Paolo Soro

Residenza fiscale e imposte pagate all’estero: la circolare dell’Agenzia

Concludiamo l’argomento concernente la residenza fiscale e le imposte pagate all’estero con il terzo capitolo dedicato all’analisi della recente corposa circolare interpretativa N. 9/E del 05.03.2015, emanata dall’Agenzia delle Entrate.

La circolare fornisce chiarimenti e nozioni operative sul funzionamento del sistema del credito per le imposte pagate all’estero (onde ovviare alla doppia imposizione internazionale), affrontando una normativa che risulta particolarmente complessa e insidiosa, la quale ha come obiettivo quello di consentire la fruizione di un credito d’imposta in base all’incidenza del reddito estero sul reddito complessivo Italiano.

Come abbiamo già avuto modo di precisare in precedenza, l’ordinamento italiano ha optato per il sistema del credito d’imposta, in coerenza con il principio generale di tassazione dei residenti per tutti i redditi posseduti, ovunque prodotti. Tale sistema - a differenza del diverso metodo dell’esenzione, che consolida sempre le imposte del Paese in cui il reddito è prodotto - rende definitivo il livello di imposizione più elevato (quello del Paese della fonte o quello del Paese di residenza). Con questo metodo, infatti, quando l’imposta estera, rispetto a quella dovuta in Italia (Paese di residenza del contribuente) è inferiore, occorrerà versare all’Erario italiano la differenza; viceversa, nell’ipotesi contraria, non si darà luogo alla “restituzione” dell’eccedenza, in quanto il credito compete solo fino a concorrenza dell’imposta italiana relativa al reddito estero.

In applicazione della norma convenzionale, il diritto al credito viene riconosciuto in riferimento a qualsiasi elemento di reddito che lo Stato della fonte ha assoggettato a imposizione, conformemente alla specifica Convenzione applicabile.

In mancanza di una Convenzione, invece, occorre fare riferimento all’articolo 23 del TUIR secondo cui, ai fini dell’applicazione dell’imposta nei confronti dei non residenti, un reddito è da considerare come prodotto nel territorio dello Stato, quando sia possibile stabilirne il collegamento con una fonte produttiva situata in Italia.

L’istituto del credito d’imposta costituisce l’unico rimedio accolto dal nostro ordinamento contro la doppia imposizione internazionale e il recupero delle imposte pagate all’estero avviene mediante il meccanismo della detrazione stabilito nell’articolo 165 del TUIR. Di conseguenza, un'eventuale eccedenza di imposta estera rimasta a carico del contribuente non può essere dedotta, né è altrimenti recuperabile in Italia.

Per beneficiare del credito d’imposta previsto dall’articolo 165 del TUIR, è necessario che i redditi prodotti all’estero concorrano alla formazione del reddito complessivo del soggetto residente. L’istituto non è, quindi, applicabile in presenza di redditi assoggettati a ritenuta a titolo di imposta o a imposizione sostitutiva operata dallo stesso contribuente in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi.

Si rammenta che il contribuente ha, comunque, facoltà di non avvalersi del regime di imposizione sostitutiva e in tal caso compete il credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero.

In relazione, poi, al requisito del concorso del reddito estero al reddito complessivo, il comma 10 dell’articolo 165 del TUIR stabilisce che: “Nel caso in cui il reddito prodotto all’estero concorra parzialmente alla formazione del reddito complessivo, anche l’imposta estera va ridotta in misura corrispondente”.

Quanto alla tipologia di imposte, occorre tenere presente che le Convenzioni ispirate al Modello OCSE elencano i tributi rientranti nell’ambito del trattato al momento della sua stipula. Peraltro, nel caso in cui dovesse sorgere il dubbio che le imposte subentrate a quelle contenute nell’elenco originario abbiano natura e caratteri diversi da quelle sostituite, il contribuente potrà presentare istanza di interpello ordinario.

Analogamente, il contribuente potrà presentare l’istanza d’interpello pure nell’ipotesi in cui non sia stata stipulata una Convenzione contro le doppie imposizioni con lo Stato della fonte e sussistano obbiettive condizioni d’incertezza sull’ambito applicativo dell’articolo 165 del TUIR, causate dalla natura del tributo estero.

Sempre con riferimento ai casi in cui manchi una convenzione contro le doppie imposizioni, qualora il reddito assoggettato a tassazione in un altro Stato non sia qualificabile, in base alla c. d. “lettura a specchio” dell’articolo 23 del TUIR, come “reddito prodotto all’estero”, le imposte estere non saranno accreditabili ai sensi dell’articolo 165 del TUIR. Pur tuttavia, limitatamente a questa particolare ipotesi, la circolare chiarisce che le imposte estere possono essere considerate componenti negativi ai fini della determinazione del reddito complessivo e che, pertanto, sono deducibili quali costi inerenti l’attività d’impresa.

