Paolo Soro

Crisi economica e vendite sottocosto

La vendita sottocosto dell’impresa in stato di crisi, salvo che ricorrano ben altre circostanze gravi, precise e concordanti, appare come una condotta fiscalmente non stigmatizzabile proprio in ragione dello stato dell’impresa in cui l’operazione economica deve essere necessariamente contestualizzata per una sua obiettiva valutazione.

La Corte di Cassazione nella sentenza n. 16695 del 3 luglio 2013 si è occupata di un caso interessante concernente l’eventuale anti-economicità delle vendite sottocosto di un’impresa in crisi. L’Amministrazione Finanziaria aveva contestato alla società, poi dichiarata fallita, l’omesso versamento IVA, eccependo l’esistenza in via presuntiva ex articolo 54, comma 2, DPR 633/1972, di maggiori corrispettivi percepiti in relazione a una vendita di prodotti, per il solo fatto che essa era avvenuta a un prezzo inferiore rispetto al costo di produzione.
In Cassazione, la società eccepiva che la contestazione era stata sollevata dall’Amministrazione senza considerare affatto che l’anti-economicità dell’attività svolta trovava proprio una precisa e obiettiva ragione e giustificazione nella crisi in cui l’impresa si trovava attanagliata, tanto poi da sfociare nel suo fallimento.
La Suprema Corte, richiamando anche propria precedente giurisprudenza (Cassazione n. 6849/2009), ha sottolineato dapprima che in tema di IVA, per presumere ex articolo 54, comma 2, DPR 633/1972, l’esistenza di ricavi superiori a quelli contabilizzati e quindi assoggettati a imposta “non bastano semplici indizi, ma occorrono circostanze gravi, precise e concordanti”. Nel caso in questione, poi, constatato lo stato di crisi dell’impresa, risultava del tutto evidente che ben altro era il prezzo che l’impresa avrebbe potuto ricavare da un bene quando esso fosse stato immesso nel circuito da un’impresa in attività, rispetto a quello a cui lo stesso avrebbe potuto essere realizzato allorquando, a esempio, sarebbe stato inserito nell’ambito di una vendita fallimentare o simile.
Di conseguenza, la vendita sottocosto dell’impresa in stato di crisi, salvo che ricorrano ben altre circostanze gravi, precise e concordanti, appare come una condotta fiscalmente non stigmatizzabile proprio in ragione dello stato dell’impresa in cui l’operazione economica deve essere necessariamente contestualizzata per una sua obiettiva valutazione. La quale, non potrà prescindere dal considerare le mutate esigenze dell’impresa, laddove l’aspetto finanziario diventa spesso preminente rispetto a quello economico, tanto da giustificare un sacrificio della redditività senza che ciò debba necessariamente generare fattispecie suscettibili di accertamenti di natura tributaria.
Si tratta, a ben vedere, di un principio naturale, sul quale la dottrina si è sempre largamente battuta. Registriamo, dunque, finalmente con piacere il consolidarsi in proposito di un certo orientamento della Giurisprudenza di legittimità.

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