovo trust (o prorogare quello attuale), su richiesta dei beneficiari individuati, i quali avessero il pieno diritto su tutti i beni del fondo. Tale clausola acquisterebbe notevole rilevanza, per esempio, nel caso in cui i beneficiari, alla data di naturale scadenza del trust, paventassero di dover far fronte a delle potenziali pretese creditorie.
Una volta scritte le premesse, i dati generali, le regole concernenti il fondo, i beneficiari e la durata, occorrerà dedicare una serie di articoli ai poteri del trustee e del guardiano, ai rapporti fra loro e all’eventuale successione, in caso di dimissioni, decesso o revoca.
Con riguardo al trustee, corre l’obbligo di evidenziare alcune – a parere di chi scrive – incongruenze rilevate nella lettura di determinate decisioni della Giurisprudenza.
Per meglio precisare, considerato che il trustee è inizialmente nominato dal disponente sulla base di un rapporto di fiducia e professionalità del tipo intuitu personae, dovendo amministrare il patrimonio di cui lo stesso disponente si spossessa nell’interesse dei beneficiari, parrebbe non solo ovvio ma vieppiù necessario che, in qualunque ipotesi di sostituzione, il nuovo trustee venisse parimenti nominato sempre dal disponente (se ancora in vita). Questa clausola, peraltro, è stata interpretata come una forma di controllo sostanziale da parte del disponente sull’operato del trustee e richiamata a motivo di nullità dell’atto.
A noi pare un’assurda interpretazione che, oltre a non poter essere condivisa sul piano logico-sostanziale, non trova alcun tipo di supporto di carattere normativo, posto che, né la legge regolatrice di Jersey (come più volte modificata), né tanto meno la Convenzione, hanno mai inteso vietare tale potestà in capo al disponente.
In ogni caso, al fine di evitare il ricorso a pretestuosi e infondati contenziosi (il cui esito non è mai sicuro a priori), consigliamo di stabilire nell’atto che, in caso di cessazione dall’incarico del trustee, a qualunque causa dovuta, la nomina del nuovo trustee spetti al guardiano.
Per quanto concerne, viceversa, tale ultimo guardiano, pare evidente che non possano esserci dubbi sul fatto che la nomina spetti sempre al disponente, o, in caso di morte dello stesso, ai beneficiari (uno in particolare oppure tutti congiuntamente).
In queste, del tutto soggettive (e, per certi versi, suggestive), elucubrazioni teoriche svolte dai giudici, pur di “inventarsi” una scusa per dimostrare il sostanziale potere di controllo del disponente, non v’è chi non veda come, per analogia, di tal guisa, a identica conclusione si potrebbe ugualmente pervenire anche nel caso ordinariamente accettato, in cui il disponente limiti il suo potere alla sola sostituzione del guardiano; posto che, poi, è il guardiano a nominare l’eventuale nuovo trustee. Ma se questo è l’indirizzo che determinati organi giudicanti vogliono farci seguire, vorrà dire che ci si uniformerà a ciò nella redazione dell’atto, con buona pace di tutti.
Un’altra illogicità (sempre a parere di chi scrive) è il fatto che i beni immobili, le partecipazioni e ogni altro diritto o bene soggetto per legge a registrazione, all’atto della disposizione in trust, vengano intestati a nome del trustee, piuttosto che a nome direttamente del trust (come a noi parrebbe più corretto). Anzi, a dire il vero, ancora non si capisce bene come sia effettivamente la questione, posto che taluni uffici intestano al trust e altri (per lo più, la maggioranza) al trustee.
Il motivo sarebbe legato al fatto che il trust non è un ente vero e proprio (è considerato tale sono in base a una finzione giuridica agli effetti fiscali) e che quindi diviene inevitabile intestare i beni alla persona del trustee, ferma restando, ovviamente, la netta separazione tra il patrimonio personale del trustee e quello di pertinenza del trust.