Similare deduzione non potrà, invece, essere accordata nelle ipotesi, diverse rispetto a quella prima descritta, in cui l’imposta pagata nello Stato estero, che risulti accreditabile ai sensi dell’articolo 165 del TUIR, non sia completamente detraibile per effetto del particolare meccanismo di funzionamento del foreign tax credit. Tale principio viene ribadito con riferimento sia ai casi di parziale concorrenza del reddito estero alla formazione del reddito complessivo - che comporta una corrispondente riduzione delle imposte estere riconosciute ai fini della concessione del credito – sia per le eccedenze di imposta che “sopravvivono” alla scadenza del periodo massimo in cui è consentito il riporto delle medesime.

Il totale dei crediti d’imposta, separatamente calcolati per ciascuno Stato, non potrà comunque superare l’ammontare dell’imposta netta dovuta in Italia.

La riduzione dell’imposta estera detraibile nei limiti della quota imponibile del reddito estero, non riguarda invece le ipotesi in cui – per effetto di differenti modalità di determinazione del reddito nei vari ordinamenti – l’ammontare del reddito estero assoggettato a tassazione in Italia non corrisponda al quantum tassato nello Stato estero. Ciò si verifica, a esempio, per il reddito delle stabili organizzazioni all’estero o per il reddito di lavoro dipendente prestato all’estero, essendo diverse le regole di determinazione vigenti nei vari Paesi.

Particolari problemi sorgono, poi, in relazione agli utili che un soggetto residente ritrae dalla partecipazione a un’entità estera trasparente (ossia, tassata in Italia per trasparenza).

Nell’ordinamento interno la società in questione viene ricompresa tra i soggetti IRES, con la conseguenza che il reddito che il residente italiano ritrae dalla partecipazione in detta società assume rilevanza, ai fini fiscali, solo al momento della distribuzione. Tale reddito viene tassato in Italia come reddito di capitale oppure concorre alla formazione del reddito d’impresa se percepito da un soggetto IRES o da un soggetto IRPEF in regime di impresa. In ogni caso la tassazione avviene in ossequio al principio di cassa.

Si verifica pertanto uno sfasamento temporale tra il momento in cui il reddito viene imputato e tassato in capo al socio italiano dell’entità trasparente nello Stato estero e il momento – successivo – in cui, a seguito dell’effettiva distribuzione, il reddito viene tassato nel nostro Paese.

Qualora non venga distribuito tutto il risultato dell’esercizio e il dividendo rappresenti solo una quota dell’utile, le imposte devono essere ridotte, naturalmente, in proporzione all’utile effettivamente distribuito.

Il comma 6 dell’articolo 165 del Tuir ha, inoltre, introdotto il meccanismo del riporto, all’indietro e in avanti (“carry back” e “carry forward”), delle eccedenze di imposta estera rispetto alla quota di imposta italiana relativa al medesimo reddito estero, nonché delle eccedenze di imposta italiana rispetto a quella estera pagata a titolo definitivo in relazione allo stesso reddito estero. Tale riporto, che copre un periodo complessivo di sedici esercizi, consente alle imprese residenti (nonché alle stabili organizzazioni in Italia di imprese estere) di utilizzare il credito anche in un periodo d’imposta diverso da quello nel quale il reddito estero ha concorso alla formazione dell’imponibile nazionale.

Un’altra ipotesi presa in esame dalla circolare è, poi, quella afferente un eventuale accertamento subito dal soggetto italiano nello Stato estero.

In tali evenienze, afferma l’Agenzia, occorre agire proporzionalmente anche in Italia, sia agli effetti del maggior reddito che, di conseguenza, del credito per le imposte effettivamente versate. In ogni caso, il reddito estero che sia stato accertato nel Paese di produzione si considera non dichiarato, con conseguente indetraibilità della relativa imposta, qualora in dichiarazione non risulti indicato un reddito derivante dalla medesima fonte produttiva e appartenente alla medesima categoria.

I diversi criteri di determinazione del reddito d’impresa possono comportare che il reddito di una stabile organizzazione assuma valore positivo per lo Stato della fonte (ove, quindi, sono prelevate le relative imposte) e valore negativo o pari a zero per lo Stato di residenza.

Può, inoltre, verificarsi che nel medesimo Stato un’impresa produca singoli redditi (royalties, interessi) assoggettati a tassazione, e una perdita derivante dalla stabile organizzazione; sicché il reddito netto prodotto in tale Stato risulta complessivamente pari a zero o negativo.

