Paolo Soro

Presunzione di distribuzione degli utili ai soci di SRL – pronunce favorevoli ai contribuenti

Cogliamo spunto dalla recente sentenza della CTR Lazio N. 2614, del 22/04/2014, per ritornare su un argomento particolarmente delicato, che non fa dormire sonni tranquilli ai soci delle SRL: la presunzione della distribuzione ai soci dei maggiori utili, sulla base di quanto accertato induttivamente a carico delle società a responsabilità limitata.

Cogliamo spunto dalla recente sentenza della CTR Lazio N. 2614, del 22/04/2014, per ritornare su un argomento particolarmente delicato, che non fa dormire sonni tranquilli ai soci delle SRL: la presunzione della distribuzione ai soci dei maggiori utili, sulla base di quanto accertato induttivamente a carico delle società a responsabilità limitata.
Avevamo già avuto modo di scrivere come, in base all’art. 2727 del codice civile: “Le presunzioni sono le conseguenze che il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignoto.” Ciò posto, in virtù del divieto di doppia presunzione (c.d. presunzione di secondo grado), il fatto ignoto a cui si risale tramite la presunzione, può essere desunto solo partendo da uno o più fatti noti, e non invece da un’altra presunzione. Viceversa, nella fattispecie in esame, l’accertamento si basa su due distinte presunzioni:
1.    l’esistenza di un maggior reddito della società rispetto a quello dichiarato, accertato, di regola, induttivamente;
2.    l’avvenuta distribuzione ai soci di tale maggior reddito accertato induttivamente in capo alla società.
Parrebbe, dunque, che la presunzione di distribuzione degli utili extra-contabili sia basata, non su fatti noti, ma su un’altra presunzione, così divenendo presunzione di secondo grado, come tale, non valida.
Ciononostante, secondo alcuna Cassazione: “Nel caso di società a ristretta base sociale (la stessa S.C., peraltro, non fornisce dei parametri precisi che identifichino le società a ristretta base sociale – n.d.r.), è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili, la quale non viola il divieto di presunzione di secondo grado, poiché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale“. Sempre a parere della Cassazione: “Lo scarso numero dei soci (cosa si intende per scarso numero? 5? 10? – n.d.r.) si converte nel dato qualitativo della maggiore conoscibilità degli affari societari. La giuridicità di tale situazione oggettiva si esprime attraverso la sottoposizione del socio all’onere di conoscere, della cui osservanza egli può dare anche prova positiva, attraverso la dimostrazione dei fatti relativi al processo cognitivo, ossia dei fatti impeditivi della conoscibilità, dei comportamenti adottati per acquisire la conoscenza che siano risultati vani, così che si giustifica anche il suo stato di ignoranza, e dei comportamenti volti a far valere la responsabilità dei gestori della società per le anormalità contabili.”
A modestissimo parere di chi scrive, vi sono due evidenti criticità in quanto affermato dalla Cassazione:
I)    Così, si sta, di fatto, invertendo l’onere della prova; esimendo, dallo stesso, la parte che pretende di far valere le proprie ragioni in giudizio (Amministrazione Finanziaria), per ribaltarne l’obbligo a carico di chi viene chiamato a difendersi (contribuente).
II)    Seppure, con la riforma del diritto societario del 2003, il potere di ispezione e di verifica, anche da parte del socio di minoranza, sia stato notevolmente ampliato, nella pratica è, in realtà, inimmaginabile pensare che lo stesso socio (regolarmente escluso dalla gestione direttiva della SRL), possa pedissequamente esercitare quella tipologia di controllo che, sulla base del parere della Giurisprudenza di Legittimità, dovrebbe viceversa mettere in atto, nel caso in cui volesse dimostrare la non conoscibilità degli eventuali maggiori utili societari accertati e la sua conseguente estraneità al percepimento di una quota parte degli stessi.
Ebbene, la Commissione Tributaria Regionale di Roma, con la sentenza menzionata (2614/2014), afferma il principio in base al quale, la distribuzione di utili non dichiarati alla ristretta base societaria, deve essere concretamente provata dall’Agenzia delle Entrate, e non semplicemente presunta.
Detta pronuncia, per la cronaca, segue quanto già affermato dalla CTR Toscana, con la sentenza N. 61/35/13.
Secondo la CTR di Roma, le affermazioni dell’Agenzia delle Entrate sono condivisibili in linea di principio, così come lo sono anche i criteri generali, tuttavia, vige sempre, anche per il processo tributario, la necessità di rispettare l’onere della prova. In guisa che, la parte che afferma un determinato principio, ha l’obbligo di fornire al giudice la prova di quanto sostenuto, e non di limitarsi a una mera enunciazione del principio stesso, seppure supportata da apprezzabili orientamenti giurisprudenziali. Infatti: “La sola ristrettezza della base societaria, può costituire un ottimo elemento indiziario di occulta distribuzione di utili, il quale, però necessita del supporto di precisi e concordanti elementi probatori”.
Ad analoghe conclusioni era già giunta pure la CTP di Napoli con la sentenza 15.3.2012, n. 145, la quale aveva sostenuto come l’Amministrazione Finanziaria non potesse emettere un avviso di accertamento nei confronti dei soci, fondando la motivazione dell’atto sulla semplice appartenenza a detta società (giova ricordare che, nell’occasione, il contribuente aveva depositato, oltre alle memorie illustrative, estratti di c/c bancario, ai fini di prova circa la mancata percezione degli emolumenti accertati).
Sempre la CTR Lazio, in una precedente occasione (sentenza N. 342, del 06/07/2009) aveva avuto modo di affermare come: “L’accertamento eseguito nei confronti dei soci di società di capitali a ristretta base sociale sulla c.d. presunzione di distribuzione degli utili extracontabili, presuppone l’esecuzione di una rettifica dalla quale scaturiscano maggiori ricavi. Tale presunzione, quindi, non può operare ove l’avviso di accertamento sia fondato sul mero disconoscimento di costi, in quanto non inerenti o indeducibili per altre ragioni.”
Di analogo orientamento – pur se particolarmente datata – anche la CTR Veneto N. 175, dell’11/01/1999.
Attualmente, dunque, questi sono i principali pronunciamenti favorevoli cui i contribuenti possono fare riferimento, fermo restando, però, che l’orientamento della Cassazione continua a risultare pesantemente negativo.

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