Paolo Soro

Le spese delle controversie in Commissione Tributaria

Nonostante siano ormai passati più di 15 anni da quando la legge ha previsto la totale applicazione delle norme della procedura civile al processo tributario, il risarcimento del danno nel contenzioso tributario continua a rimanere assai aleatorio e incerto; pure in caso di totale vittoria del giudizio.

Nonostante siano ormai passati più di 15 anni da quando la legge ha previsto la totale applicazione delle norme della procedura civile al processo tributario, il risarcimento del danno nel contenzioso tributario continua a rimanere assai aleatorio e incerto; pure in caso di totale vittoria del giudizio.
Il codice di procedura civile sancisce:
“Il giudice che accerta l’inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziale, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l’esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l’attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza” (art. 96).
La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 13899 del 3 giugno 2013, ha affermato che il giudice tributario può riconoscere anche la domanda risarcitoria proposta dal contribuente, potendo, di fatto, liquidare in favore di quest’ultimo il danno derivante dall’esercizio, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di una pretesa impositiva “temeraria”, connotata da mala fede o colpa grave. In pratica, il concetto di responsabilità processuale deve intendersi comprensivo anche della fase amministrativa che ha dato luogo all’esigenza di instaurare un processo ingiusto il quale, a esempio, poteva essere evitato ricorrendo all’esercizio del potere di autotutela.
Detta conclusione non può che essere condivisa, rappresentando un’esplicazione del buon andamento e dell’imparzialità dell’amministrazione dei pubblici uffici, sancito dall’art. 97 della Costituzione. Occorre, oltre tutto, rammentare al riguardo come, nei rapporti Fisco – Contribuente, il dovere di adottare un comportamento secondo collaborazione e correttezza, previsto dall’art. 10 dello Statuto dei diritti del contribuente (L. 212/2000), venga troppo spesso del tutto ignorato.
Al contrario, con la sentenza n. 14506 del 10 giugno 2013, la Corte di Cassazione ha stabilito che, qualora il concessionario per la riscossione dei tributi, nel procedere all’iscrizione di un’ipoteca ai sensi dell’art. 77 del D.P.R. 602/1973, avesse adottato un comportamento asseritamente illecito, prospettato dal contribuente come causa del danno subito e del risarcimento da questi preteso, l’indagine sulla legittimità di una tale condotta apparterrebbe alle competenze del giudice ordinario, costituendo una mera questione pregiudiziale e non una causa di natura tributaria. In tal senso, già in una precedente sentenza, la n. 15 del 2007, pure le Sezioni Unite della Cassazione avevano avuto modo di precisare che: “Qualora la domanda di risarcimento dei danni sia basata su comportamenti illeciti tenuti dall’Amministrazione Finanziaria dello Stato o di altri enti impositori, la controversia, avendo a oggetto una posizione sostanziale di diritto soggettivo del tutto indipendente dal rapporto tributario, è devoluta alla cognizione dell’autorità giudiziaria ordinaria, non potendo sussumersi in una delle fattispecie tipizzate che, ai sensi dell’art. 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, rientrano nella giurisdizione esclusiva delle Commissioni Tributarie”.
Orbene, posto che il confine tra le due conclusioni a cui perviene la Suprema Corte, a parere di chi scrive, sembra davvero molto labile, onde evitare un rigetto per carenza di giurisdizione, sarà quindi consigliabile che venga riposta la massima attenzione alla concreta fattispecie, nel momento in cui si formula una domanda di risarcimento all’interno del ricorso tributario.

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