Come abbiamo avuto modo di scrivere in altre sedi, continuiamo a non essere d’accordo con tale teoria:
- prima di tutto, nessun problema pratico si pone nell’intestare i beni al trust, considerato che lo stesso ha un suo proprio codice fiscale e, anzi, nel caso di trust commerciale, svolge anche una sua propria attività d’impresa autonoma;
- in secondo luogo, così come viene statuita la citata “finzione giuridica” con riferimento alla liquidazione annuale delle imposte del trust, non si capisce per quale motivo, su base analogica, non si possa determinare la medesima “finzione giuridica” anche con riguardo all’eventuale temporanea intestazione dei beni;
- ultimo, ma non meno importante, intestare i beni a nome del trustee comporta la necessità di procedere a una nuova iscrizione ogni qual volta il trustee cambi, per qualunque motivo (cosa che sembra di effettiva utilità solo per l’Erario, il quale approfitta di tale scusa per incamerare più volte le stesse imposte ipo-catastali, senza che in realtà si verifichi alcun passaggio di beni).
Un esempio di articolo per la nomina del trustee potrebbe essere questo:
Il termine “Trustee” individua chi riveste l’ufficio di trustee; in caso di più persone “un Trustee” indica ciascuna di esse.
Con il presente atto è nominato “Trustee” del Trust la TRUST COMPANY X – SRL.
La precisazione di cui al primo comma è importante per ovvi motivi pratici e sarà bene utilizzare una forma simile anche per l’articolo che istituisce il guardiano.
Esempio:
Il termine “Guardiano” individua chi riveste l’ufficio di guardiano; in caso di più persone “un Guardiano” indica ciascuna di esse.
Con il presente atto è nominato “Guardiano” del Trust il dott. Marco Verdi.
Con espresso riferimento ai rapporti tra trustee e guardiano, occorrerà ponderare bene le clausole che, da un lato, limitino i poteri del trustee, dall’altro, consentano un controllo in misura accettabile da parte del guardiano sull’operato del trustee. Come già prima precisato, infatti, un’ingerenza esagerata del guardiano nella gestione del trust potrebbe essere reputata sostanzialmente come una sorta di controllo indiretto da parte del disponente, parificando l’atto a quello di un trust, in realtà, auto-dichiarato.
Ma vi sono anche delle ragioni di carattere prettamente pratico. Per il bene del trust, non sarà certo utile che il trustee debba costantemente ricevere il parere del guardiano: così facendo, il trust risulterebbe “ingessato” e non potrebbe esplicare pienamente tutte le sue potenzialità.
Ci preoccuperemo, dunque, di stabilire dei casi in cui il trustee non debba neppure informare il guardiano (ordinaria gestione, affitto di immobili), altri in cui sarà comunque opportuno interpellare il guardiano per riceverne un parere di carattere consultivo ma non vincolante (esercizio del voto nelle assemblee di approvazione del bilancio di società le cui partecipazioni sono state conferite nel trust) e altri ancora in cui potrebbe dover risultare vincolante l’assenso del guardiano (vendita di immobili, spese di importi particolarmente rilevanti – rapportate al tipo di trust). Il tutto avendo cura di fare attenzione anche alla forma mediante la quale trustee e guardiano devono relazionarsi: mail, raccomandata etc., onde eliminare qualunque intoppo alla regolare operatività del trust.
Ovviamente, tutte queste considerazioni valgono partendo dalle premesse esposte: trust company come trustee del trust e commercialista del disponente come guardiano. Sarebbe privo di qualunque significato se, a esempio, un trustee professionale dovesse acquisire il parere di un guardiano che non ha al riguardo alcuna competenza, prima di decidere come votare l’eventuale approvazione di un bilancio.
In proposito, la R.M. 8/2003 elenca i poteri del guardiano che, se previsti nell’atto istitutivo, comporterebbero il configurarsi di un trust c. d. interposto (ricordiamo che un trust interposto è caratterizzato da un elenco di condizioni, le quali portano a definire l’istituto del trust come mera interposizione fiscale tra i beni e il reale percettore dei redditi da essi prodotti; in tal caso, il trust diventerebbe inesistente nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria).
Ciò si avrebbe, quando:
1) E’ richiesto il consenso del guardiano (disponente) prima del compimento di qualsiasi atto di alienazione di beni del trust, di costituzione di garanzie reali su di essi, di stipulazione di contratti che ne attribuiscano a terzi il godimento per qualsiasi titolo per un periodo eccedente i nove anni.
2) Il trustee non ha il potere di accettare da terzi, né di sostituire i beni in trust, senza il consenso del disponente o del guardiano.
