Paolo Soro

Il Governo legifera l’abuso del diritto

Il Consiglio dei Ministri, nella riunione del 24 dicembre scorso, ha approvato in via preliminare il decreto legislativo su elusione fiscale e abuso del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente. Innalzate anche le soglie di punibilità in materia di reati fiscali e inasprite le pene.

Tra i provvedimenti licenziati dal Governo alla vigilia di Natale, troviamo anche lo schema del decreto legislativo che, in attuazione dei principi contenuti nella delega fiscale, interviene nella controversa materia dell’abuso del diritto. Riportiamo, di seguito, i principali contenuti di tale provvedimento.

Innanzitutto, si evince come, di fatto, il concetto di abuso del diritto venga unificato a quello di elusione fiscale con la sua automatica estensione a tutti i tributi, fatta eccezione solo per i diritti doganali.

Sul piano normativo, il decreto abroga l’articolo 37-bis del DPR 600/1973 e inserisce la norma su abuso ed elusione nel nuovo articolo 10-bis dello Statuto dei Diritti dei Contribuenti (L. 212/2000).

Con riferimento all’attività di accertamento, il decreto legislativo stabilisce che l’abuso del diritto non possa essere rilevato d’ufficio in sede giudiziale: la verifica dovrà essere condotta con riferimento al contenuto oggettivo degli obblighi e dei divieti. Le eventuali violazioni andranno contestate con un autonomo atto di accertamento che dovrà, tuttavia, essere preceduto da una richiesta di chiarimenti, cui il contribuente dovrà rispondere entro 60 giorni. L’onere della prova della condotta abusiva o elusiva è espressamente posto a carico dell’Amministrazione Finanziaria, fatta salva la possibilità per il contribuente di dimostrare l’esistenza delle ragioni economiche extrafiscali che giustificano le operazioni contestate. Trattasi di una precisazione quanto mai importante, avuto riguardo a svariate pronunce della Cassazione esclusivamente basate proprio su detti aspetti di carattere procedurale.

Altra importantissima precisazione concerne l’espressa previsione relativa al fatto che l’abuso del diritto, in ogni caso, non configura una fattispecie perseguibile sul piano delle norme penali tributarie.

Nel dettaglio, lo schema di decreto legislativo qualifica come abuso del diritto la realizzazione di una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali e indipendentemente dalle intenzioni del contribuente, realizzino essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all’Amministrazione Finanziaria, che ne disconosce i vantaggi, determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di queste operazioni.

Più precisamente, sono considerate tali, le operazioni prive di sostanza economica, i fatti, gli atti e i contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali; sono indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato; i vantaggi fiscali indebiti, nonché i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario.

Viceversa, non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa, ovvero dell’attività professionale del contribuente.

Un’ulteriore fondamentale precisazione (in tema con quanto sempre ribadito dalla Corte di Giustizia UE), è che resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale, salvo che queste ultime non configurino un caso di abuso del diritto (locuzione, invero, troppo generica, che si presta a svariate interpretazioni).

Per stimolare l’adempimento spontaneo degli obblighi fiscali il provvedimento contiene, infine, alcune disposizioni volte a incentivare la collaborazione tra fisco e contribuenti attraverso forme di comunicazione e cooperazione rafforzata. Il contribuente può proporre interpello preventivo per conoscere se le operazioni che intende realizzare costituiscano fattispecie di abuso del diritto. Le imprese di maggiori dimensioni dovranno costituire sistemi di gestione e controllo del rischio fiscale, con una chiara attribuzione di responsabilità nel sistema dei controlli interni.

Sul fronte penale, il provvedimento modifica l’articolo 13, del D.lgs. 74/2000, in materia di cause di estinzione e circostanze del reato. In particolare, si prevede che l’adesione all’accertamento prima dell’avvio del giudizio, comporta l’estinzione dei reati di infedele e omessa dichiarazione, nonché di omessi versamenti sia delle ritenute che dell’IVA. Se le imposte evase nel periodo d’imposta sono superiori a 1 milione di euro, oppure il reato è commesso nell’esercizio di attività finanziarie e bancarie, le pene sono aumentate della metà.

