Paolo Soro

Panoramica internazionale: Dubai (EAU)

Dubai è la nuova capitale mondiale del business. Analizzando la situazione Paese, poi, si evincono una serie di ulteriori ragioni di carattere normativo che invogliano gli imprenditori stranieri interessati a internazionalizzare la propria attività a fare tappa negli Emirati.

Gli Emirati Arabi Uniti sono una confederazione fondata nel 1971, comprendente i sette emirati di Abu Dhabi, Dubai, Sharjah, Ajman, Umm al-Quwain, Ras Al-Khaimah e Fujairah. Data la loro posizione geografica strategica al centro delle principali direttrici est-ovest e le abbondanti riserve di combustibili fossili che ne hanno trainato la crescita economica, il Paese è diventato, nel breve volgere di mezzo secolo, uno stato moderno, i cui cittadini godono di un elevato tenore di vita. Il PIL pro-capite è, infatti, uno dei più alti al mondo; l’economia è aperta e dinamica, soprattutto per merito delle politiche di diversificazione; le zone di libero scambio presenti nello Stato, con possibilità di proprietà straniera al 100% e totale esenzione fiscale, attirano consistenti capitali esteri.

In Medio Oriente, gli Emirati Arabi Uniti sono, inoltre, il Paese con il più importante outbound travel market in termini di valore, e il secondo, dopo l’Arabia Saudita, in termini di volume. Tra i fattori determinanti, emergono:

a) l’alto reddito pro-capite in particolare della popolazione emiratina;

b) l’espansione delle rotte e l’aumento della frequenza dei collegamenti aerei da parte delle principali compagnie (Emirates Airways e Etihad Airways), oltre all’apertura dell’aeroporto Dubai World Central-Al Maktoum International Airport;

c) un costante aumento della popolazione (dovuto a uno dei maggiori tassi di natalità e immigrazione al mondo).

In merito, il brand Italia, con la sua fama di eleganza ed esclusività, è il più ammirato. L’emirato di Abu Dhabi è quello dove ha sede il Consiglio Federale Nazionale, massima espressione dell’autorità politica e legislativa. Ma il luogo in cui si concentra il maggiore livello di crescita economica e dove sono incentrati i maggiori volumi di scambi internazionali, è senz’altro Dubai, oramai eletta quale capitale del business mondiale. Giusto per fornire alcuni numeri atti a rendere l’idea dei flussi presenti, possiamo evidenziare i dati più significativi pubblicati nelle riviste specializzate:

- il Dubai International Airport accoglie 145 compagnie, con 260 destinazioni in sei continenti; è classificato come secondo aeroporto più trafficato al mondo; nel 2013 ha segnato un numero di 66,5 milioni di passeggeri e si stima per il 2020 un flusso di oltre 100 milioni di passeggeri;

- l’Al Maktoum International Airport di Dubai, situato nella zona di Jebel Aliha, ha aperto le porte ai passeggeri il 27 ottobre del 2013: nei primi due mesi, ha raggiunto un traffico passeggeri di circa 100 mila unità; ma, già nel corso del 2014, si è arrivati a oltre 40 milioni; si tratta dell’aeroporto destinato a diventare il più grande al mondo per numero di passeggeri, con quasi 200 milioni nell’anno del prossimo Expo 2020 – come noto – assegnato proprio a Dubai. E, a proposito dell’Expo, tanto per capire come funzionano le cose nell’Emirato, alla data attuale, sono state già completate oltre il 60% delle opere previste; il paragone appare ingeneroso se pensiamo che, in Italia, lo stesso livello era stato raggiunto solo un mese prima dall’apertura dell’Expo 2015 di Milano.

Quanto, infine, alle informazioni afferenti le opportunità imprenditoriali nel posto, Dubai rappresenta un centro moderno e particolarmente evoluto rispetto anche alle situazioni esistenti nelle economie occidentali: oltre l’85% della popolazione ha l’accesso a Internet (ossia, ben più di quanto esiste – a esempio – in Italia). Dubai ospita la sede di un gran numero di grosse multinazionali; e tale numero continua a crescere ogni giorno. La reputazione concernente il funzionamento dei servizi finanziari e bancari è eccellente. La maggior parte dei residenti sono cittadini non arabi. La manodopera è facilmente reperibile a costi assai inferiori a quelli cui siamo abituati (nonché con contributi irrisori), inclusi lavoratori con elevato grado di specializzazione e livello di studio. A Dubai hanno, infatti, sede alcune rinomate business schools. Anche i costi degli affitti, in genere, sono inferiori a quelli che esistono presso le nostre principali città. La vita quotidiana è piacevole, ricca di attrattive, con centri commerciali di alta gamma. L’inglese è la lingua maggiormente usata.

