Paolo Soro

Trust – Aspetti controversi concernenti l’imposizione fiscale

Prendiamo spunto dalla recente pronuncia della CTR della Toscana (1702/1/14 del 22/09/2014), per fare il punto sull’imposizione fiscale cui sono soggetti i trust, in Italia.

Prendiamo spunto dalla recente pronuncia della CTR della Toscana (1702/1/14 del 22/09/2014), per fare il punto sull’imposizione fiscale cui sono soggetti i trust, in Italia.

La sentenza in argomento ha respinto l’appello proposto da un trust contro l’avviso di liquidazione delle imposte ipotecaria e catastale (emesso dall’Agenzia delle Entrate a seguito della costituzione dello stesso trust), ritenendo che sussistano i presupposti di legge per l'applicazione dell'imposta sulle successioni e donazioni, e, conseguentemente, delle imposte ipotecaria e catastale nella misura proporzionale, in funzione della previsione normativa di cui all'articolo 2, comma 47, del Dl 262/2006, secondo cui: “E' istituita l'imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione”.

Cenni introduttivi generali sul trust

Il trust è un istituto di origine anglosassone (common law) che non ha una disciplina civilistica interna, ma trova legittimazione a seguito dell’adesione dell’Italia alla Convenzione dell’Aja, del 1° luglio 1985, ratificata con la legge 16 ottobre 1989, n. 364 ed entrata in vigore il 1° gennaio 1992. Con tale adesione, lo Stato italiano si obbliga a riconoscere i trust che presentino gli elementi essenziali prescritti dall’art. 2 della Convenzione; ovverossia:

-          i beni vincolati nel trust sono una massa distinta e non sono parte del patrimonio del trustee;

-          i beni vincolati nel trust sono intestati al trustee (o ad altro soggetto per suo conto);

-          il trustee è tenuto ad amministrare, gestire e disporre dei beni in trust secondo le indicazioni dettate nell’atto istitutivo e nel rispetto della legge.

Successivamente, l’art. 1, commi da 74 a 76, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007), pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 299, del 27 dicembre 2006, ha introdotto nell’ordinamento tributario nazionale le disposizioni afferenti i trust. Tale norma è stata illustrata dall’Agenzia delle Entrate nelle circolari 48/E, del 06/08/2007, e 61/E, del 27/12/2010.

Prima, però, di entrare nello specifico della normativa fiscale, pare opportuno ricordare che cos’è un trust: trattasi del rapporto giuridico che sorge per effetto della stipula di un atto tra vivi o di un testamento, con cui un soggetto (settlor o grantor o disponente), trasferisce a un altro soggetto (trustee o amministratore del trust – in genere una trust company), beni e/o diritti con l’obbligo di amministrarli nell’interesse di uno o più beneficiari, ovvero per il perseguimento di uno scopo determinato, sotto l’eventuale vigilanza di un terzo (protector o guardiano), secondo le regole dettate dal disponente nell’atto istitutivo del trust e dalla legge regolatrice dello stesso (quella maggiormente utilizzata è la legge di Jersey). L’atto istitutivo, di regola, prevede che, alla scadenza del trust, il fondo in trust venga trasferito ai beneficiari ivi indicati. Caratterizzato, dunque, da una dual ownership (doppia proprietà), che risulta essere, ai fini dell’amministrazione, in capo al trustee, e ai fini del godimento, in capo ai beneficiari, il trust esprime un concetto di proprietà atipico rispetto a quello in uso nei Paesi civil law. In sostanza, mentre la titolarità del diritto di proprietà è piena, l’esercizio di tale diritto risulta, viceversa, limitato al perseguimento dei soli scopi indicati nell’atto istitutivo. Pertanto, appare evidente come, in base ai canoni tradizionali del nostro ordinamento, non sia facile comprendere un simile sdoppiamento di proprietà, né, tanto meno, il diritto di godimento dei beni affidati al trustee, il quale ne diventa temporaneamente proprietario.

