Paolo Soro

Portogallo, paradiso fiscale dei pensionati italiani… ma non per tutti

Il Portogallo è una delle mete preferite dai pensionati italiani. Motivo: l’INPS corrisponde le pensioni al lordo delle imposte obbligatoriamente previste in Italia.

In conseguenza di quanto stabilito dall’art. 18 della convenzione contro le doppie imposizioni siglata tra l’Italia e il Portogallo, le pensioni pagate a un residente di uno Stato contraente in relazione a un cessato impiego, sono imponibili soltanto in questo Stato. Ergo, un pensionato italiano che trasferisce la propria residenza in Portogallo riceve la pensione al lordo delle imposte italiane, essendo assoggettato a tassazione solamente nel nuovo Paese di residenza.

Senonché, l’Erario lusitano ha istituito un regime di particolare favore per questa tipologia di contribuenti. Fino al 2019, coloro che acquisivano lo status di residenti non abituali, per dieci anni erano esentati da qualunque tipo di tassa sulla pensione. Si ricorda che per assumere lo status di “residente non abituale” è sufficiente vivere per sei mesi all’anno nel Paese. In tale ipotesi, la pensione diventa così esentasse.

Appare doveroso precisare che, attualmente, il legislatore portoghese ha istituito un’imposta fissa del 10% sulle pensioni. In ogni caso, niente a che vedere con le trattenute previste in Italia, dove come noto vige un sistema progressivo di tassazione in proporzione al reddito, che – specie per imponibili molto elevati – comporta un prelievo fiscale assai più rilevante. L’odierna modifica normativa, peraltro, interessa solamente i nuovi arrivati, non incidendo sulle posizioni in essere.

Tornando alla convenzione italo-portoghese, la stessa è stata recentemente oggetto di contestazione in sede europea con espresso riguardo all’eccezione inserita nel citato art. 18, il quale rimanda al secondo paragrafo del successivo art. 19. In ossequio a tale combinato disposto, l’anzidetta tassazione sui redditi da pensione non si applica agli ex dipendenti pubblici.

A dire il vero, quella qui appena richiamata in tema di pensioni non è una previsione convenzionale anomala introdotta nel trattato Italia / Portogallo, posto che ricalca pedissequamente il modello convenzionale OCSE 2014. Solo che, nel caso di specie, abbiamo a che fare con una nazione (Portogallo) che – come appena detto – ha istituito un regime fiscale domestico particolarmente privilegiato per tale categoria reddituale.

Sul punto è stata allora chiamata in causa la Corte di Giustizia UE, la cui ottava sezione, previa riunione delle cause C-168/19 e C-169/19, si è espressa lo scorso 30 aprile.

Si tratta di due domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte ai sensi dell’articolo 267, TFUE, dalla Corte dei Conti – Sezione Giurisdizionale per la Regione Puglia (Italia) – con ordinanze del 10 luglio 2018, pervenute in cancelleria il 25 febbraio 2019, nei procedimenti di due ex-pensionati pubblici italiani contro l’INPS, in merito al diniego dell’Istituto di corrispondere l’importo delle loro rispettive pensioni al lordo delle imposte italiane.

Le domande vertevano sull’interpretazione degli articoli 18 e 21, TFUE. Prima di analizzare la pronuncia, ricordiamo allora sommariamente cosa prescrivono queste due norme.

L’art. 18, TFUE stabilisce che nell’applicazione dei trattati, e senza pregiudizio delle disposizioni particolari dagli stessi previste, è vietata ogni discriminazione effettuata in base alla nazionalità. Il successivo art. 21, TFUE prevede il noto diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dai trattati e dalle disposizioni adottate in applicazione degli stessi. Consiglio e Parlamento europeo possono stabilire regole volte a vietare le discriminazioni, nonché adottare misure atte a rimuovere ogni ostacolo che impedisca il godimento dell’anzidetto diritto.

Ebbene, con riferimento al contesto normativo, in premessa la Corte richiama l’art. 18 della convenzione Italia / Portogallo:

«Fatte salve le disposizioni del paragrafo 2 dell’art. 19, le pensioni e le altre remunerazioni analoghe, pagate a un residente di uno Stato contraente in relazione a un cessato impiego, sono imponibili soltanto in questo Stato».

