Paolo Soro

Corte Costituzionale 228/2014 – Incostituzionale la presunzione sui prelievi dei professionisti

Con la sentenza N. 228 depositata ieri, la Consulta si è espressa in tema di prelievi di conto corrente bancario effettuati dai professionisti, sancendo l’incostituzionalità della norma di legge che parla di “compensi”; ovverossia, stabilendo come sia inapplicabile ai professionisti l’assurda presunzione in base alla quale: i prelevamenti di contanti non documentabili equivalgano a ricavi non dichiarati.

Finalmente! Con la sentenza N. 228 depositata ieri, la Consulta si è espressa in tema di prelievi di conto corrente bancario effettuati dai professionisti, sancendo l’incostituzionalità della norma di legge che parla di “compensi”; ovverossia, stabilendo come sia inapplicabile ai professionisti l’assurda presunzione in base alla quale: i prelevamenti di contanti non documentabili equivalgano a ricavi non dichiarati.
Si trattava di un assunto fuori da ogni logica per chiunque fosse dotato di un minimo di raziocinio; quasi un’ovvietà. Ma siamo in Italia, Paese dove evidentemente la logica esula dal contesto giuridico-tributario e dove, soprattutto, non si possono dare per scontate nemmeno le cose ovvie.
Riepiloghiamo brevemente la questione.
L’art. 32, comma 1, numero 2), secondo periodo, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), come modificato dall’art. 1, comma 402, lettera a), numero 1), della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005), aggiungendo alla previgente normativa il termine “compensi”, aveva portato l’Agenzia delle Entrate (e la Giurisprudenza di Legittimità) ad assimilare i professionisti agli imprenditori con riferimento alla doppia presunzione:
Prelievi non documentati = Costi in “nero”
Costi in “nero” = Compensi non dichiarati
Ossia: i prelievi di contanti effettuati col Bancomat da parte di un professionista venivano automaticamente considerati compensi non dichiarati, salvo che il medesimo non producesse tutte le note documentali relative alle spese effettuate con tali contanti. Prova, di fatto, impossibile, almeno per la maggior parte di tali prelevamenti.
Nel nostro video del 17/04/2014, dal titolo: “Prelevamenti di contanti”, pubblicato nella Sezione: “Oggi parliamo di…”, del sito, avevamo già avuto modo di trattare la vicenda e di illustrarne le gravi ingiuste ripercussioni che causava.
Ebbene, con l’Ordinanza 27/29/2013, la CTR Lazio ha sollevato la questione di incostituzionalità, evidenziando l’irrazionalità della presunzione a favore del Fisco.
Ieri, è finalmente arrivato lo stop della Corte Costituzionale, con la citata sentenza 228/2014, che ha bocciato la presunzione relativa ai titolari di reddito di lavoro autonomo. La Consulta ha dichiarato così l’illegittimità parziale dell’articolo 32, comma 1, numero 2), secondo periodo, del Dpr 600/1973, nella parte in cui ha parificato ai titolari di reddito di lavoro autonomo, lo stesso trattamento riservato ai titolari di reddito d’impresa: “Anche se le figure dell'imprenditore e del lavoratore autonomo sono per molti versi affini nel diritto interno come nel diritto comunitario, esistono specificità di quest'ultima categoria che inducono a ritenere arbitraria l'omogeneità di trattamento prevista dalla disposizione censurata, alla cui stregua anche per essa il prelevamento dal conto bancario corrisponderebbe a un costo a sua volta produttivo di un ricavo. Secondo tale doppia correlazione, in assenza di giustificazione deve ritenersi che la somma prelevata sia stata utilizzata per l'acquisizione, non contabilizzata o non fatturata, di fattori produttivi e che tali fattori abbiano prodotto beni o servizi venduti a loro volta senza essere contabilizzati o fatturati”.
La sentenza in argomento sottolinea che: “L'attività svolta dai lavoratori autonomi si caratterizza per la preminenza dell'apporto del lavoro proprio e la marginalità dell'apparato organizzativo: tale marginalità assume poi differenti gradazioni a seconda della tipologia di lavoratori autonomi, sino a divenire quasi assente nei casi in cui è più accentuata la natura intellettuale dell'attività svolta, come per le professioni liberali”.
La non ragionevolezza della presunzione che trasforma automaticamente in “nero” i prelievi ingiustificati da parte dei professionisti, continua la Consulta: “E’ avvalorata dal fatto che gli eventuali prelevamenti vengono a inserirsi in un sistema di contabilità semplificata di cui generalmente e legittimamente si avvale la categoria; assetto contabile da cui deriva la fisiologica promiscuità delle entrate e delle spese professionali e personali”.
Del resto: “L'esigenza di combattere un'evasione fiscale ritenuta rilevante nel settore trova una risposta nella recente produzione normativa sulla tracciabilità dei movimenti finanziari”, oltre che: “Nell'obbligo – sia pure sprovvisto di sanzioni – di accettare pagamenti, di importo superiore a trenta euro, effettuati con carte di debito in favore di imprese e professionisti per l'acquisto di prodotti o per la prestazione di servizi”.
La Corte Costituzionale, dunque, conclude affermando che: “La presunzione è lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati a un investimento nell'ambito della propria attività professionale e che questo, a sua volta, sia produttivo di un reddito” (innegabile illegittimità della doppia presunzione).
Inutile rimarcare come appaia esente da critiche tale ragionamento e come, detta pronuncia, sia accolta con estremo favore da tutti i professionisti e – più in generale – i lavoratori autonomi, i quali possono finalmente tirare un sospiro di sollievo.

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