3) Ogni disposizione dubbia deve essere interpretata "nel senso della maggiore latitudine" delle prerogative del guardiano.
4) Con riguardo agli investimenti, il trustee non può modificare il tipo, le modalità di amministrazione e gestione, né il grado di rischio, determinati dal disponente al momento del loro trasferimento.
5) Spetta solo al disponente richiedere – e in tal caso il trustee è tenuto ad aderire a tale richiesta – di rivolgersi ad altra struttura o di variare tipo, modalità e grado di rischio degli investimenti.
Superfluo precisare che non condividiamo alcune delle ipotesi indicate.
Sempre in tema di trust interposto, poi, l’Agenzia delle Entrate (circolare 43/E – 2009) fornisce un elenco di possibili fattispecie:
A) trust che il disponente (o il beneficiario) può far cessare liberamente in ogni momento, generalmente a proprio vantaggio o anche a vantaggio di terzi;
B) trust in cui il disponente è titolare del potere di designare in qualsiasi momento sé stesso come beneficiario;
C) trust in cui il disponente (o il beneficiario) è titolare di significativi poteri in forza dell'atto istitutivo, in conseguenza dei quali il trustee, pur dotato di poteri discrezionali nella gestione e amministrazione del trust, non può esercitarli senza il suo consenso;
D) trust in cui il disponente è titolare del potere di porre termine anticipatamente al trust, designando sé stesso e/o altri come beneficiari (c. d. "trust a termine");
E) trust in cui il beneficiario ha diritto di ricevere anticipazioni di capitale dal trustee.
Anche queste, in parte, non ci convincono affatto.
Fattispecie simili sono state, inoltre, riproposte dall’Agenzia delle Entrate nella sua successiva circolare 61/E – 2010:
a) trust in cui è previsto che il trustee debba tener conto delle indicazioni fornite dal disponente in relazione alla gestione del patrimonio e del reddito da questo generato;
b) trust in cui il disponente può modificare nel corso della vita del trust i beneficiari;
c) trust in cui il disponente ha la facoltà di attribuire redditi e beni del trust o concedere prestiti a soggetti dallo stesso individuati;
d) ogni altra ipotesi in cui potere gestionale e dispositivo del trustee, così come individuato dal regolamento del trust o dalla legge, risulti in qualche modo limitato o anche semplicemente condizionato dalla volontà del disponente e/o dei beneficiari.
Dobbiamo osservare che detta circolare appare in svariate altre parti (non solo in tale ultima assurda previsione), davvero assai poco condivisibile.
Ritornando al nostro atto istitutivo, ulteriori articoli saranno dedicati ai compensi che spetteranno al trustee e al guardiano. Tali onorari dovranno essere commisurati entro accettabili limiti minimi e massimi rispetto a quelli ordinariamente previsti per analoghi trust. Un trustee o un guardiano sotto-pagati potrebbero rappresentare validi indizi di scarsa autonomia, così come accade per i compensi di sindaci e revisori nelle società, con tutte le relative conseguenze negative in merito alla legittimazione del trust.
Tra le disposizioni di carattere generale, indicheremo alcune informazioni fondamentali, come quella relativa alla legge che il disponente ha inteso scegliere:
Il trust è regolato dalla Legge di Jersey, Isole del Canale.
Il trustee, col consenso del guardiano, può:
1) cambiare la legge regolatrice;
2) modificare qualsiasi disposizione di questo atto che non sarebbe valida o la cui interpretazione o i cui effetti varierebbero secondo la nuova legge regolatrice.
Oltre a ciò, verrà indicata la giurisdizione, eventuali clausole di riservatezza, la forma che deve essere utilizzata nelle varie comunicazioni, il libro degli eventi (nel quale si trascriveranno, appunto, tutti gli eventi afferenti la vita del trust) e la disciplina attinente alle possibili modificazioni dell’atto.
A proposito del libro degli eventi, non esiste obbligo di vidimazione, seppure potrebbe comunque tornare utile avere una data certa per svariate operazioni. Parimenti, non vi sono norme di legge che impongano l'adozione di un particolare sistema di contabilità. Entrambe queste scelte saranno bene e convenientemente effettuate dalla trust company nominata.