Entrando nell’argomento che più ci interessa in questa sede, il Consiglio Federale Nazionale degli Emirati Arabi non ha mai divulgato una legge fiscale, mentre la maggior parte dei singoli emirati ha emesso dei decreti tributari. L’emirato di Dubai, in particolare, ha pubblicato: “The Dubai Income Ordinance of 1969”, “Dubai Income Tax Decree of 1970” e “Dubai Income on branch offices of foreign bank ordinance 1996”, con successive modifiche. Ciononostante, nella pratica, Dubai ha ratificato solo in parte i decreti legislativi, e quindi soltanto alcune imposte e tasse vengono effettivamente richieste. Questo è il motivo per il quale Dubai è stato inserito nelle White List esclusivamente per talune tipologie di settori, quali:

- petrolifero, petrolchimico e gas, assoggettati a imposta (art. 2, DM 21/11/2001);

- esonero da ritenute alla fonte su taluni redditi di capitale (DM 4 settembre 1996), in quanto, in tale ambito, la Federazione consente un adeguato scambio di informazioni con l'Italia (seppure questa disposizione non venga, di fatto, quasi mai messa in atto);

- succursali di banche straniere e hotel.

In generale, peraltro, negli E.A.U. vige un regime di mercato libero, e non esiste alcun obbligo di pubblicare i bilanci (neanche una visura camerale consente di conoscere la situazione finanziaria ed economica di una qualsiasi azienda), seppure – come diremo più oltre – alcune società hanno l’obbligo di trasmettere il bilancio alle competenti autorità. Ergo, lo scambio di informazioni è, in pratica, inesistente; ciononostante, lo Stato potrebbe comparire nella generale futura White List che, al momento dell'emanazione dell'apposito decreto, sostituirà l'attuale Black List, di cui al summenzionato DM 21/11/2001.

Recentemente, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto che include, a tutti gli effetti gli EAU nella white list per quello che attiene alle ipotesi di indetraibilità dei costi provenienti da soggetti ivi localizzati. Il Paese resta, viceversa, ancora fuori dall’elenco di quelli considerati “virtuosi” dal Governo italiano per quanto riguarda il regime delle Controlled Foreign Companies (CFC). In relazione all’attuale situazione, dunque, si possono detenere partecipazioni negli E.A.U., ma si rientra in tale disciplina, la quale – di regola – prevede l'imputazione per trasparenza degli utili direttamente in capo ai soggetti residenti in Italia, senza attendere l'effettiva distribuzione degli stessi. Ovviamente, detti soggetti residenti in Italia possono chiedere la disapplicazione della disciplina CFC (sulla base delle cause esimenti contenute alle lettere a) e b), comma 5, art. 167 del TUIR), relativamente alla propria controllata estera, presentando obbligatoriamente apposito interpello all'Amministrazione Finanziaria. Al riguardo, ricordiamo brevemente, quanto segue:

Esimente di cui alla lettera a)

Per dimostrare il collegamento fisico della struttura commerciale o industriale della società estera controllata con il territorio CFC, bisogna presentare la seguente documentazione: scritture contabili della partecipata estera, prospetto descrittivo dell'attività esercitata, contratti di locazione degli immobili adibiti a sede degli uffici e dell'attività, copia delle utenze elettriche e telefoniche relative agli uffici e agli altri immobili utilizzati, contratti di lavoro dei dipendenti che indichino il luogo di prestazione dell'attività lavorativa e le mansioni svolte, conti correnti bancari accesi presso istituti locali, estratti dei conti bancari che diano evidenza delle movimentazioni finanziarie relative alle attività esercitate, copia dei contratti di assicurazione relativi ai dipendenti e agli uffici, autorizzazioni sanitarie e amministrative relative all'attività e all'uso dei locali.

Per dimostrare che l'attività svolta nel paese CFC è quella principale, la stessa deve essere quantitativamente superiore ad altre attività comunque svolte. Inoltre, l'attività commerciale o industriale deve essere principale con riferimento, non all'ambito territoriale globale, bensì all'ambito territoriale nello Stato o nel territorio nel quale ha sede la società estera. Nel caso in cui venga presentata istanza di interpello e la stessa non contenesse informazioni dettagliate in proposito, sarebbe necessario allegare un prospetto che illustri la ripartizione delle div erse attività condotte e l'eventuale dettaglio distintamente per i diversi Paesi in cui l'attività è svolta.