In questa fattispecie, nella quale è necessario tenere conto che l’impresa ha effettivamente prodotto redditi esteri, si ritiene possibile memorizzare le intere imposte assolte all’estero nel “basket” delle eccedenze di imposta estera sulla quota d’imposta italiana.

Nell’ipotesi in cui l’imposta estera si rende definitiva, in tutto o in parte, in esercizi successivi a quello di appartenenza del reddito estero, è necessario rideterminare il credito spettante, tenendo conto degli elementi reddituali, della quota di imposta italiana e dell’imposta netta del periodo di appartenenza del reddito, nonché delle imposte estere complessivamente pagate.

Si rammenta, inoltre, che le disposizioni del comma 6 dell’articolo 165 del TUIR, applicabili al “reddito d’impresa, prodotto da imprese residenti, nello stesso Paese estero”, sono entrate in vigore il 1° gennaio 2004. Conseguentemente, come è stato precisato nelle istruzioni ai modelli di dichiarazione, la memorizzazione delle eccedenze è stata possibile soltanto per i redditi d’impresa prodotti a decorrere da tale data e non è stata riconosciuta per le imposte estere relative ai redditi prodotti prima del 1° gennaio 2004, anche se pagate successivamente.

Le eccedenze di imposte estere che si formano a seguito della riliquidazione prevista ai sensi del comma 7, art. 165, TUIR, assumono, ai fini del riporto, la classe di anzianità del periodo in cui le imposte estere da cui derivano sono state pagate. Esse, quindi, si cumulano con le altre eventuali eccedenze di imposte estere relative al reddito prodotto nel medesimo periodo in un determinato Stato. Qualora, invece, dal reddito di periodo si generi un’eccedenza dell’imposta italiana, quest’ultima è immediatamente compensabile con l’eccedenza di imposta estera sorta nello stesso periodo, in relazione ai redditi precedentemente prodotti.

In applicazione del principio della “per country limitation” (comma 3, art. 165, TUIR), la determinazione delle detrazioni spettanti a titolo di foreign tax credit e delle eventuali eccedenze deve essere effettuata separatamente Stato per Stato.

Nell’intenzione del legislatore l’istituto del riporto delle eccedenze è finalizzato a consentire il recupero del credito inutilizzato per imposte pagate all'estero. Un’interpretazione rispettosa della ratio dell'istituto del riporto, non può che consentire – appunto – la “riportabilità”, a titolo di eccedenza, della differenza tra la sommatoria dei crediti d’imposta riferibili a ogni Stato estero, calcolati con riferimento alla corrispondente imposta lorda italiana, e il credito d'imposta globale che trova capienza nell’imposta italiana netta.

Si ritiene che non possa essere disconosciuto il metodo convenzionale di riparto che permette l'attribuzione del credito detraibile e dell'eccedenza utilizzabile all’uno o all’altro Stato, in funzione di valutazioni operate dal contribuente. Tuttavia, un’allocazione discrezionale delle maggiori eccedenze d’imposta estera tra i vari Stati esteri non può che avvenire sempre nel rispetto del citato principio della “per country limitation”. Pertanto, il contribuente, nel riallocare in modo discrezionale le maggiori eccedenze di imposta estera, dovrà considerare che a ciascuno Stato non può essere attribuita una detrazione maggiore di quella massima spettante avendo riguardo alla corrispondente imposta lorda italiana, né un’eccedenza di imposta estera maggiore di quella che trova capienza nell'imposta estera effettivamente pagata.

Nel rispetto dei limiti sopraesposti, il metodo discrezionale di riparto sopraindicato, a parere dell’Agenzia delle Entrate, sembra essere quello che meglio consente di soddisfare l’obiettivo perseguito dal legislatore delegato nel prevedere l’istituto del riporto delle eccedenze, rinvenibile nella relazione illustrativa, e comunque quello di “evitare gli inconvenienti derivanti dalle differenze che si hanno, in termini di valore assoluto, tra l’imposta estera e la corrispondente imposta italiana dovuta ai più svariati motivi”. La possibilità di utilizzare liberamente le eccedenze d’imposta estera, nei limiti menzionati, appare inoltre il metodo più idoneo al fine di eliminare la doppia imposizione giuridica, in linea con l’obbligo assunto dallo Stato italiano, nell’ambito delle convenzioni per evitare le doppie imposizioni, di accordare il credito per le imposte pagate negli altri Stati contraenti in conformità alla specifica convenzione applicabile.

