Il Quantitative Easing (QE), letteralmente: facilitazione/alleggerimento quantitativo, rappresenta quella manovra finanziaria che, in questi giorni, dovrebbe essere finalmente messa in atto dalla Banca Centrale Europea, consistente nel produrre nuova moneta, al fine di acquistare titoli di Stato dalle banche dei vari Paesi membri, per far si che queste ultime possano concedere più credito (e, a tassi inferiori) alle imprese e alle famiglie, creando così le condizioni di base per incrementare la spesa e conseguentemente dare nuovo slancio all’economia generale.
Funzionerà o non funzionerà?
L’economia non è una scienza esatta: le teorie, nel corso degli anni, hanno subito tali e tanti profondi sconvolgimenti che quanto reputato corretto solo qualche decennio addietro, ora parrebbe essere assolutamente errato (o, almeno, così insegnano gli odierni economisti). Peraltro, come non vi era certezza prima, non ve ne è neppure adesso. D’altronde, anche in questo consiste il fascino della materia economica.
Fatte tali premesse, non saremo certo noi, in questa sede, ad annunciare previsioni al riguardo. Nel contempo, però, non vogliamo neanche esimerci dall’esaminare la situazione ed esprimere al riguardo alcune semplici e brevi considerazioni.
In generale, partiamo da una condizione generale in cui, dobbiamo ammetterlo, personalmente non vediamo alcun segno di effettiva ripresa. Anzi, a dispetto di tutti i bei discorsi che sentiamo, ci pare proprio che manchino le premesse per una crescita, soprattutto con riferimento alla realtà delle piccole e micro aziende, le quali, in Italia, rappresentano l’ossatura dell’intero tessuto imprenditoriale. Il governo, dal canto suo, sembra non perda occasione per legiferare (pur essendo costituzionalmente mero organo esecutivo) a scapito e non a favore della menzionata ripresa economica. Semplicemente, così come strutturato, il panorama nostrano evidenzia sempre di più un ampliamento del gap esistente, innalzando il livello di ricchezza dei grandi gruppi e diminuendo quello dei piccoli, oramai quasi ridotti alla mera sussistenza. Quando i “pesciolini” scompariranno definitivamente dal mare, gli “squali” si attaccheranno a vicenda, auto-eliminandosi.
Tutti i grossi imprenditori, sembrano essersi completamente dimenticati che il loro attuale status è dovuto alla presenza della restante parte della popolazione: spariti i consumi di massa, cesserà anche la produzione e, con essa, l’odierna condizione delle grandi società.
Tornando, però, al thema decidendum, la riuscita della manovra di QE è evidentemente legata a svariati fattori: oggettivi e soggettivi. Bene fa, dunque, Draghi a tergiversare quanto necessario per poterla predisporre nella migliore maniera possibile.
Dal punto di vista oggettivo, occorre capire esattamente quale dovrà essere l’importo di QE: ossia, in sostanza, quale somma di nuova moneta (e conseguenti acquisti di titoli) dovrà essere stanziata. Se, per far ripartire il volano economico, necessitano, a esempio, mille miliardi, stanziarne di meno, potrà, per assurdo, non solo essere inefficace, ma addirittura causare un ulteriore aggravio deflattivo. Per contro, non possiamo neppure pensare di esagerare nel verso opposto: perché anche il rischio di un improvviso spropositato livello d’inflazione, non sarebbe un fattore positivo.
Inflazione e deflazione hanno immediate ripercussioni sul volume delle importazioni e delle esportazioni: occorre sempre un corretto bilanciamento, specie nell’attuale macroeconomico sistema mondiale globale, se desideriamo che il generale impianto economico del singolo Paese sia credibile, forte e duraturo.
Si ipotizza di lanciare questa manovra come una sorta di bomba necessaria per svegliare le economie nazionali dall’attuale torpore economico. Potrebbe bastare, ma ci sembra francamente troppo rischioso. Siamo per le azioni oculate e ben programmate. Il laissez faire privo di indispensabili regole, ben lungi dall’essere libertà economica, non ha mai portato nulla di buono; e questo è acclarato.
In merito, allora, diventa fondamentale pure fissare il timing dell’intera manovra: differenti gradi di immissione del denaro a determinate scadenze preordinate; suddivisione dei rischi; individuazione dei soggetti (ossia, quali titoli di Stato acquisire? Esempio: Grecia e Cipro hanno titoli con rating “junk”). Tenendo, inoltre, presente la nuova recentissima politica monetaria appena intrapresa dalla Svizzera, rispetto all’euro. Insomma, la questione è tutt’altro che semplice.
In un’ottica di carattere soggettivo, è poi bene rammentare che il circolo del QE, per ottenere il risultato finale (boost the economy), partendo dall’iniziale creazione di moneta per l’acquisto di titoli di Stato, comporta il fatto che gli altri soggetti della catena (banche, imprese, famiglie) agiscano nella pratica secondo quanto ci si aspetta che facciano in teoria; e questo non è affatto certo.
Se le banche possono, infatti, essere obbligate per legge a eseguire talune operazioni di acquisto, non così pare possibile per eventuali imposizioni attinenti alla successiva concessione del credito.
Oltre a ciò, il comportamento di imprese e famiglie è assai aleatorio e non prevedibile con un sufficiente grado di approssimazione. Essendo ancora dei convinti e impenitenti keynesiani, non possiamo far finta di esserci improvvidamente dimenticati della Teoria Generale dell’Occupazione, dell’Interesse e della Moneta, e della variabile concernente la propensione al consumo, la quale, l’esperienza passata lo ha ampiamente dimostrato, non risulterà mai essere direttamente proporzionale all’aumento del reddito percepito. Detto in parole povere, se oggi ho un reddito di 100 e destino al consumo 20, non è assolutamente vero che, avendo domani un reddito di 200, destinerò al consumo 40, ma assai di meno.
È, peraltro, innegabile che, vuoi per le più che probabili risposte positive dei mercati alla manovra di QE, vuoi per la naturale applicazione della legge tra domanda e offerta, quanto meno l’effetto sui tassi di interesse non dovrebbe assolutamente mancare. Seppure, certo, questo fatto fine a sé stesso non sarà sufficiente a far riprendere l’economia generale.
L’esempio cui si sente fare riferimento in questi giorni è quello degli Stati Uniti, dove una simile manovra di QE è già stata fatta. Difficile, però, almeno stando a sentire i vari commenti, sapere se la cosa abbia avuto gli esiti sperati o meno. Alcuni la additano come manovra perfettamente riuscita; altri affermano, viceversa, che non ha nemmeno lontanamente sfiorato gli obiettivi che si era prefissata.
Personalmente e molto immodestamente, riteniamo che siano entrambi in errore: semplicemente, l’economia europea è sempre stata e (per quanto ci riguarda) è tutt’ora, cosa assai diversa da quella americana. Appare davvero difficile pensare di paragonare le due cose allo scopo di prevedere i risultati che potrebbero conseguirsi in Europa, in funzione di quelli (buoni o cattivi) verificatisi negli USA.
In conclusione, è nostra opinione che, al punto in cui siamo, la manovra di QE sia diventata oramai quasi un obbligo. Ma, come per qualunque altra azione, oltre a essere ben delineata, programmandone le contromosse nei casi in cui la pratica si discostasse troppo dalla teoria (cosa molto probabile), occorrerebbe che venisse fin da subito supportata con ulteriori misure complementari, coordinate a livello di policy governativa tra tutti gli Stati membri. Solo così, a nostro modesto avviso, i rischi di fallimento della manovra potrebbero essere effettivamente ridotti al minimo.