L’inquadramento fiscale ai fini delle imposte dirette

La circolare 48/2007 evidenzia che, per quanto attiene alle imposte dirette, il comma 74, della Legge 296/2006, modificando a tal fine l’articolo 73 del TUIR, ha definitivamente sancito l’appartenenza del trust ai soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle società (IRES). Nel dettaglio, sono soggetti a tale imposta:

-          i trust residenti nel territorio dello Stato che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (enti commerciali);

-          i trust residenti nel territorio dello Stato che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali (enti non commerciali);

-          i trust non residenti, per i redditi prodotti nel territorio dello Stato (enti non residenti).

Ai fini della tassazione, vengono poi identificate due principali tipologie di trust:

-          trust con beneficiari di reddito individuati, i cui redditi vengono imputati per trasparenza a tali beneficiari (trust trasparenti);

-          trust senza beneficiari di reddito individuati (o, comunque, discrezionali), i cui redditi vengono direttamente attribuiti al trust stesso (trust opachi).

Sono pure possibili (anche se abbastanza inusuali nella pratica) i trust c. d. misti; ossia in parte opachi e in parte trasparenti: nel qual caso, il reddito accantonato sarà tassato in capo al trust, mentre il reddito attribuito ai beneficiari, qualora ne ricorrano i presupposti, sarà imputato a questi ultimi.

Con espresso riguardo ai beneficiari, il comma 74, lett. b), aggiunge al comma 2, dell’art. 73, del TUIR, il seguente periodo: “Nei casi in cui i beneficiari del Trust siano individuati, i redditi conseguiti dal Trust sono imputati in ogni caso ai beneficiari in proporzione alla quota di partecipazione individuata nell’atto costitutivo del Trust o in altri successivi documenti ovvero in loro mancanza in parti uguali”. Posto che il presupposto di applicazione dell’imposta è il possesso di redditi, “beneficiari individuati” sono solo coloro che usufruiscono – appunto – di un “reddito individuato”; vale a dire, i soggetti che esprimono, rispetto a quel reddito, una capacità contributiva attuale. Questo è un concetto molto importante, perché, quando ci troveremo a esaminare la pronuncia della CTR della Toscana, avremo modo di evidenziare come i giudici dell’appello non abbiano – a nostro avviso – sufficientemente considerato la concreta capacità contributiva, direttamente derivante dall’effettiva proprietà dei beni. Giova, in merito, focalizzare l’attenzione sull’atto istitutivo, il quale di norma conferisce ai beneficiari solo il diritto di vedersi attribuito il fondo patrimoniale alla scadenza (ossia, in un momento successivo e assai distante nel tempo, rispetto a quello concernente la disposizione dei beni nel trust).

Il comma 75, poi, prosegue precisando che sono considerati redditi di capitale: “I redditi imputati al beneficiario di trust ai sensi dell’art. 73, comma 2, anche se non residenti”.

La residenza del trust

Come indica la citata circolare 48/2007, la residenza del trust è individuata sulla base del comma 3, dell’art. 73, del TUIR, secondo cui un soggetto IRES si considera residente nel territorio dello Stato al verificarsi di almeno una delle seguenti condizioni, per la maggior parte del periodo d’imposta (più di 183 giorni nel corso dello stesso anno fiscale):

-          sede legale nel territorio dello Stato;

-          sede dell’amministrazione nel territorio dello Stato;

-          oggetto principale dell’attività svolta nel territorio dello Stato.

Considerando le caratteristiche del trust, di regola, i criteri di collegamento al territorio dello Stato saranno: la sede dell’amministrazione (coincidente, nella pratica, con la sede del trustee) e l’oggetto principale (qui occorrerà fare riferimento al criterio della prevalenza, laddove il trust sia proprietario di immobili siti sia in Italia che in altri Stati). Tralasciamo volutamente di prendere in considerazione i casi in cui il patrimonio del trust non è immobiliare, in quanto non sarebbero conferenti riguardo alla fattispecie di cui si discute.

