Il caso in questione (che può essere applicato, mutatis mutandis, ad analoghe fattispecie di contribuenti fiscalmente non residenti) concerne un dirigente assunto da un gruppo multinazionale per prestare attività lavorativa anche in Italia, nel corso dell’anno fiscale 2019.
La società datrice di lavoro, fa presente di aver assunto, in data 1° settembre 2019, un dirigente con la carica di Chief Executive Officer (CEO), il quale, nel periodo d’imposta 2019, risulta peraltro essere un soggetto fiscalmente non residente in Italia. Il CEO, per la sua attività, dovrà trascorrere numerosi giorni lavorativi fuori dal territorio dello Stato italiano, presso le altre sedi del gruppo societario.
La società istante, in qualità di sostituto d’imposta, vuole allora sapere se deve assoggettare a ritenute alla fonte il reddito di lavoro dipendente riferito ai soli giorni di lavoro trascorsi dal CEO nel territorio italiano ed escludere da tassazione in Italia la parte di reddito relativo ai giorni di lavoro trascorsi all'estero, in quanto prodotto fuori dal territorio dello Stato italiano.
In premessa occorre rilevare come, spesso, si sia portati erroneamente a credere che, essendo il percipiente non fiscalmente residente in Italia, le ritenute non vadano effettuate. In realtà, la disposizione (art. 23, DPR 29 settembre 1973, N. 600), nel disciplinare le ritenute sui redditi di lavoro dipendente, stabilisce che le società che "corrispondono somme e valori di cui all'articolo 48 [rectius, 51] dello stesso testo unico, devono operare all'atto del pagamento una ritenuta a titolo di acconto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta dai percipienti, con obbligo di rivalsa".
In base a tale norma, dunque, il sostituto d'imposta ha l'obbligo di effettuare la ritenuta ogni qual volta la corresponsione riguardi somme e valori di cui all'art. 51 del Tuir (ossia, somme e valori in qualunque modo riconducibili al rapporto di lavoro dipendente), indipendentemente dallo status di residente o non residente del percipiente.
Detta disposizione di carattere generale, deve però essere letta in accordo con il combinato disposto dell'art. 3, comma 1, del Tuir, e dell'art. 23, comma 1, lettera c), sempre del medesimo testo unico.
In particolare, la prima norma afferente alla base imponibile, stabilisce:
“L'imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto, formato per i residenti da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili indicati nell'articolo 10, e per i non residenti soltanto da quelli prodotti nel territorio dello Stato”.
La successiva disposizione (rubricata: “Applicazione dell'imposta ai non residenti”), art. 23, comma 1, lettera c), prevede:
“Ai fini dell'applicazione dell'imposta nei confronti dei non residenti, si considerano prodotti nel territorio dello Stato: i redditi di lavoro dipendente prestato nel territorio dello Stato, compresi i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell'articolo 50”. Ciò, in quanto la potestà impositiva dello Stato è esercitata solo nel luogo in cui è svolta la prestazione lavorativa.
Tale ultimo principio risulta confermato tout court anche dalla normativa convenzionale.
Se, infatti, andiamo a leggere l’art. 15 del Modello OCSE contro le doppie imposizioni, relativo proprio alla tassazione dei redditi da lavoro dipendente, vedremo che il criterio di collegamento ai fini dell'attrazione dei redditi di lavoro dipendente nella potestà impositiva di uno Stato, è costituito dal luogo in cui è svolta la prestazione lavorativa.
Nello specifico, la disposizione dei trattati internazionali stabilisce:
"1. I salari, gli stipendi e le altre remunerazioni che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di un'attività dipendente, sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale attività non venga svolta nell'altro Stato contraente. Se l'attività è quivi svolta, le remunerazioni percepite a tale titolo sono imponibili in questo altro Stato.
2. Nonostante le disposizioni del paragrafo 1, le remunerazioni che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di un'attività dipendente svolta nell'altro Stato contraente, sono imponibili soltanto nel primo Stato se:
a) il beneficiario soggiorna nell'altro Stato per un periodo o periodi che non oltrepassano in totale i 183 giorni nel corso dell'anno fiscale considerato, e
b) le remunerazioni sono pagate da o per conto di un datore di lavoro che non è residente dell'altro Stato, e
c) l'onere delle remunerazioni non è sostenuto da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha nell'altro Stato".
Anche ai fini convenzionali, quindi, per i soggetti non residenti, il criterio di collegamento ai fini dell'attrazione dei redditi di lavoro dipendente nella potestà impositiva di uno Stato, è costituito dal luogo in cui è svolta la prestazione lavorativa.
Ergo, se ne deduce che, ogni qual volta la corresponsione di compensi riguardi somme e valori riconducibili a rapporti di lavoro dipendente prestati in Italia, i sostituti d'imposta nazionali avranno l'obbligo di effettuare le ritenute di legge, anche se i percipienti non risultano fiscalmente residenti nel territorio dello Stato.
