Paolo Soro

Possibile trasferire il credito IRES/IRAP chiesto a rimborso con istanza telematica anziché in dichiarazione (Risoluzione 117/E – 29.12.2014)

Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse. L’interprete non deve limitarsi alla lettera della norma, se l’interpretazione letterale non è coerente con la finalità di quest’ultima (Criterio Logico-Sistematico, Art. 12, Preleggi). Di seguito, il testo della Risoluzione in oggetto.

Ai sensi dell’art. 6, comma 1, del decreto legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, (cosiddetto “decreto anticrisi”) “a decorrere dal periodo d'imposta in corso al 31 dicembre 2008, è ammesso in deduzione ai sensi dell'articolo 99, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi ... un importo pari al 10 per cento dell'imposta regionale sulle attività produttive …forfetariamente riferita all'imposta dovuta sulla quota imponibile degli interessi passivi e oneri assimilati al netto degli interessi attivi e proventi assimilati ovvero delle spese per il personale dipendente e assimilato al netto delle deduzioni spettanti ai sensi dell'articolo 11, commi 1, lettera a), 1-bis, 4-bis, 4-bis.1 del medesimo decreto legislativo n. 446 del 1997”. Al fine di scongiurare eventuali censure di incostituzionalità, a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2008, è stata, quindi, introdotta la parziale deducibilità ai fini delle imposte sui redditi (Irpef e Ires) della quota dell’Irap relativa al costo del lavoro e agli interessi nella misura forfetaria del 10 per cento. Inoltre, per individuare una soluzione al problema delle istanze di rimborso che i contribuenti avevano presentato – o avrebbero potuto presentare – con le ordinarie modalità, il citato art. 6, commi 2 e 3, ha esteso la deduzione forfetaria dell’Irap ai periodi d’imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2008, riconoscendo al contribuente il diritto al rimborso delle maggiori imposte sui redditi versate per effetto della mancata deduzione dell’Irap nella misura ammessa dalla norma.

In particolare, per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2008, il legislatore ha riconosciuto il diritto al rimborso della quota delle imposte dirette corrispondente all’Irap:

- al contribuente che nel termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento, aveva già presentato istanza di rimborso ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. n. 602 del 1973, motivandola, anche genericamente, in base alla deducibilità dell’imposta, previo utilizzo dell’apposita istanza telematica, secondo le modalità da ultimo definite con Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 28 ottobre 2009 (cfr. circolare del 14 aprile 2009, n. 16/E).

- al contribuente che presenti la relativa istanza di rimborso, salvo utilizzo della medesima procedura telematica sopra citata, purché, al momento della presentazione dell’istanza, sia ancora pendente il termine di decadenza di quarantotto mesi dal versamento di cui al citato art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973.

Successivamente, l’art. 2, comma 1, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 (cosiddetto “Decreto Salva Italia”) ha stabilito che “A decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2012 è ammesso in deduzione ai sensi dell’articolo 99, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi…, un importo pari all’imposta regionale sulle attività produttive determinata ai sensi degli articoli 5, 5-bis, 6, 7 e 8 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, relativa alla quota imponibile delle spese per il personale dipendente e assimilato al netto delle deduzioni spettanti ai sensi dell’articolo 11, commi 1, lettera a), 1-bis, 4-bis, 4-bis.1 del medesimo decreto legislativo n. 446 del 1997”.

A decorrere, pertanto, dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2012, è stata introdotta la deducibilità analitica dalle imposte sui redditi dell’Irap relativa alle spese per il personale dipendente, che ha integrato il sistema di deduzione forfetaria dell’Irap di cui al citato art. 6, comma 1, del decreto legge n. 185 del 2008, che continua a trovare applicazione con riferimento alla sola quota imponibile degli interessi passivi e oneri assimilati, al netto degli interessi attivi e proventi assimilati (cfr. circolare del 3 aprile 2013, n. 8/E).

Inoltre, come per il regime della deducibilità forfetaria, il legislatore ha previsto l’applicazione in via retroattiva della norma.

L’art. 2, comma 1-quater, del decreto legge n. 201 del 2011, infatti, inserito dall’art. 4, comma 12, del decreto legge 2 marzo 2012, n. 16, ha ammesso il rimborso delle imposte sui redditi relative alla deduzione spettante pari all’Irap generata dal costo del lavoro riferibile ai periodi d’imposta per i quali, alla data del 28 dicembre 2011, era ancora pendente il termine di quarantotto mesi di cui all’art. 38 del D.P.R n. 602 del 1973. Ciò sia per i contribuenti che all’entrata in vigore della norma non avevano ancora presentato domanda di rimborso, sia per coloro che, invece, avevano già provveduto in tal senso. Le modalità di presentazione della relativa istanza sono state individuate con Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 17 dicembre 2012.

Ciò posto, dal quadro normativo sopra delineato, si evince che il diritto al rimborso nasce a seguito dell’applicazione retroattiva di una norma sopravvenuta alla presentazione della dichiarazione, secondo un meccanismo operativo che è del tutto simile per i due distinti regimi di deducibilità. Nell’uno e nell’altro caso, infatti, il contribuente, data la retroattività della norma, effettua una riliquidazione, per così dire, ex post, della dichiarazione già presentata e richiede il rimborso mediante l’utilizzo di uno strumento appositamente disciplinato dal legislatore, quale appunto, l’istanza di rimborso in via telematica, nel rispetto di modalità specificatamente stabilite con Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate. L’utilizzo di tale strumento si configura come condizione per l’accesso al rimborso anche nell’ipotesi in cui, per i periodi precedenti l’entrata in vigore della norma, il contribuente, aveva già presentato la relativa domanda confidando nella deducibilità dell’imposta, pur in assenza di una norma specifica.

