Paolo Soro

Il nuovo contratto di lavoro a termine

Con riferimento alla disciplina dei contratti di lavoro a tempo determinato, emanata nel recente DL 34/2014, occorre focalizzare l’attenzione su alcune questioni che potrebbero dare adito a differenti interpretazioni.

Con riferimento alla disciplina dei contratti di lavoro a tempo determinato, emanata nel recente DL 34/2014, occorre focalizzare l’attenzione su alcune questioni che potrebbero dare adito a differenti interpretazioni.
La nuova disposizione interviene, innanzitutto, sulle ragioni giustificatrici del contratto, abolendole, e introducendo, in via generale, a partire dal 21 marzo 2014, un contratto “acausale”. L’art. 1 afferma che il contratto a tempo determinato può essere stipulato per iscritto per un massimo di trentasei mesi, comprensivi di eventuali proroghe (fino a un massimo di otto), per qualsiasi tipo di mansione. Rimane in essere solo la necessità che la proroga si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato.
Nel rispetto del decreto in parola, poi, il numero complessivo dei rapporti non può superare il 20% dell’organico complessivo, mentre le imprese dimensionate fino a cinque unità possono sempre stipulare un contratto a tempo determinato.
Il primo problema che si pone riguarda i contratti a termine in essere, soprattutto, per quel che concerne il regime delle proroghe.
Si applica anche a essi o, invece, restano disciplinati, fino alla loro naturale scadenza, dalle vecchie norme?
Occorre considerare due elementi principali:
1.    La normativa in questione non è una nuova legge che va ad aggiungersi a quelle preesistenti, bensì una modifica al dettato normativo in vigore: “le parole… sono sostituite con le parole…”. Ciò significa che, nel momento in cui, 21 marzo 2014, entra in vigore detta modifica, la normativa che regola i contratti a termine sarà quella “nuova” che prevede la possibilità di rinnovo del precedente rapporto senza specificazione di una causale, fino a 36 mesi, per un massimo di 8 volte e con il solo limite sopra accennato della percentuale massima dei rapporti a tempo determinato rispetto al totale della manodopera in forza.
2.    Altro elemento da tenere in debito conto è quello concernente l’incostituzionale disparità di trattamento che si verrebbe a creare laddove i vecchi contratti a tempo determinato in essere, in fase di rinnovo, venissero circoscritti ai limiti della normativa previgente, rispetto alla liberalizzazione di cui viceversa godrebbero coloro che attivassero dei contratti di lavoro a termine a partire dal 21 marzo.
Si deve, dunque, senz’altro concludere che tutti i rinnovi (analogamente ai nuovi contratti) che decorrano dal 21 marzo 2014 sono automaticamente soggetti alla nuova disciplina in vigore appunto da tale data.
Il secondo fondamentale problema attiene al limite ora imposto (e prima inesistente) del 20%. Vediamo di esplicitare, meglio, nel dettaglio la norma in argomento.
1.    A cosa corrisponde in pratica questo 20%? Il 20% significa un lavoratore a tempo determinato su cinque complessivi. Viene specificato, però, che, in ogni caso, fino a cinque dipendenti, è sempre possibile procedere all’instaurazione di almeno un contratto a termine senza alcun altro limite minimo. Ergo, in base alla legge (che, a mio modesto parere, risulta essere in questo deficitaria), l’impresa che ha in forza un dipendente può avere un rapporto a tempo determinato così come parimenti averne sempre solo uno anche l’impresa che ha in forza fino a nove dipendenti. Sinceramente, pare doveroso intervenire con dei correttivi sul punto, posto che esiste un’enorme differenza sostanziale tra le due tipologie imprenditoriali anzidette.
2.    Qual è il momento in cui conteggiare il 20%? La norma non precisa nulla con riguardo a eventuali medie pregresse di occupati (come, invece, risulta in altre disposizioni speciali – vedere a esempio per la CIGS). Pertanto, il calcolo del 20% deve essere verificato con riferimento alla data effettiva in cui si procede all’instaurazione del rapporto.
3.    Su che base deve calcolarsi il 20%? Qui, il tenore letterario della disposizione non fa riferimento alle singole unità lavorative ma parla genericamente di organico complessivo. Pare, dunque, che il calcolo debba farsi tenendo conto del fatto che i lavoratori a tempo parziale andranno computati pro-quota, mentre quelli intermittenti in proporzione all’orario di lavoro effettivamente prestato nell’arco di ciascun semestre. Sulla base delle precedenti circolari INPS dettate in materie analoghe, non dovrebbero viceversa potersi conteggiare: gli apprendisti, gli assunti con contratti d’inserimento e i lavoratori assunti dopo essere stati addetti in lavori socialmente utili o di pubblica utilità; mentre restano forti dubbi sul computo dei contratti di somministrazione.
4.    Quali sono le esclusioni previste? Il legislatore ha fatto salvo quanto disposto dall'art. 10, comma 7, del D.Lgs. 368/2001, e ciò dovrebbe comportare che:
a)    i limiti percentuali stabiliti dai contratti collettivi nazionali stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi prevalgono sul limite legale del 20%, sia se inferiori, sia se superiori a esso; anche se un’interpretazione meno letterale e più sistematica dovrebbe portare a ritenere che il limite legale del 20% si debba considerare come tetto di garanzia minima per lo sviluppo occupazionale, con riferimento al quale, dunque, la contrattazione potrebbe solo migliorare, e non anche peggiorare;
b)    continuano a valere le esclusioni elencate nelle lett. a), b), c) e d) dello stesso comma 7; ossia, resterebbero esclusi dall’applicazione del 20%:
-    i contratti a tempo determinato conclusi nella fase di avvio delle nuove attività;
-    i lavoratori assunti per ragioni di carattere sostitutivo, nonché i lavoratori stagionali (sarà opportuno in tali casi che nel contratto risulta esattamente specificata la causale del tipo di assunzione);
-    i lavoratori assunti per far fronte alla particolare intensificazione dell’attività lavorativa in determinati periodi dell’anno;
-    i contratti a tempo determinato stipulati a conclusione di un periodo di tirocinio o di stage, allo scopo di facilitare l'ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, ovvero stipulati con lavoratori di età superiore ai cinquantacinque anni, o conclusi quando l'assunzione abbia luogo per l'esecuzione di un'opera o di un servizio definiti, o predeterminati nel tempo e aventi carattere   straordinario o occasionale.
In conclusione, pare superfluo evidenziare come la normativa in questione presenti non pochi elementi che prestano il fianco a divergenze interpretative e, dunque, sia particolarmente auspicabile, o un intervento modificativo da parte del Legislatore in fase di conversione in legge del decreto, o quanto meno un intervento chiarificatore della lettura della disposizione legislativa da parte del competente organo ministeriale.

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