Esimente di cui alla lettera b)

Per dimostrare che dalle partecipazioni non consegue l'effetto di localizzare i redditi in un Paese a fiscalità privilegiata, bisogna dimostrare che i redditi conseguiti dal soggetto non residente (estero Black List) sono stati prodotti per almeno il 75% in Stati inclusi nella White List (nazioni virtuose), a condizione che il Paese da dove provengono (Stato della font e) li abbia assoggettati integralmente a tassazione ordinaria.

L'art. 13, Decreto Anticrisi ha modificato solo la prima esimente contenuta nel comma 5, lettera a), art. 167, del TUIR, precisando che l'attività della società estera controllata deve essere svolta non più nello Stato o Territorio nel quale ha sede, bensì nel mercato dello Stato o Territorio di insediamento. L'investitore italiano ha, conseguentemente, la necessità di dimostrare, non solo la mera disponibilità in loco di una struttura organizzativa, ma anche la presenza di ulteriori fattori di connessione con lo Stato di insediamento.

In merito, ricordiamo che un’attività si considera radicata nello Stato estero, quando la stessa è costituita allo scopo di “…partecipare, in maniera stabile e continuativa, alla vita economica di uno Stato membro diverso dal proprio Stato di origine e di trarne vantaggio…” (Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 12 settembre 2006, causa C-196/04). Nel caso in cui, invece, gli EAU siano effettivamente inclusi nella White List, sarà sufficiente ricorrere alla nuova causa esimente introdotta con il Decreto Anticrisi (che trova applicazione nelle ipotesi di partecipazioni detenute in società residenti nei Paesi non Black List), dimostrando che l'insediamento all'estero non rappresenta una costruzione artificiosa volta a ottenere un indebito vantaggio fiscale.

Con riferimento alle questioni afferenti, in generale, il domicilio fiscale all’estero, corre l’obbligo di effettuare un breve inciso per segnalare una recente pronuncia della Cassazione (6501 del 31.03.2015), nella quale la S. C. contraddice il costante orientamento adottato in sede accertativa da parte dell’Agenzia delle Entrate, relativamente alle presunzioni di residenza, affermando che:

“Le relazioni affettive e familiari non hanno una rilevanza prioritaria ai fini probatori della residenza fiscale, venendo in rilievo solo unitamente ad altri probanti criteri – idoneamente presi in considerazione nel caso in esame – che univocamente attestino il luogo col quale il soggetto ha il più stretto collegamento”.

Ai fini delle imposte sui redditi, si considerano aventi residenza fiscale in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta, risultino iscritte nelle anagrafi della popolazione residente, ovvero abbiano la residenza, ovvero ancora il domicilio nel territorio dello Stato ai sensi del codice civile. Si considerano, peraltro, residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con decreto del Ministro delle finanze. Si tratta, dunque, di una presunzione relativa di residenza nel nostro Paese nei confronti dei cittadini italiani che trasferiscono la propria residenza o il proprio domicilio in Paesi a fiscalità privilegiata. In tali casi, per vincere la presunzione di “residenza in Italia”, il contribuente deve dimostrare di risiedere effettivamente in quei Paesi o territori. Ovverossia: il centro degli interessi vitali del soggetto va individuato dando prevalenza al luogo in cui la gestione degli interessi principali viene esercitata abitualmente in modo riconoscibile dai terzi. A parere dei Giudici di Piazza Cavour, il fatto di aver lasciato la famiglia e le relazioni affettive in Italia non è sintomatico di un’elusione a priori, e, di conseguenza, del fatto che la residenza fiscale sia rimasta nel nostro territorio.

Chiuso l’inciso, è in ogni caso da riscontrare come gli Emirati Arabi abbiano provveduto a stipulare con tutti i principali Stati (Italia inclusa), ordinari Trattati Bilaterali contro la Doppia Imposizione, per evitare che un soggetto sia tassato in due Paesi per la stessa fonte di reddito nel medesimo periodo. A proposito di dette normative, il Dubai International Financial Centre (DIFC) è una “free zone” federale finanziaria, governata da proprie leggi e auto-regolamentata sui fondamenti giuridici di Common Law, tramite un organismo chiamato Dubai Financial Services Authority (DFSA). In particolare, per quanto concerne il settore finanziario, a esempio, non vi sono differenze tra le autorizzazioni necessarie nel sistema bancario e in quello finanziario: in entrambi i casi, infatti, per svolgere tali attività è necessaria una particolare licenza, legata a criteri di territorialità e concessa in base all’effettivo svolgimento e localizzazione dell’attività. Ciò, evidentemente, a maggiore tutela degli investimenti esteri nel Paese.