In ogni caso, la circolare prosegue affermando che per individuare la residenza di un trust si potrà fare utile riferimento alle convenzioni contro le doppie imposizioni, le quali si applicano alle persone residenti di uno o di entrambi gli Stati contraenti che, in qualità di soggetti passivi d’imposta, subiscano una doppia imposizione internazionale. Un trust, infatti, potrà realizzare il presupposto impositivo in più Stati quando il trust fund sia situato in uno Stato diverso da quello di residenza del trustee e da quello di residenza del disponente e dei beneficiari.

Al riguardo, il comma 3 dell’articolo 73 del TUIR, introduce due casi di attrazione della residenza del trust in Italia:

-          si considerano residenti nel territorio dello Stato, salvo prova contraria, i trust e gli istituti aventi analogo contenuto istituiti in Paesi che non consentono lo scambio di informazioni (paesi non inclusi nella cosiddetta “white list”), quando almeno uno dei disponenti e almeno uno dei beneficiari siano fiscalmente residenti nel territorio dello Stato;

-          si considerano, inoltre, residenti nel territorio dello Stato i trust istituiti in uno Stato che non consente lo scambio di informazioni, quando, successivamente alla costituzione, un soggetto residente trasferisca a favore del trust la proprietà di un bene immobile o di diritti reali immobiliari.

L’imposizione fiscale indiretta

I presupposti impositivi del trust sono: l’atto istitutivo, l’atto dispositivo, eventuali operazioni compiute durante il trust (che tralasceremo, in quanto non rilevanti agli effetti del presente approfondimento) e il trasferimento dei beni ai beneficiari.

L’atto istitutivo con cui il disponente esprime la volontà di costituire il trust, che non contempli anche il trasferimento di beni nel trust (eventualmente disposto in un momento successivo), se redatto con atto pubblico o con scrittura privata autenticata, sarà assoggettato all’imposta di registro in misura fissa, ai sensi dell’art. 11, della Tariffa, parte prima, del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, quale atto privo di contenuto patrimoniale.

Viceversa, le cose cambiano con l’atto dispositivo (attraverso cui il settlor conferisce i beni nel trust), che risulta essere un negozio a titolo gratuito. In merito, la circolare 48/2007 precisa che l’art. 6, del DL 262/2006, ha dettato una specifica disciplina per la “costituzione di vincoli di destinazione e il trust, per le caratteristiche essenziali che lo contraddistinguono, è riconducibile nella categoria dei vincoli di destinazione”.

Sinceramente, non ci sentiamo di condividere questo assunto dell’Agenzia, posto che le differenze, sia sostanziali che formali, tra i due negozi, paiono non irrilevanti. Ma avremo modo di riprendere la questione più avanti.

In sede di conversione, la legge ha poi modificato l’appena menzionato DL 262/2006 e ha ripristinato l’imposta sulle successioni e donazioni, disponendo l’applicazione di tale imposta “alla costituzione dei vincoli di destinazione” e, dunque, secondo l’Agenzia, per relationem, anche ai trust. Analogamente, le modalità di applicazione delle imposte ipotecaria e catastale connaturate con la costituzione dei vincoli di destinazione, in mancanza di specifiche disposizioni, sono stabilite dal Testo Unico – appunto – delle imposte ipotecaria e catastale, approvato con D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 347. In base a detta normativa, tali imposte saranno dovute per la trascrizione di atti che conferiscono i beni nel trust (nonché all’atto del successivo trasferimento dei beni medesimi ai beneficiari allo scioglimento del vincolo), in misura proporzionale.

Infine, sempre secondo la circolare dell’Agenzia: “La devoluzione ai beneficiari dei beni vincolati in trust non realizza, ai fini dell’imposta sulle donazioni, un presupposto impositivo ulteriore; i beni, infatti, hanno già scontato l’imposta sulla costituzione del vincolo di destinazione al momento della segregazione in trust. Inoltre, poiché la tassazione, che ha come presupposto il trasferimento di ricchezza ai beneficiari finali, avviene al momento della costituzione del vincolo, l’eventuale incremento del patrimonio del trust non sconterà l’imposta sulle successioni e donazioni all’atto della devoluzione”.

