Paolo Soro

Cessioni extra-Ue: niente Iva anche senza identificazione

Per considerare un’operazione non imponibile ai fini dell’Iva rileva sempre la presenza delle condizioni sostanziali dell’esenzione ovvero l’uscita dei beni dal territorio doganale dell’Unione.

Secondo i giudici della Corte di giustizia europea, se l’uscita dei beni dal territorio dell’Unione è dimostrata, l’esportatore non perde il diritto a cedere il bene in regime di non imponibilità Iva, anche nel caso in cui la cessione del bene sia effettuata a un soggetto diverso da quello indicato in fattura.

Secondo la recente giurisprudenza europea, l’applicazione dei principi di neutralità e di proporzionalità dell’imposta al sistema comune dell’Iva, vogliono che non possa essere negato al contribuente la non imponibilità alla cessione di beni extra-Ue qualora siano palesi le prove di avvenuta esportazione dei beni. Per considerare un’operazione non imponibile ai fini dell’Iva rileva sempre la presenza delle condizioni sostanziali dell’esenzione ovvero l’uscita dei beni dal territorio doganale dell’Unione.

Con tre sentenze in meno di un anno (sentenza dell’8 novembre 2018, “Cartrans Spedition”, C-495/17; del 28 marzo 2019, “Milan Vinš”, C-275/18; e del 17 ottobre 2019, “Unitel sp. z o.o.” C-653/18), la Corte di giustizia europea ha affermato come esistano due sole fattispecie nelle quali l’inosservanza di un requisito formale può comportare la perdita del diritto a non assoggettare a Iva l’operazione.

La prima riguarda il caso di un soggetto passivo che abbia partecipato intenzionalmente a un’evasione fiscale mettendo a repentaglio il funzionamento del sistema comune dell’Iva. In tale ipotesi nemmeno il principio di neutralità fiscale dell’imposta può essere invocato qualora il soggetto passivo abbia partecipato, sapesse o avrebbe anche dovuto solo sapere che l’operazione effettuata rientrava in una frode e qualora non avesse adottato tutte le misure ragionevoli a sua disposizione per evitare l’evasione.

D’altro lato, invece, la violazione di un requisito formale può portare al diniego dell’esenzione dell’Iva se tale violazione ha come effetto proprio di impedire che sia fornita la prova certa del rispetto dei requisiti sostanziali.

Il requisito sostanziale dell’avvenuta cessione dei beni all’esportazione è quindi, secondo i giudici europei, ben più rilevante dell’aspetto formale dell’operazione, con la conseguenza che, in presenza di altre prove certe circa il rispetto del requisito sostanziale, può ritenersi contrario al sistema europeo dell’Iva anche l’obbligo, previsto dalla normativa di uno Stato membro, di vincolare l’operazione al regime doganale all’esportazione (sentenza del 28 marzo 2019, causa “Milan Vinš” C-275/18).

Il requisito formale diventa così meramente strumentale alla verifica del presupposto sostanziale dell’operazione, acquisendo rilevanza ai fini del disconoscimento dell’esenzione solamente quando impedisce la prova certa del requisito sostanziale.

Con l’ultima delle tre sentenze citate i giudici della Corte di giustizia, in conformità a quanto rappresentato nelle prime due circa la necessità che i requisiti sostanziali dell’operazione prevalgano su quelli formali, è giunta ad affermare che anche nel caso in cui il destinatario della cessione di beni all’esportazione sia un soggetto diverso da quello indicato in fattura, non può essere negata la non imponibilità Iva all’operazione qualora sia dimostrato che l’uscita del bene dal territorio dell’Unione sia realmente avvenuta.

La sentenza del 17 ottobre 2019, C-653/18, ha ad oggetto una controversia tributaria tra la Unitel, società che si occupa della vendita di cellulari, e l’autorità polacca.

La società da gennaio a maggio 2007 ha venduto telefoni cellulari a due enti ucraini.  L’amministrazione polacca aveva riconosciuto alla Unitel che si trattasse di operazioni all’esportazione al di fuori del territorio dell’Unione, ma contestava che i beni in questione fossero stati acquistati non già dagli enti menzionati nelle fatture, bensì da altri enti non identificati.

Nella fase contenziosa l’autorità polacca rilevava, inoltre, che dei due enti ucraini indicati nelle fatture, uno era una società di comodo, costruita proprio col fine di occultare l’effettivo destinatario, nonché di commettere una frode fiscale nei confronti delle autorità tributarie sia polacche sia ucraine, e l’altro non era l’operatore economico che aveva acquistato i telefoni presso la Unitel.

