Per usare un eufemismo, si potrebbe affermare che la categoria dei professionisti non è mai stata amata. Ma ora siamo arrivati al ridicolo; un ridicolo che, a ben vedere, rasenta pure evidenti profili di incostituzionalità. Il chiaro riferimento è all’art. 53: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.” Letto in coordinamento coi principi di uguaglianza e pari dignità sociale ed economica, di cui all’art. 3.
Se c’è una categoria che ha dimostrato nel momento del bisogno massima responsabilità e abnegazione, questa è stata senz’altro quella degli iscritti alla maggior parte delle professioni ordinistiche. Tanti contribuenti hanno cessato la loro attività economica, ma non sono stati concretamente esentati da adempimenti previdenziali e fiscali, che, semmai, sono incrementati come naturale conseguenza delle intervenute modifiche normative relative alla decretazione d’urgenza. Da questo ne è inevitabilmente conseguito un maggiore e gravoso impegno in capo ai professionisti, i quali hanno lavorato in condizioni difficili, precarie e senza ricevere gli ordinari compensi del periodo, a causa della sostanziale cessazione delle attività condotte dalla loro clientela.
In sostanza, mentre alcuni rimangono senza introiti poiché non possono lavorare, i professionisti lavorano di più ma restano ugualmente a bocca asciutta; e vengono pure tacciati di essere degli approfittatori da personaggi dalla dubbia capacità informativa, ma dall’indubbia fede lobbistica.
Cionondimeno, nell’immaginario collettivo, i professionisti continuano a essere percepiti come una categoria di privilegiati. Ebbene, vediamo subito l’ennesimo particolare trattamento di “favore” di cui sono oggetto.
Considerato che la lista di torti subiti è talmente lunga che non consente di essere compiutamente sviscerata in questa sede, ci limiteremo al fatto più cocente di stretta attualità: il Fondo per il reddito di ultima istanza, meglio noto a tutti come “bonus 600 euro”.
Col Decreto Cura Italia, all’art. 27, è stato previsto un bonus di 600 euro a favore dei liberi professionisti titolari di partita IVA e dei lavoratori titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa iscritti alla Gestione Separata INPS, ma non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie (dunque, esclusi gli iscritti alle professioni ordinistiche). Detto premio, nel successivo art. 28, è stato analogamente concesso pure agli iscritti alle gestioni speciali dell'AGO, anche se contemporaneamente pure iscritti alla Gestione Separata INPS.
Questi bonus – totalmente esentasse e non denunciabili – spettano a tutti, senza alcuna limitazione reddituale: quindi, anche a soci e amministratori che magari guadagnano milioni di euro all’anno. Dopo di che, il governo si è premurato di stanziare coperture finanziarie pari complessivamente a 2.363,4 milioni, al fine di scongiurare possibili incapienze.
Lo stesso decreto (molti articoli dopo, per dare meno nell’occhio) ha istituito, poi, il “Fondo per il reddito di ultima istanza” (art. 44). Il provvedimento in argomento, peraltro, risulta profondamente diverso: trattasi sempre di bonus 600 euro, ma spetta solamente a coloro che hanno un reddito massimo di 35.000 euro, ovvero fino a 50.000, ma solo previa autodichiarazione penalmente rilevante, che attesti un reale calo di oltre un terzo del fatturato (come se il fatturato avesse a che fare qualcosa con la carenza di entrate effettive). E la copertura finanziaria? Poco più di un’elemosina: 200 milioni di fondi in totale, per tutto l’anno 2020; ossia, meno di un decimo dello stanziamento precedente.
Non vi è chi non veda in tutto ciò delle macroscopiche disparità di trattamento. Anzi, sì: il governo evidentemente non le ha viste; e ha ritenuto equo modificare la norma appena varata, licenziando, solo poche settimane dopo, il Decreto Liquidità che, con l’art. 34, ha ulteriormente ristretto il campo. In questa seconda sede, infatti, è stata prevista la possibilità di ricevere il bonus solo da quei professionisti che non risultano essere iscritti ad alcuna altra forma previdenziale, nemmeno alla Gestione Separata INPS (viceversa consentita anche ai ricchi soci e amministratori). E, badate bene, non si è trattata di una sorta di norma interpretativa di quella poco prima emanata (come da più parti si è cercato di far credere), quanto di una vera e propria disposizione contraria alla precedente, posto che il provvedimento ministeriale attuativo del Cura Italia, espressamente stabiliva:
“L’indennità deve essere richiesta a un solo ente previdenziale e per una sola forma di previdenza obbligatoria”, dando implicitamente per scontato che i professionisti in questione potessero contemporaneamente essere anche loro iscritti – per esempio – proprio alla Gestione Separata INPS.
Evidentemente, lo stesso legislatore aveva inteso una cosa la mattina col Cura Italia; e il suo contrario la sera col Decreto Liquidità (gli sarà rimasto indigesto il pranzo).
Tralasciamo volutamente ogni considerazione su tutte le problematiche organizzative e i notevoli aggravi di lavoro direttamente conseguenti a questo – tanto improvviso quanto ingiustificato e immotivato – cambio di rotta del governo (che ha così ritenuto, bontà sua, di “premiare” il servizio di pubblica utilità svolto incessantemente dai professionisti nel periodo). Provate solo un secondo a pensare che succede con bonus già correttamente erogati che devono essere restituiti; o con i nuovi probabili bonus di differente importo, di cui si vocifera per il prossimo decreto: un caos!
Arriviamo, così, alla recente denuncia fatta dall’ADEPP. Nel caso rimanessero le attuali prospettive di legge:
“Per ogni mille euro che potremmo destinare ai professionisti, saremmo costretti a trattenerne almeno 200 da rigirare allo Stato – spiega il presidente dell’associazione – Siamo al paradosso di uno Stato che chiede una percentuale sugli aiuti che dovrebbe erogare lui stesso”.
Viene, infatti, rilevato come:
“Oltretutto le risorse delle Casse dei professionisti sono frutto del risparmio previdenziale degli iscritti, che è già tassato. Siamo arrivati a una sorta di anatocismo fiscale, con la pretesa di tasse sulle tasse, per giunta in un momento in cui siamo tutti richiamati alla solidarietà”.
Stante una simile situazione, i suddetti aiuti sarebbero sottoposti a una sorta di doppia tassazione. La richiesta delle Casse è, allora, quella di paragonare i contributi extra agli indennizzi statali erogati durante l'emergenza Covid-19: esentasse, come gli assegni sociali e le altre prestazioni assistenziali corrisposte dall’INPS.
Non ci pare vi siano ulteriori commenti da aggiungere: passi non ringraziare i professionisti (come sarebbe più che doveroso), ma magari vessarli con norme penalizzanti rispetto a tutti i restanti cittadini… come si dice, anche no!
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