Inutile dire che questa conclusione ci pare forzata e priva di senso logico. Posto, infatti, che i trust scontano l’imposta di donazione in funzione della qualità dei beneficiari (4% o 6%, con o senza franchigia, in base al grado di parentela col disponente; ovvero 8% senza franchigia, in tutti gli altri casi, inclusi i trust opachi), e che i beneficiari non acquisiscono alcuna “capacità contributiva attuale” in sede di atto costitutivo, ma solo un diritto a vedersi assegnato il patrimonio al termine del trust, davvero non si comprende in base a quale ragione giuridica, il momento impositivo sia l’atto di conferimento dei beni nel trust, anziché quello successivo in cui la proprietà di tali beni viene concretamente trasferita in capo ai beneficiari.

Ci corre, infine, l’obbligo di evidenziare un’altra conclusione cui giunge l’Agenzia delle Entrate, la quale, nella circolare 61/2010, precisa che: “Qualora il reddito imputato ai beneficiari residenti sia stato prodotto dal trust in Italia e quivi già tassato ai sensi dell’articolo 73 del TUIR, lo stesso non sconterà ulteriore imposizione in capo ai beneficiari. In tal modo viene assicurato che il trust estero venga assoggettato a tassazione analogamente ai trust italiani e, in particolare, ai trust opachi con riferimento all’eventuale reddito prodotto in Italia e imputabile al trust medesimo, nonché ai trust trasparenti con riferimento alla quota di reddito imputabile al beneficiario italiano.”

Questo principio generale è di sicuro condivisibile. D’altronde, in base alla normativa illustrata, se un trust è opaco, non appare rilevante andare oltre a indagare chi siano i beneficiari, in quanto, ai fini delle imposte dirette, il trust sconterà l’IRES per tutti i redditi (ovvero per quelli prodotti in Italia, se non residente), e i beneficiari non verranno comunque tassati; mentre per ciò che concerne le imposte indirette – come detto – il trust verrà assoggettato all’aliquota massima (8%), senza alcuna franchigia, ossia la tipologia di tassazione maggiormente conveniente per lo Stato.

In pratica, la circolare, con detto principio, sembrerebbe confermare quanto già esposto nella precedente 48/2007. Senonché, inspiegabilmente, in materia di trust discrezionali-opachi esteri (non ricompresi nella white list), i cui beneficiari risultino poi in realtà essere italiani, la tesi prospettata dalla circolare 61/2010 pare contraddire il suddetto principio (e, con esso, l’interpretazione fornita nella sua precedente circolare 48/2007), affermando che la tassazione non si esaurisce nel trust, ma, allorquando il trustee decida di distribuire i frutti ai beneficiari, gli stessi verranno ulteriormente tassati per trasparenza. La qual cosa lascia francamente interdetti.

La circolare 61/2010, entrando nel dettaglio, sottolinea che: “A precisazione di quanto già evidenziato con la circolare n. 48/E del 2007, tale regime evita il conseguimento di indebiti risparmi di imposta che potrebbero essere conseguiti, ad esempio, nell’ipotesi di trust opachi costituiti in giurisdizioni straniere a regime fiscale agevolato”. Premesso che “a precisazione” non appare oggettivamente corretto, posto che si sta modificando e non precisando quanto in precedenza scritto, il trust opaco, per i redditi prodotti in Italia, è stato comunque già assoggettato all’ordinaria tassazione. A questo punto, colpire in misura aggiuntiva gli eventuali beneficiari italiani, i quali percepiscano all’estero un reddito ivi prodotto, pare più stabilire una mera presunzione discriminatoria a carattere esclusivamente punitivo (oltretutto non sorretta da alcuna norma di legge), piuttosto che un principio giustificato da motivazioni di carattere giuridico.