In particolare, con riferimento al primo quesito posto dall’istante, relativo alla disciplina applicabile in caso di cessione del credito risultante dalle istanze di rimborso della minore Ires dovuta per effetto della deducibilità forfetaria e analitica dell’Irap in via retroattiva, si condivide la soluzione secondo cui nella fattispecie è applicabile la disciplina di cui al combinato disposto dell'art. 43-bis del d.P.R. n. 602 del 1973 e dell'art. 1 del decreto del Ministero delle Finanze del 30 settembre 1997, n. 384. Si ricorda, infatti, che l'istituto della cessione dei crediti d'imposta è disciplinato, in materia di imposte sui redditi, dall'articolo 43-bis del d.P.R. n. 602 del 1973, secondo cui “le disposizioni degli articoli 69 e 70 del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440, si applicano anche alle cessioni dei crediti chiesti a rimborso nella dichiarazione dei redditi”. Come è noto, tale norma e il relativo regolamento di attuazione, approvato con decreto ministeriale del 30 settembre 1997, n. 384, prevedono una speciale disciplina della cessione del credito d'imposta rispetto a quella generale delineata dalla norma civilistica, individuando l'oggetto, le forme e le modalità di notifica dell'atto di cessione. In particolare, la normativa sopra citata limita la cedibilità del credito d'imposta ai “crediti chiesti a rimborso nella dichiarazione dei redditi”.

Ebbene, si ritiene che tale limitazione prevista dalla lettera della norma, non sia, nella fattispecie, di ostacolo per la cedibilità del credito d’imposta in questione chiesto a rimborso secondo le norme sopra richiamate. Nel caso concreto, infatti, sussiste una evidente equiparabilità, sotto il profilo della disciplina della cessione dei crediti, tra l’istanza telematica di rimborso prevista dal legislatore a seguito della riliquidazione della dichiarazione e la richiesta di rimborso effettuata in tale sede. Diversamente argomentando, si negherebbe al contribuente la possibilità di cedere il credito per la mera circostanza che l’esercizio di tale facoltà è stato di fatto reso non attuabile, dato il riconoscimento del diritto al rimborso, a seguito dell’applicazione retroattiva della norma, in un momento successivo alla scadenza dei termini per la presentazione della dichiarazione.

Tale soluzione interpretativa, del resto, non sembra pregiudicare l’interesse erariale, posto che l’accoglimento dell’istanza di rimborso, di per sé, implica un controllo di tipo sostanziale sulla dichiarazione nella quale il credito sarebbe dovuto emergere, se la disciplina sulla deducibilità forfetaria e analitica dell’Irap sopra esaminata fosse stata già in vigore.

Appare, altresì, corretto che a cedere il credito chiesto a rimborso, ancorché formatosi per effetto della rideterminazione del reddito consolidato, sia solo la società consolidante, quale unico soggetto legittimato, nell’ambito del consolidato, a chiedere il rimborso dell’IRES.

Circa il secondo quesito formulato dall’istante, relativo alla possibilità di qualificare come onere finanziario il differenziale tra il valore nominale del credito ceduto pro soluto e la somma corrisposta dall’istituto finanziario per il suo acquisto, si osserva quanto segue.

La circolare del 4 giugno 2014, n. n. 14/E, con riferimento ai soggetti che utilizzano i principi contabili nazionali nella redazione del bilancio, ha fornito chiarimenti in merito alla qualificazione fiscale del differenziale tra il corrispettivo e il valore di iscrizione del credito relativo ad un’operazione di cessione pro soluto. In particolare, la sopra citata circolare ha precisato che - in coerenza all’ottica di semplificazione e di avvicinamento del dato fiscale alle risultanze del bilancio - una eventuale qualificazione come onere finanziario operata in bilancio e basata sulla lettera del contratto assume rilevanza anche ai fini fiscali.

Tale considerazione deve ritenersi valida pure per i soggetti che utilizzano i principi contabili internazionali nella redazione del bilancio. Per tali contribuenti, infatti, l’avvicinamento del dato fiscale alle risultanze del bilancio deriva direttamente dal dato testuale dell’art. 83 del TUIR che attribuisce rilevanza fiscale ai criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione previsti dai principi contabili IAS/IFRS.

Nel caso concreto, l’istante evidenzia che la differenza tra il prezzo di cessione e il valore nominale dei crediti ceduti è contabilizzato in bilancio tra gli oneri finanziari, in coerenza con quanto previsto dai principi contabili adottati. Ciò in quanto tale differenza è ascrivile a mere considerazioni di carattere finanziario e non riguarda la solvibilità dei crediti stessi, il cui debitore è rappresentato dall’Erario e il cui ammontare è determinato dallo stesso legislatore.

Tale rappresentazione di bilancio è coerente con le pattuizioni contrattuali, in base alle quali:

a) l’istante non garantisce la solvenza del debitore ceduto;

b) le competenze sono costituite da interessi maturati a un determinato tasso fisso di sconto, calcolato dalla data della valuta di pagamento del corrispettivo di cessione.

Pertanto, analogamente a quanto già affermato dalla circolare n. 14/E del 2014 per i soggetti che utilizzano i principi contabili nazionali, deve ritenersi che, anche nella fattispecie in esame, la qualificazione contabile di onere finanziario rilevata in bilancio e coerente con le pattuizioni contrattuali, assuma rilevanza ai fini fiscali, con la conseguente applicazione della disciplina di cui all’art. 96 del TUIR.

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