La corposa circolare dell’Agenzia si conclude con un intero capitolo dedicato alle stabili organizzazioni e al relativo riconoscimento del credito d’imposta.

L’articolo 165 del TUIR è applicabile ai soggetti residenti nel territorio dello Stato nel cui reddito complessivo confluiscono anche i redditi di fonte estera. La necessaria qualifica di soggetto residente porterebbe a escludere dal campo di applicazione soggettivo tutti i “non-residenti” e, con essi, anche le stabili organizzazioni di soggetti esteri. Tuttavia, poiché l’art. 165 del TUIR non esclude esplicitamente il credito d’imposta per i soggetti non residenti, l’applicabilità di tale disposizione anche alla stabile organizzazione di un soggetto estero e, quindi, a un soggetto non residente, può essere desunta indirettamente dal combinato disposto dell’articolo 152 del TUIR e dell’articolo 81 del TUIR. Infatti, poiché anche i redditi di fonte estera concorrono a formare il reddito imponibile in Italia di una stabile organizzazione, a quest’ultima spetta il credito per le imposte pagate all’estero sui redditi ivi prodotti. E ciò vale anche se la stabile organizzazione appartiene a una persona fisica non residente.

Il riconoscimento alle stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti, del credito per le imposte pagate all’estero, risulta coerente con i principi affermati in sede OCSE. In particolare, il principio di non discriminazione, sancito dall’articolo 24 del Modello OCSE, stabilisce che l’imposizione di una stabile organizzazione che un’impresa di uno Stato contraente ha in un altro Stato contraente non dovrà essere meno favorevole di quella riconosciuta alle imprese, operanti nel medesimo settore, residenti in tale ultimo Stato. Il paragrafo 67 del Commentario al menzionato articolo 24, d’altronde, chiarisce che, in condizioni di reciprocità, se una stabile organizzazione riceve redditi esteri che sono inclusi nei suoi utili imponibili, è corretto concedere alla stessa un credito per le imposte estere prelevate su tali redditi, qualora la legislazione interna riconosca tale credito alle imprese residenti.

Purtuttavia: Se il Paese della fonte ha prelevato le imposte sulla base di una Convenzione contro le doppie imposizioni in vigore con il Paese di residenza della casa madre, le imposte estere rilevanti ai fini del foreign tax credit non potranno eccedere quelle che il Paese della fonte avrebbe prelevato qualora fosse stata applicabile la Convenzione con l’Italia nei confronti di un soggetto ivi residente. Ciò in quanto non si ritiene possibile riconoscere alle stabili organizzazioni situate nel territorio nazionale un credito per imposte estere in misura superiore a quello che sarebbe stato concesso a un soggetto residente.

Le imprese italiane che operano per il tramite di una stabile organizzazione situata in un altro Paese, possono essere assoggettate a tassazione in una molteplicità di Paesi terzi in relazione a elementi di reddito (in particolare, dividendi, interessi e royalties) attribuibili alla predetta stabile organizzazione. Nel caso in cui lo Stato della fonte sia diverso dallo Stato in cui è localizzata la stabile organizzazione dalla quale deriva il reddito estero del soggetto residente, è necessario chiarire se (e in che misura) il foreign tax credit possa essere riconosciuto.

L’Agenzia ritiene che Il riconoscimento del credito per le imposte pagate dalla stabile organizzazione in un Paese diverso da quello di localizzazione, mediante la “lordizzazione” dell’imposta pagata in tale ultimo Stato, è subordinato alla sussistenza di condizioni di reciprocità. In altri termini, il credito d’imposta non sarà concesso al lordo delle imposte pagate nello Stato terzo qualora, al verificarsi della situazione speculare di una stabile organizzazione in Italia di un soggetto residente in un altro Stato, tale ultimo Stato non riconoscesse, a sua volta, il credito per le imposte italiane al lordo di quelle pagate in un Paese terzo.

Può, infine, verificarsi anche il caso di società italiane con esercizio “a cavallo d’anno”, le quali operano attraverso stabili organizzazioni in Stati la cui legislazione prevede la necessaria coincidenza dell’esercizio con l’anno solare.

La mancata coincidenza dei periodi di imposta in Italia e nello Stato estero crea notevoli problemi in ordine alla corretta determinazione delle imposte estere rilevanti ai fini del foreign tax credit. Il reddito della stabile organizzazione sul quale sono calcolate le imposte dovute nello Stato estero, infatti, viene attribuito a due diversi esercizi della casa madre italiana. Pertanto, una società residente imputa all’esercizio che, in ipotesi, chiude al 30 giugno 2014, il reddito realizzato dalla stabile organizzazione nell’ultimo semestre 2013 e quello del primo semestre 2014, con la conseguenza che il reddito di fonte estera su cui sono calcolate le imposte dovute in Italia non coincide con il reddito su cui sono calcolate le imposte estere.