La sentenza della CTR della Toscana

Nelle motivazioni della sentenza N. 1702/1/14, del 22/09/2014, la CTR della Toscana precisa che: “Attraverso la costituzione del trust, le signore XX hanno trasferito a titolo gratuito, cioè senza corrispettivo, un complesso di beni al dott. Y (trustee); e non assume rilievo la circostanza che il trustee sia tenuto a gestire tali beni a vantaggio di altre persone. Ogni possibile dubbio in proposito è del resto fugato dalla circostanza che con disposizione innovativa, il 47° comma dell'art. 2 del DL 262/06, come convertito, prescrive che è ‘Istituita l'imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni, di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54’. Dunque la legge esplicitamente equipara la costituzione di un vincolo di destinazione al trasferimento dei beni”.

I giudici toscani concludono affermando che: “Nel caso di specie sussistono anche gli elementi dell'abuso di diritto in quanto i poteri attribuiti al trustee e l'assenza di qualsiasi controllo effettivo sul suo operato induce a ritenere che il trustee sia il reale beneficiario dell'operazione e la forma del trust sia stata scelta appunto allo scopo di sfuggire alle imposte sui trasferimenti”.

Ci permettiamo di non condividere tali assunti.

Per quanto concerne la prima parte, l’applicazione dell’imposta nei modi e tempi richiesti dall’Ufficio viene avvallata dando per scontato che il trust altro non è che un vincolo di destinazione. Pertanto, siccome i vincoli di destinazione scontano le imposte di donazione, ipotecaria e catastale all’atto in cui vengono costituiti, parimenti anche il trust deve essere assoggettato alle medesime imposte in sede di atto istitutivo.

Giova, primariamente, ribadire che l’equiparazione dei trust ai vincoli di destinazione non deriva da alcuna norma, ma da una libera interpretazione che ha espresso l’Agenzia delle Entrate nelle sue circolari. Analizzando i due istituti, pare al contrario palese che vi siano svariate differenze che non consentono di parificarli in tutto e per tutto. Da un punto di vista prettamente formale, per esempio, il trust, diversamente dal vincolo di destinazione, presuppone la presenza di più soggetti (settlor, trustee, beneficiario, protector); il trust fund può essere costituito da qualunque tipologia di beni e non solo da beni immobili o mobili registrati; il vincolo di destinazione si può costituire soltanto tramite la forma dell’atto pubblico; e anche le regole concernenti la durata sono diverse tra i due istituti. Al di là, però, delle differenze squisitamente formali, è la sostanza che appare diversa. Con il vincolo di destinazione si destina un bene alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni o ad altri enti. Il trust ha, invece, lo scopo di separare il patrimonio del disponente da quello conferito nel fondo in trust, segregandolo, ma senza che, contemporaneamente (e in questo risiede il punto fondamentale), il beneficiario ne entri in possesso, come invece avviene con il vincolo di destinazione, per il quale infatti il Codice Civile (art. 2645 ter) impone una durata massima pari a 90 anni o comunque commisurata a quella della vita della persona fisica beneficiaria. Orbene, vale giusto la pena ricordare come il presupposto di applicazione dell’imposta sia il possesso attuale di redditi, non la mera aspettativa circa un possesso futuro (che, tra l’altro, non è neppure matematicamente certo si verifichi).

Dello stesso avviso sono svariate Commissioni Tributarie italiane, alcune delle cui massime più recenti riportiamo qui di seguito.

CTP Perugia N. 470/02/14: “Per effetto della costituzione del trust non si costituisce un vincolo di destinazione quanto piuttosto la separazione dei beni dal patrimonio del disponente senza creare un’autonoma personalità giuridica. Il beneficiario, pertanto, al momento dell’atto è titolare solo di un’aspettativa giuridica, ovvero di un diritto sottoposto a condizione sospensiva che non gli consente di ottenere i beni e nei suoi confronti non si manifesta alcun arricchimento tassabile”.

CTP Milano N. 1462/2014: “Il conferimento dei beni in un trust è privo di effetti traslativi formali e, quindi, esso è privo di capacità contributiva”.