In proposito, l’art. 19, paragrafo 2, della convenzione enuncia quanto segue:

«Le pensioni corrisposte da uno Stato contraente [Italia] o da una sua suddivisione politica o amministrativa, o da un suo ente locale, sia direttamente sia mediante prelevamento dai fondi da essi costituiti, a una persona fisica in corrispettivo di servizi resi a detto Stato [Italia] o ente locale, sono imponibili soltanto in questo Stato [Italia]. Tuttavia, tali pensioni sono imponibili soltanto nell’altro Stato [Portogallo] qualora la persona fisica sia un residente di questo Stato [Portogallo] e ne abbia la nazionalità».

I ricorrenti nel procedimento principale sono due cittadini italiani, ex impiegati del settore pubblico, che godono entrambi di una pensione corrisposta dall’INPS. Dopo aver trasferito la loro residenza in Portogallo, nel corso del 2015 essi hanno chiesto all’INPS di ricevere, in applicazione dell’art. 18 della convenzione Italia / Portogallo, l’importo lordo delle loro pensioni, senza che venisse operato il prelievo alla fonte dell’imposta da parte della Repubblica italiana. L’INPS ha respinto tali domande, ritenendo che, sulla base della specifica eccezione di cui al paragrafo 2, art. 19, a differenza dei pensionati italiani del settore privato, gli ex impiegati pubblici devono essere soggetti a imposizione in Italia, e unicamente in detto Stato contraente. I pensionati in questione hanno, allora, entrambi proposto ricorso avverso tali decisioni dinanzi al giudice del rinvio, la Corte dei conti – Sezione Giurisdizionale per la Regione Puglia (Italia).

Il giudice del rinvio ha ritenuto che la convenzione Italia / Portogallo istituisca una manifesta disparità di trattamento tra pensionati italiani del settore privato e del settore pubblico residenti in Portogallo, in quanto i primi beneficerebbero indirettamente di un trattamento fiscale più vantaggioso dei secondi, circostanza che costituirebbe, a parere di detto giudice, un ostacolo alla libertà di circolazione garantita a tutti i cittadini dell’Unione europea dall’art. 21, TFUE.

Lo stesso giudice del rinvio ha rilevato parimenti che la disparità di trattamento fiscale delle pensioni di cittadini italiani che trasferiscono la loro residenza in Portogallo, secondo che si tratti di ex impiegati pubblici o di ex dipendenti del settore privato, costituirebbe una discriminazione basata sulla cittadinanza, come tale vietata dall’art. 18, TFUE, dal momento che, per poter essere soggetti a imposizione in Portogallo, il requisito della residenza basterebbe per i secondi, laddove i primi dovrebbero in più acquisire anche la cittadinanza portoghese.

A parere di chi scrive, i rilievi non appaiono meritevoli di pregio. Da un lato abbiamo un trattato convenzionale standard a livello mondiale (OCSE 2014) che, nel pieno rispetto delle rispettive prerogative nazionali, consente di assoggettare a tassazione presso uno Stato contraente piuttosto che nell’altro i residenti che percepiscono taluni redditi e che si trovino in determinate condizioni. Da altro lato abbiamo a che fare con delle differenze impositive che si riscontrano tra la normativa tributaria portoghese e quella italiana.

Ora, se fosse ipotizzabile una violazione dei principi di discriminazione e di libera circolazione all’interno dell’UE tutte le volte che si verifica una disparità di trattamento tributario in capo alla tipologia di redditi prodotti nei differenti Paesi membri, il 90% delle convenzioni e delle normative fiscali domestiche risulterebbero illegittime. D’altronde, come risaputo, non esiste al livello comunitario l’armonizzazione delle imposte dirette. Pertanto, ciò non si potrebbe mai verificare, né tanto meno eccepire. Evidentemente, non può essere di sicuro questa la ratio legis concernente le invocate diposizioni del Trattato di Funzionamento dell’Unione.

Cionondimeno, sul fondamento di tali ragionamenti, la Corte dei conti – Sezione Giurisdizionale per la Regione Puglia (Italia) – ha deciso di sospendere il giudizio e di proporre alla Corte di Giustizia europea la seguente questione pregiudiziale, formulata in modo identico nei due procedimenti riuniti:

«Se gli articoli 18 e 21, TFUE devono essere interpretati nel senso che essi ostano a che la normativa di uno Stato membro preveda per una persona residente in un altro Stato membro, che ha acquisito integralmente il suo reddito nel primo Stato membro ma che non abbia la nazionalità del secondo Stato, una tassazione del reddito senza le agevolazioni fiscali di quest’ultimo».