A causa di tale divergenza si rende, dunque, necessario individuare quale sia la corretta modalità applicativa dell’articolo 165 del TUIR. Orbene, l’Agenzia indica la seguente strada.

Il punto di partenza imprescindibile è rappresentato dall’imposta estera effettivamente versata. Tuttavia, poiché quest’ultima si riferisce al reddito relativo alle operazioni economiche verificatesi nell’intero esercizio cui appartiene la frazione presa in considerazione nella redazione del bilancio della casa madre, occorre determinare, ai fini dell’applicazione dell’articolo 165 del TUIR, la quota di imposte gravanti sulla singola frazione che ha assunto, di volta in volta, rilevanza.

Ai fini della predetta operazione, si ritiene che il criterio maggiormente significativo debba essere rinvenuto nella ripartizione delle imposte estere gravanti sul reddito complessivo della stabile organizzazione in proporzione ai ricavi contabilizzati nelle due frazioni del medesimo esercizio che rilevano, a loro volta, temporalmente in due diversi esercizi della casa madre. Ciò in quanto l’utile di esercizio, su cui viene calcolata l’imposta estera, si forma in maniera proporzionale al conseguimento dei ricavi.

Questa scelta interpretativa consente di rispettare le condizioni fondamentali cui è subordinata la spettanza del credito di imposta, in quanto il reddito che concorre a formare l’imponibile della casa madre è sostanzialmente il medesimo reddito che è stato già tassato all’estero (sebbene in due periodi di imposta differenti) e le imposte estere detraibili sono imposte effettivamente versate, anche se la detraibilità delle stesse dalle imposte italiane avviene, pro quota, nei due esercizi della casa madre in cui confluiscono le due frazioni che compongono il medesimo periodo di imposta estero.

Tale soluzione non presenta profili di problematicità sul piano applicativo, in quanto i dati necessari per il calcolo del credito di imposta, come sopra delineati, sono nella disponibilità della casa madre.

Inoltre, l’eventualità che, al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi da parte dell’impresa residente, le imposte estere gravanti sulla frazione del periodo di imposta che confluisce nell’imponibile della casa madre, siano state liquidate ma non ancora definitivamente versate, non preclude al contribuente la possibilità di utilizzare il relativo credito.

Riprendendo per sommi capi quanto esposto, dunque, possiamo schematicamente riepilogare quanto segue.

Le condizioni per usufruire del credito per le imposte pagate all’estero sono:

A)        il reddito per il quale è stato versato il tributo deve essere prodotto all’estero (ex art. 23 TUIR), ovvero deve essere indicato nella convenzione contro la doppia imposizione;

B)        l’imposta pagata all’estero deve essere definitiva e irripetibile;

C)        l’imposta pagata all’estero deve essere un’imposta sul reddito (o assimilabile);

D)        il reddito tassato all’estero concorre alla formazione del reddito complessivo Italiano.

Accertate tali condizioni sarà possibile procedere al calcolo dell’agevolazione.

I)          Individuare la quota delle imposte pagate a titolo definitivo, non in base alle eventuali certificazioni ricevute dai committenti esteri, ma in relazione alla normativa fiscale dello stato impositore.

II)         Computare il credito in Italia (con riguardo alle imposte versate) in proporzione all’incidenza del reddito estero su quello complessivo Italiano.

Al riguardo, si consiglia di conservare sempre adeguata documentazione che giustifichi la stima del reddito estero con indicazione dei ricavi conseguiti all’estero e i relativi costi imputati.

Il credito spettante sarà uguale al minore tra:

-           l’imposta pagata all’estero;

-           la quota dell’imposta lorda italiana (pari all’imposta italiana rapportata alla quota di reddito estero sul reddito complessivo);

-           l’imposta netta italiana.

Breve nota: è bene ricordare che la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi (ovvero, la mancata indicazione dei redditi esteri), comporterà la perdita del diritto al credito d’imposta, potendo, al più, sanare detta irregolarità mediante la presentazione di una dichiarazione integrativa, sempre che – evidentemente – ne ricorrano i presupposti.

In chiusura, possiamo affermare che il rapporto tra reddito estero e reddito complessivo (al netto delle perdite pregresse) diventa fondamentale nella determinazione del credito d’imposta: quanto maggiore risulterà il rapporto, tanto più elevata sarà la quota di imposta italiana e, di conseguenza, il credito d’imposta potenziale.

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