Il giudice di rinvio, da un lato, riteneva che non fosse configurata alcuna cessione di beni, giacché l’amministrazione tributaria aveva dimostrato che gli acquirenti dei beni menzionati nelle fatture non erano entrati in possesso degli stessi, non ne avevano disposto come proprietari e non esercitavano alcuna attività economica. In assenza di tali presupposti, infatti, le operazioni non potevano essere qualificate come “esportazione di beni” secondo la normativa polacca.

Dall’altro, la Unitel non aveva dato prova all’amministrazione polacca della diligenza richiesta nell’effettuare le operazioni in questione, avendo emesso la fattura in base a dati presentati da enti i cui incarichi non erano validi o che non possedevano veri indirizzi professionali né validi documenti attestanti la contabilizzazione dell’Iva.

Il giudice di rinvio polacco ha tuttavia interessato la Corte di giustizia europea in relazione al caso di specie sollevando tre questioni relative all’applicazione dell’Iva, ovvero:

se, fermo restando che la fuoriuscita dei medesimi beni dal territorio Ue non è stata contestata, affinché l’operazione sia qualificabile come non imponibile Iva, sia effettivamente necessario che l’ente designato nella fattura del fornitore e nei documenti doganali come acquirente dei beni coincida con il destinatario effettivo degli stessi

se, considerato l’orientamento della Corte di giustizia, l’obbligo di negare il beneficio dei diritti previsti dalla direttiva Iva in caso di frode commessa dal soggetto passivo stesso, si applichi anche quando la frode è commessa nello Stato di destinazione e di consumo dei beni esportati, e quindi in territorio extra-Ue

se, in una situazione come quella oggetto di esame, sia corretto applicare l’Iva all’operazione come se questa costituisse una cessione nazionale, oppure la constatazione dell’assenza di cessione di beni dovrebbe indurre a ritenere che essa non sia assoggettata all’ Iva e non dia diritto a detrazione dell’imposta assolta a monte.

In merito alle prime due questioni i giudici europei, in primo luogo, ricordano come la disposizione di cui all’articolo 146, paragrafo 1, lettere a) e b), della direttiva Iva, secondo cui gli Stati membri esentano le cessioni di beni spediti o trasportati dal venditore o per suo conto, oppure da un acquirente o per suo conto, fuori dell’Unione, debba essere letta in combinato disposto con l’articolo 14, paragrafo 1, della stessa direttiva, ai sensi del quale “si considera «cessione di beni» il trasferimento del potere di disporre di un bene materiale come proprietario” (sentenza del 19 dicembre 2013, BDV Hungary Trading, C-563/12).

Come la Corte ha già in più occasioni rilevato, dal termine “spediti” impiegato all’articolo 146, paragrafo 1, lettere a) e b), della direttiva Iva deriva che l’esportazione di un bene si perfeziona e l’esenzione della cessione all’esportazione diviene applicabile quando, congiuntamente:

il potere di disporre di tale bene come proprietario è stato trasmesso all’acquirente

il fornitore prova che detto bene è stato spedito o trasportato al di fuori dell’Unione

il bene, in seguito a tale spedizione o trasporto, ha lasciato fisicamente il territorio dell’Unione.

La Corte ha altresì già dichiarato che la nozione di “cessione di beni” ha un carattere obiettivo e si applica indipendentemente dagli scopi e dai risultati di dette operazioni, senza che l’amministrazione tributaria sia obbligata a procedere a indagini per accertare la volontà del soggetto passivo in questione.

Operazioni come quelle oggetto del procedimento principale costituiscono quindi cessioni di beni, ai sensi della direttiva Iva, se soddisfano i criteri oggettivi sui quali è fondata la nozione in esame. Il fatto che i beni esportati siano acquistati fuori dell’Unione da un ente che non è quello menzionato nella fattura e che non è identificato non esclude che i summenzionati criteri oggettivi siano soddisfatti. Di conseguenza, la qualificazione di un’operazione come cessione di beni, ai sensi della direttiva Iva, non può essere subordinata alla condizione che l’acquirente sia identificato.

Gli eurogiudici osservano infatti che, sebbene spetti agli Stati membri fissare le condizioni per assicurare la corretta e semplice applicazione delle esenzioni previste dalla direttiva in parola, nonché per prevenire ogni possibile evasione, elusione e abuso, gli stessi, nell’esercizio dei loro poteri, devono nondimeno rispettare i principi generali del diritto che fanno parte dell’ordinamento giuridico dell’Unione, tra i quali figura, in particolare, il principio di proporzionalità.

In virtù di tale principio, una misura nazionale eccede quanto necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta nel caso in cui subordini essenzialmente il diritto all’esenzione dall’Iva al rispetto di obblighi formali, senza che siano presi in considerazione i requisiti sostanziali e, in particolare, senza porsi la questione se questi ultimi siano stati soddisfatti.