Quantunque non sempre riportata negli atti istitutivi che ci è capitato di leggere, sarà forse a causa di una nostra naturale deformazione professionale, ma noi suggeriremmo di inserire anche una “clausola fiscale” del tipo:
Agli effetti fiscali, trattandosi di trasferimento a titolo gratuito al Trustee con “segregazione” dei beni da parte del disponente signor GUIDO BIANCHI, ascendente in linea retta dei beneficiari, giusto il disposto delle Circolari dell'Agenzia delle Entrate n. 48/E-2007 e n. 3/E-2008, il trasferimento medesimo è soggetto all'imposta sulle donazioni, ma esente dalla stessa imposta in quanto il valore dei cespiti è inferiore alla franchigia stabilita dall'art. 2, comma 49, del D.L. 3 ottobre 2006 n. 262, convertito con modificazioni nella Legge 24 novembre 2006 n. 286.
Ai sensi e per gli effetti dell’art. 57, comma 2, del D.Lgs. 31 ottobre 1990 n. 346, le parti dichiarano che fra esse non sono intervenuti altri atti a titolo gratuito o vincoli di destinazione stipulati tra il 29 novembre 2006 (data di entrata in vigore della Legge 24 novembre 2006 n. 286, citata) e la data odierna, né donazioni a norma dell’art. 26 del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, nemmeno prima dell’entrata in vigore della citata legge 286/2006.
Spese, imposte e tasse del presente atto sono a carico del Disponente.
Un paragrafo conclusivo potrebbe essere, infine, opportunamente dedicato alle “definizioni e convenzioni”, onde meglio precisare quanto descritto nell’atto ed evitare qualunque eventuale – sempre possibile – fraintendimento di carattere interpretativo.
Ora, prima di chiudere, ci pare doveroso richiamare l’attenzione su un aspetto particolarmente delicato concernente la fase preparatoria dell’atto, che abbiamo volutamente tralasciato per ultimo, per pura convenienza di trattazione dell’argomento: le norme sull’anti-riciclaggio.
L’Unità d’Informazione Finanziaria della Banca d’Italia ha predisposto un documento contenente una serie di indici connessi a un anomalo utilizzo del trust. Seppure alcuni di questi, francamente, appaiano poco condivisibili, sarà bene preoccuparsi di predisporre tutta la documentazione di rito (individuazione del disponente, dichiarazioni di responsabilità, attestazioni sulla provenienza dei beni etc.) prima di istituire il trust, onde evitare di essere coinvolti in questioni, di sicuro, poco piacevoli.
Indipendentemente dal fatto che il contenuto abbia forza normativa, ci pare comunque opportuno riportare di seguito a titolo informativo quanto espresso dall’organismo in questione.
Nei rapporti e nelle operazioni con i trust, i destinatari degli obblighi antiriciclaggio valutano la ricorrenza dei seguenti fattori:
Sotto il profilo soggettivo
- istituzione di trust da parte di soggetti che, in base alle informazioni disponibili, risultano:
in una situazione finanziaria di difficoltà o prossima all’insolvenza ovvero sottoposti in passato a procedure fallimentari o di crisi;
gravati da ingenti debiti tributari con l’Amministrazione Finanziaria;
- presenza a vario titolo nel trust di soggetti che, in base alle informazioni disponibili, sono sottoposti a indagini;
- conferimento dell’incarico di trustee a soggetto che, in base alle informazioni acquisite in sede di adeguata verifica, presenta un profilo palesemente incoerente con la complessità dell’attività gestoria richiesta e le finalità del trust (a esempio, per entità/natura dei cespiti del fondo);
- reticenza del trustee nel fornire documentazione inerente al trust (esempio atto istitutivo), con conseguente ostacolo all’individuazione del titolare effettivo e dello scopo del trust;
- coincidenza tra disponente e trustee (cd. trust auto-dichiarato), tra disponente e guardiano, ovvero sussistenza di rapporti di parentela o anche di lavoro subordinato fra gli stessi;
- frequente rilascio da parte del trustee di deleghe a operare, specie se a favore del disponente o di soggetti a lui prossimi;
- revoca del trustee da parte del guardiano priva di apparente giustificazione;
- finalità del trust che appaiono incongrue rispetto ai rapporti personali, economici o giuridici intercorrenti tra disponente e beneficiari del trust, ovvero tra disponente e guardiano;
- presenza del disponente fra i beneficiari di capitale, o indicazione dello stesso quale unico beneficiario, specie se non risulta chiaramente percepibile la causa istitutiva del trust.