1. Le società

Nel rispetto della legge federale, i soggetti stranieri che desiderano operare negli EAU possono scegliere tra differenti strutture societarie, che vanno dalle semplici “Partnership” personali, alle Compagnie con azioni quotate nel pubblico mercato. Peraltro, le forme più comuni e generalmente utilizzate sono le tre seguenti:

  1. Limited Liability company (LLC);
  2. Free Zone Entity (FZE);
  3. International Business Company (IBC).

Ovviamente, poi, le aziende possono anche limitarsi a localizzare mere filiali o uffici di rappresentanza per conto di una società che mantiene la sua sede principale all’estero.

Limited Liability Company (LLC)

Una LLC può essere costituita da un minimo di 2 fino a un massimo di 50 soci che mantengono (come nelle nostre SRL – SPA) la responsabilità limitata alle quote di capitale sottoscritte. In tali società, peraltro, i soci non residenti possono acquisire solamente il 49% del capitale (il restante 51% è appannaggio di soci emiratini). Parimenti risulteranno anche i diritti agli utili, ovvero gli obblighi di copertura delle perdite. Queste società possono avere attività commerciali che operano direttamente nel mercato locale.

Free Zone Entity (FZE)

Se il business non necessita di agire commercialmente nel mercato di Dubai, limitandosi ad acquisire una sede ed eventualmente forza lavoro del posto, la soluzione migliore è senz’altro quella fornita dalla FZE. In queste società è previsto un numero massimo di 5 soci, nonché un direttore/segretario residente, ma il capitale può essere detenuto al 100% da soggetti stranieri, con possibilità di godere di un periodo di totale esenzione fiscale che va da un minino di 15 a un massimo di 50 anni (sull’argomento prettamente tributario torneremo, comunque, più avanti). Oltre a ciò, non esistono limitazioni al rimpatrio dei capitali, né dazi doganali all’importazione (sul già citato presupposto che non si opera commercialmente a Dubai), e le formalità di costituzione sono molto limitate, venendo formalizzate direttamente con l’autorità della locale free zone presso cui viene stabilita la sede.

International Business Company (IBC)

Attraverso la sua free zone di Jebel Ali, Dubai offre, altresì, la possibilità di costituire una IBC. Questa particolare forma societaria risulta essere ideale per quelle attività che non richiedono l’acquisizione di un ufficio locale come sede (tipicamente, le holding), ma è preclusa qualunque attività commerciale all’interno degli EAU. Di regola, peraltro, i soci (esiste pure la possibilità di socio unico) non avranno alcun obbligo di acquisire un visto degli Emirati, né depositare il capitale in banca e nemmeno trasmettere il bilancio all’Autorità locale. Dette società, de facto, vengono considerate a tutti gli effetti, anche impositivi, semplicemente come soggetti non residenti.

2. L’imposizione fiscale e gli adempimenti contabili

In conclusione, vediamo una rapida panoramica concernente il sistema di imposizione fiscale e gli eventuali adempimenti di carattere dichiarativo e contabile previsti.

- Imposte dirette (LLC)

Per quanto riguarda le LLC, occorre tenere presente che, sulla base della legislazione, ogni organizzazione che conduce un commercio o un’attività (incluse prestazioni di servizi), all’interno dell’Emirato di Dubai, è soggetta al versamento delle imposte sul reddito. Peraltro, al momento, il governo di Dubai – come detto – ha ratificato solo le imposte sul reddito delle filiali di banche estere e delle società operanti nei settori petrolifero, del gas e petrolchimico. In ogni caso, i decreti legislativi indicano che, se le imposte sul reddito dovessero entrare in vigore, il governo avrebbe la facoltà di applicarle retroattivamente. Le fasce di reddito sono suddivise in funzione del seguente criterio progressivo:

- Reddito da AED 1.000.000 < di AED 2.000.000 10%;

- Reddito da AED 2.000.000 < di AED 3.000.000 20%;

- Reddito da AED 3.000.000 < di AED 4.000.000 30%;

- Reddito da AED 4.000.000 < di AED 5.000.000 40%;

- Reddito > di AED 5.000.000 55%.

Nota: la moneta locale, AED (il Dirham degli EAU), al cambio odierno è pari all’incirca a 0,25 Euro.

Non esistono altre imposte sul reddito, come pure, imposte sulle plusvalenze e sul capitale.

- Contributi sociali (LLC)

Per i lavoratori stranieri non è prevista alcuna tipologia di contribuzione previdenziale / assicurativa. Viceversa, nei confronti dei dipendenti di nazionalità emiratina, i datori di lavoro versano un importo pari al 12,5% dello stipendio (attività del settore pubblico) e 15% (attività del settore privato). Ovviamente, non sono prescritte altre forme di retribuzione (gratifiche, mensilità aggiuntive, TFR etc.), al di là dell’ordinario salario mensile.

