Paolo Soro

Le società sopravvivono cinque anni all’estinzione

Il Consiglio dei Ministri, contrariamente al consolidato orientamento della Giurisprudenza di Legittimità (Cassazione SS. UU. 4060 – 4061 – 4062, 22/02/2010), ha approvato una disposizione che estende i termini di accertamento nei confronti delle società estinte al quinquennio successivo alla cancellazione dal Registro delle Imprese.

Si tratta del comma 4, dell’art. 28, del decreto sulle semplificazioni fiscali, norma di dubbia validità costituzionale, che infligge un altro duro colpo ai fondamentali principi del diritto, rendendolo, da un punto di vista fiscale, ancora più incerto di quanto già non sia.

Lo “Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di semplificazione fiscale e dichiarazione dei redditi precompilata” propone, all’interno del Capo V (Eliminazione di adempimenti superflui), l’Articolo 28 (Abrogazione dell’obbligo di indicazione in dichiarazione dei redditi dei crediti vantati nei confronti della Pubblica Amministrazione). Ebbene, il comma 4 di tale articolo recita:

“Ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti della liquidazione, accertamento,  contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione delle società di cui all’articolo 2495 del codice civile (ossia, cancellazione delle società di capitali – n.d.r.) ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione dal Registro delle Imprese.”

La domanda che viene da porsi immediatamente è:

Cosa c’entrano i titoli affibbiati al Decreto, al Capo e all’Articolo in questione, coi contenuti espressi da questo comma 4?

Svolgendo la professione da svariato tempo, siamo abituati a simili strafalcioni legislativi (pur di far passare qualche leggina di interesse, la si infila dove capita); certo, però, risulta veramente arduo riuscire a spiegare a un collega straniero in che modo viene esercitato il Potere Legislativo nella c. d. “Patria del Diritto”. E non certo per problemi di lingua.

Come se, poi, la cosa di per se non fosse sufficientemente inintelligibile, pare emblematico riportare le osservazioni inoltrate dal Consiglio dei Ministri al Senato, con riferimento proprio a tale specifico comma:

“La norma vigente (art. 2495 Cod. Civ.) rende di difficile realizzazione i controlli e le azioni di recupero fiscale regolati da disposizione che ne prevedono lo sviluppo e l’avvio in tempi successivi a quelli previsti dall’art. 2495. La norma è, quindi, tesa a evitare particolari turbative ai contribuenti conseguenti alla concentrazione dei controlli nel periodo di scioglimento e liquidazione”.

Da restare basiti. Tralasciamo il fatto che, evidentemente, il Consiglio dei Ministri non conosce l’esatto significato della congiunzione “quindi”, e concentriamoci sul contenuto. In sostanza, il Governo impone dei maggiori obblighi ai contribuenti perché l’Amministrazione Finanziaria non è in grado di rispettare le norme esistenti. Dopo di che, cerca di giustificare tale operato sul presupposto di un favore reso agli stessi contribuenti. Francamente, non si comprende perché qualcuno dovrebbe sentirsi agevolato – anziché, “turbato” – dal dover fronteggiare un accertamento di carattere induttivo (ci risiamo con l’inversione dell’onere della prova) per cinque anni dalla chiusura della società, anziché per uno. Né, soprattutto, come tale circostanza possa costituire una non meglio identificata semplificazione.

La Suprema Corte aveva avuto modo di chiarire la natura costitutiva della cancellazione delle società dal Registro delle Imprese. Stante detta impostazione (peraltro, indiscutibile principio di diritto), nell'ambito delle procedure di liquidazione, l'Amministrazione Finanziaria avrebbe potuto pretendere dai singoli soci solo quanto ricevuto sulla base del bilancio finale di liquidazione, salvo non si fosse attivata entro l’anno. Ora, l’Erario avrà quattro anni di tempo in più per fare il suo lavoro.

Ma, come si suol dire, la fretta è cattiva consigliera e la norma fa acqua da tutte le parti.

Primo quesito: cosa succede se, a seguito dell’usuale accertamento induttivo, il Fisco rileva che, a suo parere, vi sono delle ipotesi di reato correlate a presunte violazioni fiscali? I cinque anni diventano dieci?

Secondo quesito: posto che se una società è stata cancellata non ha più alcuna sede, dove dovranno essere effettuate le eventuali notifiche degli accertamenti da parte dell’Agenzia delle Entrate? Presso la residenza del liquidatore anche se – di fatto – il soggetto in questione non riveste più detta qualifica? E se si tratta di un soggetto non residente?

Terzo quesito: Considerato che la legge in questione nulla dice al riguardo, da quando dovrebbe decorrere tale disposizione? Ossia, quali sono le società che ne saranno destinatarie? Quelle che vengono cancellate oggi, quelle che sono state cancellate da meno di un anno, o quelle che sono state cancellate entro il passato quinquennio?

Tale ultimo quesito evidenzia l’iniziale accennata questione di dubbia costituzionalità. Se la norma colpisse tutte le società che sono state chiuse in passato (che si tratti di un anno o di cinque, la cosa non cambia), vi sarebbe un’evidente illegittima retroattività. Se, viceversa, colpisse solo le società che vengono cancellate a partire da oggi, ci troveremo di fronte a una palese disparità di trattamento tra quelle chiuse – per esempio – nel 2015, accertabili a decorrere dal 2010, e quelle estinte nel 2014, destinatarie di avvisi di accertamento solo a partire dal 2013.

E ancora non è finita. La disposizione in argomento “semplifica” anche il regime di responsabilità dei liquidatori delle società di capitali. Intervenendo, infatti, con una modifica dell’art. 36, del DPR 602/1973, la legge prevede che i liquidatori che non provvedono a pagare, con le attività della liquidazione, le imposte dovute per il periodo della liquidazione e per quelli anteriori, rispondono in proprio di tali mancati versamenti, salvo non provino di avere saldato i crediti tributari anteriormente all'assegnazione dei beni ai soci, o comunque di avere soddisfatto crediti privilegiati rispetto a quelli tributari. In pratica, mentre prima incombeva sul Fisco l'onere di accertare i presupposti relativi alla responsabilità dei liquidatori, d’ora in avanti, anche per questo fatto, viene sancita l’inversione dell’onere della prova a scapito dei contribuenti.

Il tutto con buona pace, tanto per cambiare, dei principi fondamentali sanciti dallo Statuto dei Diritti dei Contribuenti.

Ma quali diritti?

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