Il sistema comunitario dell’Iva vuole che le operazioni debbano essere tassate, prendendo in considerazione le loro caratteristiche oggettive. Qualora i requisiti sostanziali siano soddisfatti, inoltre, il principio di neutralità fiscale esige che l’esenzione dall’Iva sia concessa anche se determinati requisiti formali sono stati omessi da parte dei soggetti passivi.

Se, in casi come quelli oggetto di esamina, l’assenza di identificazione dell’effettivo acquirente impedisce di dimostrare che l’operazione costituisce una cessione di beni, così come definita dalla direttiva Iva, si può negare il beneficio dell’esenzione all’esportazione. Per contro, tuttavia, la Corte ritiene che esigere in tutti i casi che l’acquirente dei beni nello Stato terzo sia identificato, senza indagare se siano soddisfatte le condizioni sostanziali di tale esenzione, in particolare l’uscita dei beni di cui trattasi dal territorio doganale dell’Unione, non rispetta né il principio di proporzionalità né il principio di neutralità fiscale.

Considerato che per il caso di specie è pacifico che i beni sono stati venduti, sono stati spediti al di fuori dell’Unione e hanno fisicamente lasciato il territorio dell’Unione, tutti fatti la cui verifica incombe al giudice nazionale, il soddisfacimento dei criteri che un’operazione deve soddisfare per costituire una cessione di beni, ai sensi dell’articolo 146, paragrafo 1, lettere a) e b), della direttiva Iva, risulta dimostrato, nonostante il fatto che gli effettivi acquirenti dei beni in questione non siano stati identificati.

La Corte, inoltre, ha affermato che, qualora il soggetto passivo sapesse o avrebbe dovuto sapere che l’operazione posta in essere dall’acquirente rientrava in una frode che metta a repentaglio il funzionamento del sistema comune dell’ Iva, dovrebbe essergli negato il beneficio dell’esenzione dell’imposta.

In una fattispecie come quella oggetto di esame, dove l’uscita dei beni dal territorio doganale dell’Unione sia provata, nessuna Iva è dovuta sull’operazione e conseguentemente non esiste, in linea di principio, alcun rischio di frode fiscale o di perdite fiscali che possa giustificare l’assoggettamento a imposta dell’operazione (sentenza del 19 dicembre 2013, BDV Hungary Trading, C-563/12).

Atteso che secondo i giudici europei la circostanza che gli atti fraudolenti siano stati commessi in uno Stato extra-Ue non può essere sufficiente comunque a escludere l’esistenza di qualsiasi frode commessa a danno del sistema comune dell’ Iva spetta comunque al giudice nazionale verificare che le operazioni di cui trattasi non rientrassero nell’ambito di una simile frode e, se così fosse, valutare se il soggetto passivo lo sapesse o avrebbe dovuto saperlo.

Tutto quanto sopra considerato, la Corte di Giustizia risponde alle questioni 1) e 2) dichiarando che le previsioni della direttiva comunitaria, nonché i principi di neutralità fiscale e di proporzionalità che regolano il sistema comune dell’Iva, devono essere interpretati nel senso che ostano a una prassi nazionale consistente nel ritenere, in tutti i casi, che non si configuri una cessione di beni, e nel negare di conseguenza il beneficio dell’esenzione dall’Iva, qualora i beni interessati siano stati esportati fuori dell’Unione e, successivamente alla loro esportazione, le autorità tributarie abbiano constatato che l’acquirente dei medesimi beni era non già il soggetto menzionato nella fattura redatta dal soggetto passivo, bensì un ente diverso che non è stato identificato. In simili circostanze, il beneficio dell’esenzione dall’Iva deve essere invece negato se l’assenza di identificazione dell’effettivo acquirente impedisce di dimostrare che l’operazione in questione costituisce una cessione di beni, ai sensi della medesima disposizione, o se è dimostrato che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione in questione rientrava nell’ambito di una frode commessa a danno del sistema comune dell’ Iva.

In merito alla terza questione, qualora sia dimostrato che l’operazione non ha avuto luogo, né sotto forma di cessione di beni nel territorio nazionale né sotto forma di esportazione, non esiste alcuna operazione imponibile né alcun diritto a detrazione. Di conseguenza, la Corte risponde alla terza questione dichiarando che la direttiva Iva deve essere interpretata nel senso che, qualora, in circostanze come quelle descritte sia negato il beneficio dell’esenzione dall’ Iva, si deve giudicare che l’operazione in questione non costituisce un’operazione imponibile e che, pertanto, essa non conferisce il diritto al beneficio della detrazione dell’Iva assolta a monte.

Fonte: Fisco-Oggi

comments powered by Disqus
atad2
top