In via preliminare, i giudici lussemburghesi ricordano che, secondo costante giurisprudenza della Corte, nell’ambito della procedura di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte, istituita dall’art. 267, TFUE, spetta a quest’ultima fornire al giudice nazionale una risposta utile che gli consenta di dirimere la controversia di cui è investito. In tale prospettiva, spetta dunque alla Corte, se necessario, riformulare le questioni che le sono sottoposte (causa C‑125/18).

A tal riguardo, occorre rilevare in primo luogo che, sebbene il giudice del rinvio non precisi se i ricorrenti nei procedimenti principali abbiano trasferito la loro residenza in Portogallo dopo aver cessato qualsiasi attività professionale o meno, esso ritiene che la loro posizione sia disciplinata dall’art. 21, TFUE relativo alla libertà di circolazione dei cittadini dell’Unione. Basandosi su detta disposizione del Trattato di Funzionamento dell’Unione, appare logico concludere che il giudice del rinvio indichi alla Corte che il trasferimento di residenza sia avvenuto dopo la cessazione di qualsiasi attività professionale dei ricorrenti nei procedimenti principali. Pertanto, la Corte si pronuncia circostanziando in tal modo la situazione.

In secondo luogo, i giudici del Lussemburgo precisano che l’art. 18, TFUE, che sancisce il principio di non discriminazione in base alla cittadinanza, è in generale potenzialmente applicabile nelle situazioni quali quelle in esame nei procedimenti principali. Infatti, sempre da costante giurisprudenza della Corte, si evince che tutti i cittadini dell’Unione possono di norma avvalersi del divieto di discriminazione basato sulla nazionalità sancito dall’art. 18, TFUE, nell’ipotesi in cui essi abbiano esercitato la libertà fondamentale di circolazione e di soggiorno sul territorio degli Stati membri conferita dall’art. 21, TFUE (causa C‑247/17; causa C‑22/18). In sostanza, se un cittadino dell’Unione abbia circolato e soggiornato fra diversi Stati membri e ritenga che delle norme siano lesive dei suoi diritti o comunque non li rendano liberamente esercitabili, può sempre invocare l’applicazione della disposizione in parola.

In terzo e ultimo luogo, occorre altresì rilevare come dal fascicolo presentato si desuma che l’art. 18 e l’art. 19, paragrafo 2, della convenzione Italia / Portogallo, redatti negli stessi termini delle corrispondenti disposizioni del modello di convenzione fiscale concernente il reddito e il patrimonio elaborato dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico (OCSE) nella versione del 2014, mirano a ripartire la competenza tributaria tra la Repubblica italiana e la Repubblica portoghese per quanto riguarda le pensioni, e contemplano, a tal proposito, fattori di collegamento diversi a seconda che i contribuenti siano stati occupati nel settore privato o nel settore pubblico. Per quanto concerne quest’ultima categoria di contribuenti, in linea di principio essi sono soggetti a imposizione nello Stato debitore della pensione (nella fattispecie, l’Italia), a meno che essi non possiedano la cittadinanza dell’altro Stato contraente in cui risiedono (Portogallo).

Da queste considerazioni preliminari discende che, con la sua questione, il giudice del rinvio chiede in sostanza se gli articoli 18 e 21, TFUE ostino allo specifico regime tributario nell’ipotesi risultante dalla convenzione per evitare le doppie imposizioni conclusa tra l’Italia e il Portogallo, la quale discrimina tra impiegati pubblici e privati, nonché tra chi possiede la cittadinanza del Paese membro di residenza e chi non risulta avere detto status.

A questo riguardo, occorre ricordare che, investita di domande di pronuncia pregiudiziale miranti ad accertare se le convenzioni per evitare le doppie imposizioni concluse tra gli Stati membri dell’Unione debbano essere compatibili con il principio della parità di trattamento e, in generale, con le libertà di circolazione garantite dal diritto primario dell’Unione, la Corte ha già dichiarato che gli Stati membri sono liberi, nell’ambito di convenzioni bilaterali tendenti a evitare le doppie imposizioni, di stabilire i fattori di collegamento ai fini della ripartizione tra di loro della competenza tributaria (causa C‑241/14).

