Il 2 dicembre 2013 i contribuenti saranno chiamati a versare l’usuale seconda rata degli acconti relativi alle imposte IRPEF, IRES e IRAP. La scadenza ufficiale sarebbe il 30 novembre, che però, quest’anno, cade di sabato e quindi è automaticamente posticipata al primo giorno feriale successivo, ossia per l’appunto lunedì 2 dicembre.
Il governo, nella sua infinita bontà, a giugno aveva previsto, a decorrere dal 2013, un piccolo aumento dell’1% per tutti gli acconti: “Un sacrificio che gli Italiani devono fare per poter compensare il mancato aumento dell’IVA a ottobre dal 21% al 22%; se no i conti non tornano e salta la copertura finanziaria”. Ebbene, non sappiamo chi sia la testa d’uovo che fa i conti al governo, ma evidentemente questo “sacrificio degli Italiani” servirà per foraggiare le spese di qualcun altro, posto che l’aumento dell’IVA – come tutti sappiamo – si è regolarmente verificato a ottobre, mentre gli inopinati aumenti degli acconti di novembre sono rimasti invariati.
Senonché, ciò che a una normale persona di buon senso, dotata di media intelligenza e cultura, pare una vera e propria illogicità (sia grammaticale che matematica), è che, a seguito degli aumenti in argomento, le persone fisiche andranno a pagare un acconto IRPEF del 100% e un acconto IRAP (chi vi è soggetto) del 100%, e le persone giuridiche andranno a pagare un acconto IRES del 101% e un acconto IRAP del 101%.
- 101%? Addirittura?
In effetti, già suona alquanto strano parlare di “acconto del 100%”:
- Caro, c’è da pagare la retta annuale di 1.000 euro per la scuola.
- Sì, cara, lo so; domani vado e gli verso un acconto del 100%.
- Caro, fai una cosa, dopo, passa anche in ospedale a farti fare una visita neurologica.
Ma che significa “acconto del 100%”? Se è il 100%, non si tratta più di un acconto, ma del totale. Semmai, si parlerà più correttamente di anticipo salvo conguaglio; per quanto, capisco che il termine, così modificato, risulterebbe assai difficile da interpretare per le summenzionate teste d’uovo governative.
E passi pure l’ossimoro matematico, o antinomia, o contraddizione, o chiamatela come vi pare, dell’acconto del 100%; il governo non si ferma qui e conia anche il famigerato “acconto del 101%”.
Che dire, già i nostri neuroni (tornando all’auspicata visita medica di prima) erano stati messi a dura prova dall’acconto del 100%, questo ulteriore del 101%, proprio non ci riesce di comprenderlo. Magra consolazione: siamo assolutamente certi di essere in buona e ampia compagnia nel condividere questa nostra ignoranza.
Riprendendo il dialogo dei due coniugi, l’anno seguente:
- Caro, ti ricordo che in questo periodo c’è da pagare la retta della scuola.
- Certo, cara, vado subito a versare un acconto del 101%.
- No, caro, ci vado io, che se no tu, poi, con la scusa che non hai avuto tempo, non passi in ospedale a farti fare quella visita neurologica.
Risulta vieppiù evidente come anche, e anzi a maggior ragione, in questo caso, si tratti semplicemente di un anticipo salvo conguaglio, che va calcolato nella percentuale del 101% rispetto al reddito dichiarato l’anno precedente (seppure, data la crisi, è assai presumibile che il reddito dell’anno successivo sarà inferiore rispetto a quello dell’anno prima).
Ma, evidentemente, usare i termini corretti non conviene: non creerebbe quella confusione psicologica su cui si fondano tutti i basilari principi elettorali. Non c’è altra spiegazione possibile. Un tempo, i nostri stimati governanti si limitavano alle “convergenze parallele”, o alla “una tantum” che di fatto era al massimo “una – ogni – tantum” (il latino, si sa, è una lingua morta da secoli). Oggi abbiamo appunto gli “acconti del 101%” o la famigerata “crescita negativa”, altro ossimoro matematico: se è negativa (ossia, ha il segno meno davanti, per usare un linguaggio che capiscono anche i bambini delle elementari), non è una crescita, è una decrescita (la matematica non è un’opinione, e nemmeno una lingua morta come il latino). Però, di sicuro, dal punto di vista psicologico, sembra quasi una cosa neutra e non del tutto negativa come, viceversa, sostanzialmente è nella realtà: c’è, è vero, il termine “negativa”, ma anche la parola “crescita”, che è un qualcosa di mentalmente positivo.
In conclusione, sarebbe etico (parola, capisco, fuori moda) smetterla di offendere l’intelligenza dei contribuenti con tali manifeste prese in giro: chiarezza e verità, a nostro avviso, ci renderebbero tutti più felici e un pochino meno arrabbiati per l’inusitata pressione fiscale che continuiamo a subire.
Per il resto, paghiamo, come doveroso, ciò che la legge impone, e limitiamoci a sperare che, questa volta, così, tanto per cambiare, le entrate dello Stato vengano usate dal governo in maniera corretta e non soltanto per coprire le uscite causate dai consueti “svaghi parlamentari”.
La speranza, come si dice, è l’ultima a morire…