Paolo Soro

I limiti della pianificazione fiscale nell’UE

Uno dei principali compiti richiesti dai clienti a un commercialista è, ovviamente, quello di suggerire la strada migliore (ossia, meno onerosa), dal punto di vista fiscale, per attuare i loro progetti imprenditoriali. Detti consigli, peraltro, devono essere particolarmente attenti alle normative anti-elusione, caratterizzate dal principio generale in base al quale, la soluzione scelta deve consentire effettivamente di far conseguire all’impresa un concreto vantaggio economico, e non meramente fiscale.

Uno dei principali compiti richiesti dai clienti a un commercialista è, ovviamente, quello di suggerire la strada migliore (ossia, meno onerosa), dal punto di vista fiscale, per attuare i loro progetti imprenditoriali. Detti consigli, peraltro, devono essere particolarmente attenti alle normative anti-elusione, caratterizzate dal principio generale in base al quale, la soluzione scelta deve consentire effettivamente di far conseguire all’impresa un concreto vantaggio economico, e non meramente fiscale.
Ecco, allora, che una scrupolosa pianificazione fiscale internazionale potrebbe risultare maggiormente premiante dal punto di vista dell’ampia gamma di opzioni offerte agli imprenditori, pur nei limiti delle regole dettate in materia di estero-vestizione, nonché, naturalmente, fatto salvo quanto prescritto dalle eventuali convenzioni contro le doppie imposizioni afferenti gli Stati di precipuo interesse.
Al riguardo, la Commissione Europea ha recentemente elaborato un documento contenente delle Raccomandazioni generali per fronteggiare quelle che vengono giudicate pratiche di “pianificazione fiscale aggressiva”, tendenti a eludere la vigente normativa fiscale dei Paesi Membri. Secondo la Commissione, tale “pianificazione fiscale aggressiva” consisterebbe nello sfruttare a proprio vantaggio gli aspetti tecnici di un sistema fiscale (o le disparità esistenti fra due o più sistemi fiscali), per ridurre l’ammontare dell’imposta che sarebbe complessivamente dovuta, agendo mediante operazioni che, seppure legali in senso stretto, contrasterebbero con quella che dovrebbe essere la ratio della norma tributaria. Sempre secondo la Commissione, nella pratica, si incontrano notevoli difficoltà per proteggere la base imponibile nazionale dall’erosione generata a opera di una “pianificazione fiscale aggressiva” di carattere internazionale.
Pertanto, i Paesi Membri vengono invitati a utilizzare tutti lo stesso sistema difensivo, il quale, sostanzialmente, consiste nel procedere a una rivisitazione delle convenzioni contro le doppie imposizioni e nell’adottare una norma anti-abuso generale comune, da plasmare alle singole situazioni nazionali, nonché alle situazioni transfrontaliere limitate all’Unione e alle situazioni che coinvolgono Paesi Terzi. A tale ultimo fine, i Paesi Membri dovrebbero inserire, all’interno del proprio ordinamento tributario nazionale, la seguente clausola:
“Una costruzione di puro artificio, o una serie artificiosa di costruzioni, che siano state poste in essere essenzialmente allo scopo di eludere l’imposizione, e che comportino un vantaggio fiscale, debbono essere ignorate. Le autorità nazionali devono trattare tali costruzioni a fini fiscali facendo riferimento unicamente alla loro sostanza economica”.
Entrando nello specifico, per la determinazione di una  costruzione artificiosa, occorre valutare:
-    Se la qualificazione giuridica delle singole misure di cui è composta la costruzione non è coerente con il fondamento giuridico della costruzione nel suo insieme;
-    Se la costruzione, o la serie di costruzioni, sono poste in essere in un modo che non sarebbe normalmente impiegato in quello che dovrebbe essere un comportamento ragionevole in ambito commerciale;
-    Se la costruzione, o la serie di costruzioni, comprendono elementi che hanno l’effetto di compensarsi o di annullarsi reciprocamente;
-    Se le operazioni concluse sono di natura circolare;
-    Se la costruzione, o la serie di costruzioni, comportano un significativo vantaggio fiscale, di cui tuttavia non si tiene conto nei rischi commerciali assunti dal contribuente o nei suoi flussi di cassa;
-    Se le previsioni di utili al lordo delle imposte sono insignificanti rispetto all’importo dei previsti vantaggi fiscali.
In pratica, la Commissione Europea afferma che occorre confrontare l’importo dell’imposta dovuta dal contribuente che utilizzi queste “costruzioni artificiose”, con l’importo che lo stesso contribuente avrebbe pagato nelle medesime circostanze, se non avesse operato con le anzidette “costruzioni artificiose”. E, per far ciò, si dovranno valutare le ipotesi in cui:
-    un importo non sia compreso nella base imponibile;
-    il contribuente tragga beneficio da una detrazione;
-    vi sia una perdita a fini fiscali;
-    non sia dovuta alcuna ritenuta alla fonte;
-    l’imposta estera venga compensata.
Ebbene, personalmente, condivido appieno il principio etico ispiratore del documento in discorso, ma non posso esimermi dall’assumere in proposito una posizione fortemente critica, in considerazione dell’aleatorietà di quanto ivi enunciato. Il tutto pare, infatti, troppo soggettivamente interpretabile e di difficile attuazione pratica: non contribuisce affatto a garantire la benché minima certezza del diritto.
Cosa significa, a esempio: “il contribuente tragga beneficio da una detrazione”? O: “le previsioni di utili al lordo delle imposte sono insignificanti rispetto all’importo dei previsti vantaggi fiscali”?
L’imposizione fiscale è – gioco forza – parte inscindibile di qualunque attività commerciale. Non è possibile valutare l’intera convenienza economica di un’iniziativa imprenditoriale, senza accertarne prima tutti i costi (finanche quelli tributari), che ineluttabilmente incidono sull’utile netto finale. Non posso dire che sarà economicamente conveniente vendere scarpe in Germania, anziché in Estonia, basandomi esclusivamente sul fatto che le indagini di mercato tendono a prevedere un maggior volume d’affari nel primo caso, rispetto al secondo. Ciò che rileva ai fini di un complessivo giudizio economico non potrà, infatti, essere limitato alla sola produzione del fatturato, ma dovrà ben più concretamente focalizzarsi con riferimento all’utile netto finale che quel fatturato è in grado di generare.
Pertanto, se, nell’esempio prospettato, l’incidenza percentuale di tutti i costi (inclusi i tributi) fosse particolarmente differente, tale che quella stessa azienda, mutatis mutandis, producesse utili maggiori in Estonia, come potrei essere accusato di avere compiuto un’operazione elusiva, laddove preferissi localizzare l’attività in un Paese che mi garantisse un utile netto finale superiore, per il solo fatto che, contestualmente, così operando, approfitto pure di un regime fiscale complessivamente più vantaggioso?
Insomma, capisco la difficoltà nel determinare i confini di una normativa anti-elusiva (difficoltà, peraltro, voluta dagli stessi Governi, i quali, evidentemente, preferiscono mantenere tutt’ora talune disparità, nonché un insieme di leggi farraginose e complesse, laddove sarebbe facilissimo – se ci fosse la volontà politica – adottare un testo unico semplice e univoco per tutti), ma queste raccomandazioni, così come sono state espresse, risultano poter solo essere foriere di un ulteriore rilevante incremento dell’attuale contenzioso in materia.

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