Ovviamente, questa affermazione risulta valida laddove sia corretta la premessa: residenza fiscale estera. La domanda cui occorrerà fornire adeguata risposta è, allora, la seguente:
Da un punto di vista prettamente operativo, come può il datore di lavoro esprimere un sindacato talmente delicato e regolarmente foriero di aspri contenziosi, come quello afferente alla residenza fiscale, se la stessa Agenzia delle entrate, rispondendo all’interpello, precisa: “La verifica della sussistenza dei presupposti per stabilire l'effettiva residenza fiscale di un soggetto riguarda elementi di fatto che, come precisato con circolare 1° aprile 2016, N. 9/E, non possono essere oggetto di istanza di interpello ai sensi dell'articolo 11 della legge 27 luglio 2000, N. 212”?
Sul punto, ci vengono in aiuto altre risoluzioni pubblicate dall’Agenzia delle entrate.
Il lavoratore non potrà limitarsi a consegnare la classica auto-dichiarazione, ma dovrà produrre al datore di lavoro una specifica certificazione attestante la residenza fiscale all'estero, appositamente rilasciata dalle competenti amministrazioni finanziarie degli Stati di interesse. Tale documento risulta, infatti, l’unico avente validità, come affermato più volte nella prassi (Risoluzione 26 luglio 1999, N. 126; Risoluzione 24 maggio 2000, N. 68; Risoluzione 24 settembre 2003, N. 183).
Chiarito questo primo punto, è necessario valutare il secondo aspetto della vicenda: ossia, per l’appunto, quali sono i redditi effettivamente prodotti in Italia che dovranno essere assoggettati a ritenuta.
Al fine di determinare il reddito di lavoro dipendente imponibile in Italia, occorrerà fare riferimento al rapporto tra:
- Al numeratore, il numero di giorni durante i quali la prestazione lavorativa è svolta nel nostro Paese
- Al denominatore, il periodo totale – espresso anch'esso in giorni – che dà diritto a ottenere la retribuzione
Nell’esempio qui oggetto di commento, il dirigente è stato assunto in data 01/09/2019. Pertanto, dovremo indicare al numeratore quali sono le giornate di lavoro concretamente svolte in Italia. Mentre, al denominatore andremo a inserire il totale dei giorni contrattualmente pattuiti fino al – sempre nel caso in parola – 31/12/2019.
Attenzione, però, che il numero dei giorni indicati al numeratore e al denominatore del rapporto deve essere individuato con criteri omogenei. Ebbene, i termini del rapporto possono ritenersi omogenei, solo qualora il periodo di lavoro considerato al numeratore del rapporto sia assunto con gli stessi criteri di quello evidenziato al denominatore. Ora, considerato che il periodo effettivo di lavoro svolto in Italia (nel caso di un soggetto fiscalmente non residente nel territorio dello Stato) è da computarsi al netto di festività, weekend e ferie, analogamente, pure il periodo di lavoro da indicare al denominatore andrà parimenti calcolato sempre al netto di festività, weekend e ferie. Tale principio è stato già in passato affermato dall’Agenzia delle entrate, nella Circolare 23 maggio 2017, N. 17/E.
Da un punto di vista pratico, ovviamente, si potrà fare riferimento alle presenze indicate nelle giornaliere / LUL, facendosene preferibilmente sottoscrivere copia dal dipendente interessato.
Riepilogando, dunque, il datore di lavoro assoggetterà a ritenute le sole retribuzioni corrisposte a fronte del lavoro svolto in Italia, premurandosi di acquisire previamente la seguente documentazione:
- Certificazione attestante la residenza fiscale all'estero, rilasciata dalla competente amministrazione finanziaria dello Stato di riferimento
- Estratto Libro Unico del Lavoro, sottoscritto dal dipendente, nel quale sono riportate le presenze giornaliere effettivamente svolte in Italia
Notevole interesse pratico, assumono infine le istruzioni dettate dall’Agenzia delle entrate nell’occasione, ai fini di una corretta compilazione della Certificazione Unica relativa al rapporto di lavoro in questione.
Nella Sezione "Dati Fiscali", il datore di lavoro dovrà:
- Indicare, al punto 1, il totale della retribuzione imponibile in Italia
- Riportare, al punto 6, il numero di giorni di lavoro prestato in Italia per i quali il dipendente ha diritto alla detrazione di cui all'articolo 13, comma 1, del TUIR
- Indicare, al punto 8, la data di inizio del rapporto di lavoro
- Barrare il punto 10, per indicare che il lavoratore è ancora eventualmente in forza alla data del 31 dicembre 2019
- Riportare, al punto 11, il codice 4, previsto per segnalare ipotesi in cui non vi è coincidenza tra i giorni di lavoro che danno diritto alle detrazioni di cui all'art. 13, comma 1, TUIR, e la durata del rapporto di lavoro
Verificandosi, poi, l'ipotesi di redditi solo parzialmente esentati da imposizione in Italia, in quanto il percipiente risiede in uno Stato estero con cui è in vigore una convenzione per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte dirette, il datore di lavoro dovrà compilare anche la sezione "Altri Dati", al fine di indicare l'ammontare di reddito che viene escluso dalla tassazione.
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