Paolo Soro

Società francese con impiegato in Italia – Residente italiano con telelavoro UK

Due risposte a interpello dell’Agenzia delle entrate particolarmente interessanti, seppure poco condivisibili.

Risposta 296/2021

Con la risposta n. 296 del 27 aprile 2021 l’Agenzia delle entrate ha fornito dei chiarimenti sul corretto trattamento tributario degli emolumenti che la società istante, fiscalmente residente in Italia, è tenuta a erogare al proprio dipendente per le prestazioni svolte in telelavoro, a decorrere dal 2017, presso la propria abitazione nel Regno Unito, dove ha la residenza fiscale.

L’istante, secondo quanto precisato dall’Agenzia, non dovrà operare le ritenute alla fonte sulle somme corrisposte al lavoratore ma, in qualità di sostituto d'imposta, potrà applicare direttamente sotto la propria responsabilità, il regime convenzionale di esenzione, previa presentazione da parte del telelavoratore di idonea documentazione che provi l'effettivo possesso di tutti i requisiti previsti dalla Convenzione contro le doppie imposizioni fra Italia e Regno Unito (legge n. 329/1990). Di diverso avviso l’istante, secondo cui in caso di telelavoro, il luogo in cui deve ritenersi svolta l'attività lavorativa è quello della sede aziendale, a nulla rilevando il luogo della prestazione.

L’Agenzia ricorda, in primo luogo, che si considerano prodotti in Italia i redditi di lavoro dipendente prestato nel territorio dello Stato (articolo 23, comma 2, lettera c), del Tuir).

Inoltre, in base al primo paragrafo dell'articolo 15 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Regno Unito “i salari, gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di un'attività dipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale attività non venga svolta nell'altro Stato contraente. Se l'attività è quivi svolta, le remunerazioni percepite a tal titolo sono imponibili in questo altro Stato”. Il successivo paragrafo, inoltre, prevede la tassazione esclusiva nello Stato di residenza anche per i redditi erogati per un lavoro svolto nell'altro Stato, se ricorrono tre condizioni: il beneficiario soggiorna nell'altro Stato non oltre 183 giorni,  le remunerazioni sono pagate da o a nome di un datore di lavoro che non è residente dell'altro Stato, la stessa retribuzione non è a carico di una stabile organizzazione con sede nell’altro Stato.

Fatte queste premesse, per individuare l’esatto luogo dell’attività lavorativa nel telelavoro, l’Agenzia richiama il commentario all’articolo 15, paragrafo 1, del modello Ocse di convenzione contro le doppie imposizioni, secondo il quale rileva il luogo in cui il lavoratore dipendente è fisicamente presente quando esercita le attività per cui è remunerato. L’Agenzia sottolinea, quindi, che il reddito del dipendente non può essere assoggettato a imposizione nell'altro Stato contraente, anche se i risultati della prestazione lavorativa sono utilizzati in detto Stato.

Pertanto, anche se i risultati della prestazione lavorativa sono utilizzati in Italia, la tassazione del reddito, nel caso in esame, dovrà avvenire solo nel Regno Unito, luogo in cui è fisicamente presente il dipendente

La retribuzione, in sostanza, non è fiscalmente rilevante in Italia e la società istante, in qualità di sostituto d'imposta, potrà applicare direttamente, sotto la propria responsabilità, il regime di esenzione previsto dalla Convenzione Italia-Regno Unito, se il lavoratore documenta il possesso dei requisiti per beneficiare di tale regime.

Risposta 297/2021

Una società francese che fabbrica rubinetti e che ha istituito un ufficio di rappresentanza in Italia per la promozione istituzionale dei suoi prodotti, senza svolgere attività commerciale, non può applicare le ritenute alla fonte a titolo di acconto sulle somme da corrispondere al lavoratore dipendente, operando in qualità di sostituto d'imposta, mancando, in Italia, una stabile organizzazione. È il chiarimento fornito dall’Agenzia con la risposta n. 297 del 27 aprile 2021.

L’Agenzia precisa in primo luogo che fra i soggetti obbligati a operare, in qualità di sostituti di imposta, le ritenute alla fonte sui redditi, sono inclusi anche “le società ed enti di ogni tipo compresi i trust, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato” (articolo 73, lettera d) comma 1, del Tuir). La disposizione in pratica prevede che possano rivestire la qualifica di sostituti di imposta, anche i soggetti non residenti nel territorio dello Stato.

Tuttavia, evidenzia l’Agenzia, tali enti e società non residenti assumono la veste di sostituti solo per i soli redditi corrisposti da una loro stabile organizzazione o base fissa in Italia (circolare del ministero delle Finanze n. 326 del 23 dicembre 1997). Le società non residenti, infatti, anche se ricomprese, sotto il profilo soggettivo, tra i soggetti indicati al primo comma dell'articolo 23 del Dpr n. 600/1973, ne sono, in linea di principio, oggettivamente escluse in ragione della delimitazione territoriale della potestà tributaria dello Stato.

Di conseguenza, in assenza di stabile organizzazione in Italia, l'istante, non rivestendo il ruolo di sostituto d'imposta, non è tenuta a operare le ritenute sui corrispettivi erogati al proprio dipendente in Italia.

L’Agenzia precisa, inoltre, che nel caso in cui l’istante possa operare le ritenute alla fonte sui corrispettivi, sarà tenuto ad adempiere anche a tutti gli altri obblighi formali e sostanziali (cfr. principio di diritto n. 8/2019). Resta inteso che se il personale assunto in Italia ha facoltà di concludere contratti in nome della società istante, bisognerà verificare se la stessa disponga di una stabile organizzazione nel territorio dello Stato.

Fonte: Fisco-Oggi

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