- Imposte indirette (LLC)

L’unica imposta prevista è l’Imposta di registro (stamp duty). Peraltro, nessuna imposta viene richiesta per il trasferimento di beni mobili; mentre, per gli immobili, è applicata una percentuale pari al 2% del valore della transazione, con il venditore che in teoria dovrebbe versare lo 0,5% e l’acquirente il restante 1,5%, anche se, nella pratica, la prassi è quella di suddividere l’aliquota totale (2%), al 50% tra venditore e acquirente.

Imposta sul consumo

Agli hotel, ristoranti e alle società che affittano appartamenti di vacanza è richiesto di applicare sul

proprio listino una tassa che varia dal 5% al 10%.

Property Tax

Il datore di lavoro, al rinnovo annuale della licenza della società o filiale estera, è tenuto al versamento di questa tassa, che è calcolata sulla base dell’affitto pagato dai propri dipendenti. Può essere applicata una tassa fissa per i dipendenti, mentre per i quadri superiori è una percentuale che si attesta al 5%. I quadri superiori del settore bancario, scontano invece una percentuale che arriva al 15%.

Dazi doganali

E’ stata fissata un’imposta nominale del 5% per l’importazione della maggior parte dei beni nell’area di Dubai (non free trade zone), a eccezione di prodotti e derivati di alcool e tabacco, per i quali vengono applicati dazi maggiorati. I beni, una volta introdotti, non sono, però, più sottoposti a tassazione nel caso transitino negli altri 6 emirati.

Quanto al resto: niente IVA, né imposte di successione o donazione.

- Imposte (FZE)

Per una FZE, la situazione è molto meno “gravosa”. Non sono previste imposte sul reddito, né su dividendi, royalties o interessi, né su trasferimenti di redditi o capitali o utili, né alcuna ritenuta alla fonte. Analogamente, non esistono dazi doganali, imposte di successione o donazione, né IVA. Permane, viceversa, l’Imposta di registro (stamp duty), come già indicato in precedenza: nessuna imposta viene richiesta per il trasferimento di beni mobili; mentre, per gli immobili, è applicata una percentuale pari al 2% del valore della transazione, con il venditore che in teoria dovrebbe versare lo 0,5% e l’acquirente il restante 1,5%, anche se, nella pratica, anche qui la prassi è quella di suddividere l’aliquota totale (2%), al 50% tra venditore e acquirente. Non vengono, infine, applicati: regime delle CFC, Transfer Pricing e Thin Capitalisation.

- Contributi sociali (FZE)

Analogamente a quanto già visto per la precedente struttura societaria, anche nelle FZE, per i lavoratori stranieri non è prevista alcuna tipologia di contribuzione previdenziale / assicurativa. Viceversa, nei confronti dei dipendenti di nazionalità emiratina, i datori di lavoro versano un importo pari – questa volta – al 5% dello stipendio. Ovviamente, anche per tale fattispecie societaria, non sono prescritte altre forme di retribuzione (gratifiche, mensilità aggiuntive, TFR etc.), al di là dell’ordinario salario mensile. Quanto agli adempimenti dichiarativi, l’attuale normativa richiede la presentazione di un modello di denuncia assai semplificato, ma solo – ovviamente – per le società che sono soggette alle imposte sul reddito. In pratica, dunque, per la maggior parte delle società non vige alcun obbligo dichiarativo. Quanto alla redazione del bilancio d’esercizio, le filiali di entità estere devono inoltrare il bilancio (certificato da un Local Agent, dotato di licenza contabile), al Ministero dell’Economia, nel periodo antecedente il rinnovo della loro Business Licence. Il Ministero dell’Economia rilascerà, a sua volta, una lettera con l’autorizzazione a procedere indirizzata al Department of Economic Development . Le società LLC e quelle operanti con una Professional Business Licence, in ogni caso, non sono tenute a presentare il bilancio revisionato al momento del rinnovo annuale della licenza. Ultima particolarità in materia di bilanci, le perdite possono essere riportate per i due esercizi successivi.

In conclusione, oltre all’aspetto prettamente economico, Dubai riserva ottime sorprese anche con riguardo alla materia previdenziale, fiscale e agli adempimenti contabili connessi: non si vede proprio perché mai un’impresa, anche piccola, che voglia espandere il proprio business e internazionalizzarsi, non dovrebbe fare tappa, per prima cosa, negli Emirati Arabi Uniti, presso la capitale mondiale del business.

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