Sotto il profilo oggettivo
- istituzione del trust per scrittura privata autenticata e/o atto pubblico con ravvicinata ampia modifica dell’atto stesso mediante adozione di diversa forma giuridica (esempio: scrittura privata non autenticata);
- istituzione del trust in Paesi o territori a rischio, specie se il disponente o un beneficiario sono residenti in Italia, o se il fondo sia costituito anche con beni immobili siti in Italia;
- collocazione del trust al vertice di una complessa catena partecipativa, soprattutto se con diramazioni in Paesi o territori a rischio;
- presenza, nell’atto istitutivo del trust, di clausole che:
subordinano sistematicamente l’attività del trustee al consenso del disponente, dei beneficiari o del guardiano, specie in presenza di rapporti di parentela o di contiguità tra il trustee e detti soggetti;
impongono al trustee l’obbligo di rendiconto nei confronti del solo disponente, specie se questi non figuri fra i beneficiari;
prevedono il sistematico e ingiustificato utilizzo da parte del disponente di beni conferiti in trust;
non risultano comprensibili dal disponente in quanto particolarmente complesse;
- costituzione in trust di:
beni la cui consistenza o natura risulti incoerente rispetto alle finalità o alla tipologia del trust;
beni recentemente pervenuti al disponente di cui non sia nota la provenienza, specie nel caso di trust opaco;
- aziende con indicazione nell’atto istitutivo del trust di finalità generiche;
- attività gestoria da parte del trustee non coerente rispetto agli scopi che il trust dovrebbe perseguire in base all’atto istitutivo;
- operazioni di gestione effettuate dal trustee con la sistematica presenza del disponente, del guardiano o dei beneficiari;
- frequenti dazioni in favore di nominativi ricorrenti in trust opachi, specie se effettuate verso Paesi o territori a rischio;
- dazione al guardiano, a titolo di remunerazione per l’incarico svolto, di cespiti del fondo in trust o di somme non corrispondenti a quelle eventualmente previste dall’atto istitutivo.
Tirando le somme, possiamo esprimere le seguenti considerazioni di carattere generale.
Il trust dimostra di essere un eccezionale strumento giuridico, atto a conseguire obiettivi diversificati e di fondamentale importanza, che quasi mai potrebbero essere raggiunti tramite altri istituti. Proprio per detta ragione, appare fondamentale precedere l'atto da un'attenta fase di studio con numerose sessioni informative in funzione delle esigenze del cliente e, anzi, spesso proporre tale soluzione a vantaggio di coloro che magari non vi abbiano pensato, anche in situazioni completamente difformi da quella tipica trattata in questa sede (pensiamo, per esempio, ai trust holding, ai trust di scopo e garanzia e a tanti altri).
Ciò premesso, l'evoluzione giurisprudenziale (in Italia, ancora agli inizi) suggerisce massima attenzione nel predisporre le varie clausole dell'atto istitutivo, a partire dalla scelta della legge regolatrice, la quale guiderà ogni potenziale futura controversia. Detto atto dovrà essere, come già premesso, "cucito" addosso al disponente (una sorta di abito fatto su misura), rifuggendo soluzioni semplicistiche, concernenti la mera modifica di facsimili o bozze altrui. L'esposizione che precede ha esattamente l'intento di far comprendere i rischi insiti in tali deprecabili e poco professionali comportamenti, evidenziando nel contempo l'oggettiva pericolosità di determinate clausole, sotto un punto di vista generale.
Quello che appare importante rimarcare ancora una volta è la necessità di far comprendere bene al cliente come, con l'atto di trust, egli:
- perda in modo definitivo la proprietà dei beni che decide di disporre nel fondo;
- non possa pensare che il trust serva solo a proteggere il proprio patrimonio, specialmente laddove sia già a conoscenza di potenziali pretese creditorie (tanto più, se dovesse trattarsi pure di debiti tributari).
Circoscrivere l'utilità del trust a tale mero ultimo effetto di segregazione, oltre che esporci a quasi certe azioni di revoca e/o declaratorie di inefficacia dell'atto di disposizione, significherebbe svilire completamente un istituto giuridico di davvero grande utilità e rilevanza.