Paolo Soro

Transazione soggetta all’Iva

Il pagamento, in esecuzione di un accordo transattivo, di una somma di denaro a tacitazione delle pretese risarcitorie vantate dalla controparte, rappresenta il corrispettivo di un’obbligazione di non fare o di permettere, costituente prestazione di servizi agli effetti dell’imposta.

Il pagamento, in esecuzione di un accordo transattivo, di una somma di denaro a tacitazione delle pretese risarcitorie vantate dalla controparte, rappresenta il corrispettivo di un'obbligazione di non fare o di permettere, costituente prestazione di servizi agli effetti dell'imposta.

È quanto ha stabilito l'Agenzia delle entrate nella risposta ad interpello n. 145 di ieri, 3 marzo 2021, che esclude così, anche sulla scorta di una sentenza della Cassazione, il carattere risarcitorio della transazione novativa.

Una società avendo subito danni irreversibili alla produzione a causa del malfunzionamento di un impianto, aveva presentato al fornitore dell'impianto una richiesta di risarcimento. Le parti hanno risolto in via transattiva con un accordo: il fornitore si è impegnato a pagare alla cliente una somma a saldo e stralcio di ogni pretesa. Al ricevimento, la società ha emesso fattura con addebito Iva, ritenendo quanto ottenuto corrispettivo di una prestazione di servizi imponibile ex art. 3, dpr 633/72, ma ha poi presentato interpello per chiedere se possa invece configurarsi un risarcimento escluso dal tributo.

Nel confermare l'operato della società, l'Agenzia osserva che è necessario individuare la funzione economica della somma, che assume rilevanza impositiva se corrisposta a fronte di obblighi di fare, non fare o permettere a carico della controparte. Richiama la sentenza della cassazione 20233/2018, secondo cui «la prestazione di servizi, pure in prospettiva unionale, è un'operazione soggetta a Iva anche quando la stessa si risolve in un semplice non fare o come nel nostro caso in un permettere e purché si collochi all'interno di un rapporto sinallagmatico». Questa conclusione non appare in contrasto con i principi espressi dalla Corte di giustizia Ue nelle sentenze 29/2/96 e 18/12/97, secondo cui esula dalla sfera dell'imposta, per carenza del presupposto oggettivo, l'impegno assunto dall'imprenditore, a fronte della corresponsione di un'indennità da parte dello stato, di abbandonare o ridurre la produzione agricola. Tali sentenze, come ritenuto anche dalla Cassazione, forniscono infatti «un'interpretazione incidentale su fattispecie del tutto particolari, caratterizzate dalla circostanza che l'indennità riconosciuta ai produttori agricoli assume carattere essenzialmente risarcitorio della perdita subita».

Nella fattispecie, invece, l'Agenzia ritiene che la somma corrisposta con l'intenzione di «transigere con effetto novativo» la controversia, costituisca il corrispettivo dell'impegno del percettore di rinunciare all'esercizio di ogni ulteriore pretesa, ossia dell'assunzione di un obbligo di non fare/permettere rilevante agli effetti dell'imposta.

La soluzione lascia perplessi.

Le citate sentenze della Corte di giustizia, diversamente dalla lettura riduttiva che ne ha fornito la Cassazione nella sentenza del 2018 (peraltro in consapevole contrasto con una precedente pronuncia del 2014 allineata alla giurisprudenza unionale), affermano infatti il principio generale secondo cui non tutte le obbligazioni verso corrispettivo sono qualificabili come prestazioni di servizi soggette a Iva, occorrendo al tal fine che, in armonia con lo scopo dell'imposta, esse comportino un consumo. Su queste basi, la Corte di giustizia, nella sentenza 9 ottobre 2001, ha poi escluso l'esistenza di una prestazione imponibile nel caso della società che percepisce dal proprietario di un immobile una somma di denaro esclusivamente a fronte dell'obbligo di prendere in locazione l'immobile, osservando che, mediante tale obbligazione, la società non fornisce alcuna prestazione alla controparte.

La natura meramente risarcitoria che il pagamento sembra rivestire nella fattispecie in esame, infine, non può mutare per il solo fatto che, anziché conseguire a una sentenza di condanna del giudice, sia stato pattuito con una «transazione novativa».

Fonte: Italia Oggi

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