Sale, poi, a 150.000 euro (rispetto agli attuali 50.000) la soglia di evasione da cui scatterà la dichiarazione infedele. Contestualmente, è prevista l’esclusione dal computo di questo limite, della non corretta classificazione di elementi passivi o attivi, dell’inerenza, dell’indeducibilità di costi reali e delle inesatte imputazioni di competenza. Attesa la difficoltà interpretativa di determinate appostazioni contabili da un punto di vista meramente fiscale, ci pare che si tratti di una previsione indispensabile.

Il reato di dichiarazione infedele, tuttavia, scatterà se nel modello 770 saranno indicati compensi, interessi e altre somme inferiori a quelle effettive, qualora la differenza rispetto alle ritenute non versate sia superiore a 50.000 euro.

Inoltre, per la dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture false e per l’emissione di fatture o documenti inesistenti, viene introdotta una soglia di importo di 1.000 euro per ciascun periodo d’imposta. Detto ultimo limite, francamente, ci sembra del tutto illogico e privo di razionale coordinamento con lo spirito di generale innalzamento delle soglie di punibilità, manifestato in tutto il decreto. Certo, meglio questo che niente; ma si sarebbe potuto e dovuto fare ben di più.

Ritornando ai reati di omesso versamento di IVA e ritenute, come noto, attualmente, il fascicolo in Procura viene aperto se la somma non versata supera i 50.000 euro. Pertanto, se il testo esaminato dal Governo (e inviato alle commissioni parlamentari per i pareri) verrà confermato, la soglia per il penale salirà a 150.000 euro. Per le violazioni sotto questo importo si applicherà solo la sanzione amministrativa.

Da ciò, pare evidente che, al di là delle violazioni future, l'effetto si farà sentire sui fascicoli pendenti relativi agli anni scorsi e già al vaglio delle Procure. Infatti, sulla base del principio del favor rei, le disposizioni penali più favorevoli prevalgono anche per il passato. Superfluo rimarcare come detti procedimenti siano particolarmente aumentati negli ultimi anni per effetto della crisi di liquidità e per la connessa difficoltà di accesso al credito.

Come noto, oggi, la violazione commessa da chi indichi in dichiarazione minori attivi (ovvero, passivi fittizi), fa scattare la notizia di reato se l'imposta evasa supera i 50.000 euro e se, contemporaneamente, il fatturato occultato è superiore al 10% del totale di quello dichiarato o se, comunque, è superiore a 2.000.000. Con il decreto in esame, pur permanendo la doppia condizione di punibilità, le due soglie vengono rispettivamente innalzate a 150.000 euro e a 3.000.000.

Oltre a ciò, vengono esclusi i reati in tutti i casi in cui l'importo delle imposte evase non superi il 3% di quelle dichiarate. Anche per tali fattispecie, laddove si chiudano i conti col Fisco attraverso adesione, acquiescenza, o altre procedure deflattive, prima dell'apertura del dibattimento in tribunale, i reati sono contestualmente estinti.

In merito a tali tipologie di reati omissivi di carattere fiscale, giova ricordare come la Cassazione abbia assunto una linea interpretativa particolarmente rigorosa, negli ultimi tempi. Ciononostante, non si è formato un orientamento costante e univoco sulla materia, lasciando sempre alquanto difficile avere delle certezze sui comportamenti adottabili dai contribuenti, nelle differenti ipotesi afferenti eventuali problemi connessi alla giustificabilità del mancato pagamento, come meramente causato dalla crisi economica.

Sul punto, avevamo già avuto modo di illustrare lo scenario nel video “Mancato pagamento IVA”, pubblicato al link:

https://www.youtube.com/watch?v=MvejqNzs8w8

Il Giudice delle Leggi, anche recentemente, ha affermato come tali questioni vadano affrontate caso per caso, non essendo possibile, al riguardo, applicare dei principi generali (Cassaz. 40394/2014). Tale valutazione compete al Giudice del Merito, il quale deve verificare l’eventuale assenza di dolo e l’assoluta impossibilità di far fronte alle obbligazioni tributarie. Una delle circostanze esimenti potrà, allora, essere costituita dalla causa di forza maggiore, seppure sia indispensabile, a tal fine, acquisirne prova rigorosa che dimostri come l’evento non sia in alcun modo riconducibile alla sfera di controllo dell’imprenditore: ovverossia, occorre che si tratti di un’azione od omissione incosciente e involontaria.