Inoltre, giova ricordare che una convenzione bilaterale volta a prevenire la doppia imposizione (come appunto la convenzione italo-portoghese), è intesa a evitare che lo stesso reddito sia soggetto a imposta in ciascuna delle due parti di tale convenzione; non certo a garantire che l’imposizione alla quale è soggetto il contribuente in una parte contraente non sia superiore a quella alla quale egli sarebbe soggetto nell’altra parte contraente (causa C‑241/14).

Su quest’ultimo specifico punto, d’altronde, vige un orientamento costante e mai disatteso da parte della Corte europea. Talché, è compito dell’attento commercialista quello di studiare le differenti normative convenzionali e comunitarie al fine di orientare correttamente le scelte dei propri assistiti sulla base di scelte legittime in ragione delle prerogative esistenti.

E, in effetti, non appare affatto irragionevole per gli Stati membri utilizzare i criteri seguiti nella prassi tributaria internazionale e, in particolare, come hanno fatto la Repubblica italiana e la Repubblica portoghese nel caso di specie, il modello di convenzione fiscale concernente il reddito e il patrimonio elaborato dall’OCSE, il cui art. 19, paragrafo 2, nella versione del 2014, prevede fattori di collegamento quali lo Stato pagatore e la cittadinanza (causa C‑336/96; causa C‑602/17).

Di conseguenza, quando, nelle convenzioni contro le doppie imposizioni concluse tra Stati membri, il criterio della cittadinanza compare in una disposizione che ha lo scopo di ripartire la competenza tributaria, non è giustificato considerare una tale disparità basata sulla cittadinanza come integrante una discriminazione vietata (causa C‑241/14).

Parimenti, la designazione dello Stato debitore della pensione («Stato pagatore») come quello competente ad assoggettare a imposizione le pensioni riscosse dal settore pubblico, non può avere, di per sé, ripercussioni negative per i contribuenti interessati, in quanto il carattere favorevole o sfavorevole del trattamento tributario riservato a detti contribuenti non deriva, a essere precisi, dalla scelta del fattore di collegamento, bensì dal livello d’imposizione dello Stato competente, in mancanza di armonizzazione, al livello dell’Unione, delle aliquote d’imposta diretta (causa C‑336/96).

Applicando i principi enucleati dalla giurisprudenza della Corte, risulta come l’eventuale disparità di trattamento che i ricorrenti nei procedimenti principali lamentano di aver subito, discenda in realtà dalla ripartizione del potere impositivo tra le parti della convenzione italo-portoghese e dalle disparità esistenti tra i rispettivi regimi tributari delle stesse parti contraenti. Orbene, la scelta di detti governi (al fine di suddividere tra di loro la competenza impositiva), di diversi fattori di collegamento quali, nel caso di specie, lo Stato debitore della pensione e la cittadinanza, non può certo essere considerata, in quanto tale, come integrante una discriminazione vietata dagli articoli 18 e 21, TFUE (causa C‑241/14).

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, la Corte (come d’uopo rimandando al giudice del rinvio circa le spese della causa) non può che rispondere negativamente alla questione proposta e affermare quanto segue:

“Gli articoli 18 e 21, TFUE non ostano a un regime tributario risultante da una convenzione per evitare le doppie imposizioni conclusa tra due Stati membri, in forza della quale la competenza tributaria di questi Stati in materia d’imposta sulle pensioni è ripartita secondo che i beneficiari di queste ultime fossero impiegati nel settore privato o nel settore pubblico e, in quest’ultimo caso, secondo che essi abbiano o meno la cittadinanza dello Stato membro di residenza”.

Tirando le somme, possiamo concludere quanto segue relativamente ai pensionati italiani che, cessata ogni loro attività lavorativa, decidono di trasferirsi in Portogallo:

Trasferimenti avvenuti entro il 31/12/2019

-          Ex dipendenti privati, tassazione esclusiva in Portogallo dei redditi da pensione provenienti dall’Italia, con aliquota zero, per un periodo di dieci anni

-          Ex dipendenti pubblici, tassazione esclusiva ordinaria in Italia dei redditi da pensione provenienti dall’Italia

Trasferimenti avvenuti a partire dal 1° gennaio 2020

-          Ex dipendenti privati, tassazione esclusiva in Portogallo dei redditi da pensione provenienti dall’Italia, con aliquota pari al 10%, per un periodo di dieci anni

-          Ex dipendenti pubblici, tassazione esclusiva ordinaria in Italia dei redditi da pensione provenienti dall’Italia

 

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