Paolo Soro

Vendite a distanza Ue con doppia Iva, le regole per ottenere il rimborso

Se l’imposta da versare nello Stato estero è stata erroneamente assolta in Italia, il dies a quo per l’istanza di restituzione decorre dal pagamento del tributo nel nostro Paese.

Una ditta che effettua vendite online di videogiochi, alla quale viene notificato dal Paese estero di destinazione dei beni un avviso di versamento Iva, in quanto ha superato la soglia di 100mila euro, potrà chiedere il rimborso per gli anni accertati, cioè 2015 e 2016, presentando istanza entro due anni dal ricevimento dell’avviso. Non potrà, invece, ricorrere alla dichiarazione integrativa (articolo 2, comma 8, Dpr n. 322/1998) per i periodi d’imposta non ancora accertati dall'autorità fiscale.

Sono i chiarimenti forniti dall’Agenzia con la risposta n. 255 del 16 aprile 2021.

L'istante è un esercente attività di commercio al dettaglio di articoli informatici (videogame, videogiochi e prodotti elettronici) all'interno dell'Ue e opera quasi esclusivamente attraverso vendite online nei confronti di consumatori finali e soggetti passivi Iva. L’istante, che ha regolarmente versato l’Iva in Italia, rappresenta di aver ricevuto dall’amministrazione fiscale straniera un avviso per mancato assolvimento dell’imposta. L’istante riconosce che per le annualità 2015 e 2016 ha superato la soglia di vendite, circostanza che comporta il versamento dell’imposta nel paese di destinazione della merce, di conseguenza ha predisposto e inviato all'Amministrazione fiscale estera la dichiarazione annuale Iva relativa ai periodi d'imposta 2015 e 2016 (mentre sono tuttora in corso le verifiche sui successivi anni d'imposta). Fa presente quindi che versando l’Iva al predetto Stato e avendola già versata in Italia si è prodotta un’illegittima duplicazione dell’imposta a suo carico.

Chiede quindi quale sia il momento in cui sorge il presupposto per la richiesta del rimborso e quale siano le modalità per presentare l’istanza di rimborso allo Stato italiano.

In via preliminare, l’Agenzia ricorda la normativa in tema di vendite online secondo la quale, in sintesi, le cessioni in base a cataloghi, per corrispondenza e simili, di beni, da intendersi cessioni di beni con trasporto a destinazione da parte del cedente, destinate a consumatori finali, sono soggette ad Iva nello Stato di residenza del cedente, se l'ammontare delle cessioni di beni spediti o trasportati nell'altro Stato membro non ha superato nell'anno precedente, e non supera in quello in corso, l'importo di 100mila euro. Il superamento di tale soglia nel corso dell’anno comporta che le cessioni già eseguite si intendono effettuate nello Stato membro di origine o di residenza del venditore, mentre quelle effettuate a partire dalla cessione che ha determinato il superamento del tetto di 100mila euro si intendono eseguite nel Paese Ue di destinazione dei beni, con effetto per tutte le vendite a distanza effettuate nella restante parte dell'anno (articolo 41, comma 1, lettera b), del Dl n. 331/1993).

L’Agenzia ricorda, inoltre, che, se lo Stato membro di destinazione del bene richiede il pagamento dell'imposta già versata nel territorio italiano, il contribuente, entro due anni, ne può chiedere la restituzione, i due anni decorrono dalla data di notifica dell’atto impositivo da parte della competente autorità estera. Su richiesta del contribuente, il rimborso dell'imposta può essere effettuato anche tramite il riconoscimento formale da parte delle Entrate di un credito di pari importo utilizzabile in compensazione (articolo 11-quater Dl n. 35/2005).

Fatte queste premesse, l’Agenzia, in linea con la normativa e la prassi (circolare n. 20/2006) ritiene che con riferimento ai periodi d'imposta già oggetto di accertamento, cioè le annualità 2015 e 2016, si possa condividere la soluzione prospettata dal contribuente, che intende presentare per tali annualità, entro il termine di due anni dal ricevimento dell’avviso, istanza di rimborso, il procedimento del “rimborso anomalo” previsto dall’articolo 21 del Dlgs n. 546/1992.

Al contrario, per il recupero dell'Iva che l’istante ritiene di aver erroneamente versato in Italia per i periodi d’imposta non ancora accertati dall'autorità fiscale, secondo l’Agenzia non è, invece, ammissibile il ricorso alla dichiarazione integrativa prevista dall'articolo 2, comma 8, del Dpr n. 322/1998, né al rimborso di cui all’articolo 38 del Dpr n. 602/1973, di cui l’istante si vuole avvalere, disposizioni destinate entrambe al recupero delle imposte dirette.

In questo caso, invece, si può ricorrere all’articolo 30-ter, comma 1, del decreto Iva secondo cui “Il soggetto passivo presenta la domanda di restituzione dell'imposta non dovuta, a pena di decadenza, entro il termine di due anni dalla data del versamento della medesima ovvero, se successivo, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione”. Ne deriva che l'istante può richiedere il rimborso dell'Iva non dovuta nello Stato italiano considerando quale dies a quo dal quale far decorre il termine biennale previsto dal citato articolo 30-ter,bcomma 1, del decreto Iva, il momento in cui l'imposta è stata assolta in Italia. I due anni, precisa l’Agenzia, decorrono dal momento in cui l’imposta è stata assolta in Italia. A tal fine il contribuente dovrà provare che l’Iva andava versata nel Paese di destinazione della merce.

Fermo restando che gli uffici che eseguono i rimborsi possono in ogni caso verificare che l’imposta versata in Italia non era invece dovuta.

Fonte: Fisco-Oggi

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