Viene, infine, definitivamente cancellata la gestione transitoria sul raddoppio dei termini dell’accertamento, precisando che, detto raddoppio, è possibile solo a condizione che la denuncia sia stata presentata o trasmessa entro la scadenza ordinaria dei termini di prescrizione.

Questa previsione non può che incontrare il nostro plauso, atteso che, troppo spesso, la norma in questione veniva stravolta dall’Ufficio a proprio uso e consumo, operando un percorso illogico che capovolgeva la ratio della legge. Ricordiamo, in proposito, le recenti pronunce della CTR Lombardia (3730 dell’8 luglio 2014) e CTP Milano (9438/46/14 del 4 novembre 2014), nelle quali, quasi “anticipando” il disposto dell’odierno decreto, veniva stigmatizzato il modus operandi dell’Agenzia delle Entrate, affermando come:

“Ai fini della verifica della legittimità dell’utilizzo del maggior termine, debba essere accertata l’esistenza dell’obbligo di denuncia penale da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio. Non basta la mera indicazione nell’atto di accertamento dell’inoltro o del futuro inoltro della notizia di reato alla Procura della Repubblica, bensì è necessario che tale atto impositivo contempli l’esistenza dell’obbligo di denuncia, cioè l’emersione di fatti illeciti che integrino un reato, commessi dal soggetto. Il reato tributario, cioè, deve risultare ipotizzabile sia nei suoi elementi oggettivi che soggettivi, essendo di tutta evidenza che la mancanza di uno di tali elementi comporterebbe l’illegittimità del raddoppio dei termini accertativi e l’utilizzo improprio della norma da parte dell’ufficio”.

Ciò posto:

“Il raddoppio dei termini di accertamento è illegittimo qualora la denuncia penale sia stata notificata al contribuente successivamente all’avviso di accertamento. L’Agenzia delle Entrate ha utilizzato una procedura inversa rispetto a quella stabilita normativamente, avendo notificato (prima) l’avviso di accertamento e (soltanto dopo la presentazione del ricorso) la denuncia della notizia di reato. Tale procedura inversa determina l’annullamento dell’avviso di accertamento, in quanto, ai fini del raddoppio dei termini, l’Ufficio è tenuto a inviare la denuncia penale entro il termine ordinario di accertamento, e non entro il successivo maggior termine.”

In conclusione, corre l’obbligo di rammentare i problemi che potrebbero scaturire dal nuovo reato dell’auto-riciclaggio, in vigore dal 1° gennaio 2015: gli illeciti commessi in passato e già prescritti, potrebbero essere nuovamente perseguibili, posto che, dalla data del reimpiego delle somme ottenute dall'evasione, inizierà nuovamente a decorrere il termine di prescrizione.

Qui, il Governo ha perso l’occasione di stabilire una regola chiara che potesse scongiurare ulteriore materia contenziosa di difficile interpretazione. È vero, infatti, che l'auto-riciclaggio non scatterà per chi aderirà alla voluntary disclosure per il rientro dei capitali; ma è parimenti appurato come, detta ultima normativa, presenti ancora tali e tanti aspetti controversi che assai difficilmente potrà incontrare un discreto numero di adesioni.

Si veda, in proposito, quanto pubblicato anche oggi da una delle principali Testate giornalistiche specializzate, al link:

http://www.italiaoggi.it/solofisco/solofisco_dett.asp?id=201412291137422280&titolo=I rimpatri con l'antiriciclaggio

Non resta, dunque, che aspettare il vaglio definitivo del decreto, sperando di non ritrovarsi delle brutte “sorprese”, dopo l’obbligatorio passaggio alle commissioni parlamentari, per il parere di rito.

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