CTP Lodi N. 70/2014: “Il trust in questione ha finalità liquidatorie del patrimonio conferito e non si ravvisa alcun vincolo di destinazione; inoltre, il beneficiario è esclusivamente titolare di un’aspettativa giuridica, posizione definita incontrovertibile, che al momento dell’istituzione del trust non gli consente di ottenere i beni e quindi non si manifesta un arricchimento tassabile”.

CTP Milano 1002/25/14: “Alla scadenza del trust gli atti saranno suscettibili delle imposizioni tributarie, in quanto in questo caso vi è un effettivo trasferimento. I beneficiari individuati nell’atto istitutivo sono i titolari soltanto di un’aspettativa giuridica e, quindi, solo al momento del trasferimento del bene dal trustee a essi si verificherà il presupposto per l’applicazione delle imposte ipotecaria e catastale in misura proporzionale in quanto il beneficiario otterrà l’effettivo arricchimento e in tale momento sorgerà la capacità contributiva di cui all’art. 53, della Costituzione”.

Con espresso riguardo, poi, a quanto affermato dai giudici toscani in sede di conclusioni, relativamente a un probabile abuso del diritto direttamente derivante dalla circostanza che non fosse previsto nell’atto del trust alcun potere di controllo sull’operato del trustee, possiamo solo osservare come l’affermazione sembrerebbe totalmente all’oscuro da quella che è la normativa in materia di trust: semmai, è esattamente il contrario!

Persino l’Agenzia delle Entrate, con la circolare 61/2010, aveva avuto modo di elencare una serie di ipotesi in cui i trust si sarebbero dovuti ritenere inesistenti. Tra queste, è espressamente indicata quella in cui il “Potere gestionale e dispositivo del trustee, così come individuato dal regolamento del trust o dalla legge, risulti in qualche modo limitato o anche semplicemente condizionato dalla volontà del disponente e/o dei beneficiari”. L’unico potere di controllo che è ammesso riguardo all’operato del trustee è quello eventualmente esercitato dal protector (figura, peraltro, non obbligatoria), seppure con determinate cautele, considerato che lo stesso protector è di regola nominato dal settlor e detta nomina non deve servire a far si che il medesimo settlor possa esercitare un’indiretta mascherata potestà sul trustee.

Conclusione

A questo punto, occorre porsi una domanda: visto quanto precede, come sarà opportuno comportarsi, da un punto di vista fiscale, nell’atto dispositivo dei beni in trust?

Prima di rispondere, vediamo quali sono gli effetti pratici della tassazione richiesta da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Parlare dell’Italia come di una sorta di paradiso fiscale ha del ridicolo. Peraltro, è fatto noto che l’imposta nazionale in materia di successioni e donazioni è a dei livelli talmente bassi da non trovare uguali negli altri Paesi. Tant’è vero che da tempo si discute a livello politico in merito a un suo urgente e cospicuo innalzamento, che parrebbe oramai prossimo. Ergo, sembra evidente come, in tale ottica, chiunque possa incominciare a nutrire un qualche interesse circa la creazione di un trust (oltre ad agire il prima possibile, onde approfittare dell’attuale regime oltremodo vantaggioso prima che cambi), si guarderà bene dal contestare detta particolare pretesa tributaria, posto che non esiste alcun altro istituto che gli consenta di sottostare a una minore tassazione complessiva.

Il problema si pone, dunque, solamente con riguardo alle imposte ipotecarie e catastali applicate in misura proporzionale, anziché in misura fissa. In proposito, purtroppo, fino a che non intervengano delle convincenti pronunce da parte della Giurisprudenza di Cassazione, l’unico consiglio che ci sentiamo di poter dare è quello solito: pagare quanto richiesto dall’Ufficio e, semmai, chiedere subito dopo il rimborso, previa attenta valutazione da compiersi col professionista di fiducia in merito ai pro e ai contro legati all’instaurazione dell’eventuale successivo contenzioso.

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