Paolo Soro

Inquadramento marittimi intra-UE

In un nostro recente contributo su questa stessa rivista, abbiamo avuto modo di analizzare l’inquadramento dei marittimi italiani all’estero (Il Commerci@lista Lavoro e Previdenza N. 4/2019: “Marittimi imbarcati su navi straniere”). Oggi, esaminiamo una particolare ipotesi di lavoro marittimo prestato all’interno dell’UE: vale a dire, quella situazione in cui risultano interessati contemporaneamente tre Paesi membri.

Inizialmente, le ipotesi di lavoro marittimo intra-UE coinvolgevano due governi:

-          quello relativo alla nazionalità del datore di lavoro (coincidente con la bandiera della nave);

-          quello corrispondente alla nazionalità dei lavoratori.

Attualmente, con il crescere dei vantaggi anche in termini di risparmio previdenziale presenti in alcuni Paesi comunitari, sono sempre di più gli armatori che iscrivono le loro imbarcazioni nel Registro Navale di nazioni come Malta o Cipro. Si sono così venute a creare situazioni per certi versi finanche paradossali, per cui, il gettonatissimo Lussemburgo (Stato senza mare) risulta avere registrato una flotta commerciale oggi superiore rispetto a quella italiana.

Nel caso esemplificativo che vogliamo allora proporre, sono interessati tre governi:

-          quello relativo alla nazionalità del datore di lavoro (es. Italia);

-          quello relativo alla nazionalità dei marittimi (es. Polonia);

-          quello relativo alla nazionalità della bandiera della nave (es. Lussemburgo).

Come noto, il settore marittimo è soggetto a una disciplina speciale, le cui molteplici leggi di riferimento, a volte, risultano fra loro contraddittorie. In ottica italiana, oltre alla locale normativa prettamente giuslavoristica, ricordiamo quanto contenuto nel Codice della Navigazione, il quale, ai sensi dell’art. 114, si applica alla “gente di mare”; ossia, chi s’imbarca per lavorare a qualsiasi titolo e per qualsiasi mansione: addetti ai servizi portuali (piloti, lavoratori portuali, palombari in servizio locale, ormeggiatori, barcaioli); impiegati nei cantieri navali (ingegneri navali, costruttori navali, maestri d’ascia, calafati etc.).

Dopo di che, ai fini specifici dell’ipotesi “tri-nazionale” in discorso, dobbiamo tenere conto delle norme previste nel Paese di bandiera della nave, e, da un punto di vista contrattuale internazionale, nella MLC-2006 (Maritime Labour Convention), in funzione delle indicazioni fornite dall’ILO (International Labour Organization), e dall’ITF (International Transport Workers' Federation), i cui contratti tipo non possono essere derogati dai governi appartenenti agli Stati firmatari.

Più specificatamente, la MLC-2006 (ratificata in Italia, con Legge 113/2013) prevede degli obblighi generali in forza dei quali ogni Stato firmatario s’impegna a garantire il diritto di tutta la gente di mare a un impiego dignitoso e a cooperare per assicurare l’effettiva applicazione e il pieno rispetto della Convenzione (art. 1, c. 1 e 2). Per dare seguito a tali impegni, ogni nave alla quale si applica la Convenzione può, conformemente al diritto internazionale, essere soggetta a ispezione da parte di uno Stato membro diverso da quello dello Stato di bandiera, quando si trova in uno dei suoi porti, allo scopo di verificare che detta nave rispetti le prescrizioni della Convenzione. Pertanto, ogni Stato membro esercita efficacemente la sua giurisdizione e il suo controllo sui servizi di reclutamento e collocamento della gente di mare eventualmente presenti sul proprio territorio. Inoltre, tutti gli Stati membri devono adempiere alle proprie responsabilità facendo in modo che le navi battenti la bandiera di qualsiasi Stato che non abbia ratificato la Convenzione non possano beneficiare di un trattamento più favorevole rispetto a quelle navi che battono la bandiera di uno Stato che l’ha ratificata.

In sostanza, il principio etico da rispettare è sempre quello in base al quale, indipendentemente dalla giurisdizione competente in materia previdenziale e/o fiscale, la gente di mare, quanto alle condizioni normative e retributive che regolano il rapporto di lavoro, deve essere tutelata a livello internazionale dall’applicazione dei precetti previsti nel contratto ITF.

Delineati i contorni concernenti gli aspetti contrattuali del caso in esame, occorre ora determinarne i correlati obblighi contributivi. Ai fini di conoscere le regole operative e i costi connessi con l’inquadramento previdenziale dei marittimi nella particolare fattispecie, è evidentemente prioritario definirne la competente giurisdizione.

La normativa generale cui fare riferimento in proposito è il Regolamento (CEE) N. 1408/71 del Consiglio del 14 giugno 1971 (allegati inclusi), come successivamente integrato e modificato, relativo all'applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all'interno della Comunità.

Detto Regolamento prevede una norma generale in forza alla quale la persona che esercita la sua attività professionale a bordo di una nave che batte bandiera di uno Stato membro è soggetta alla legislazione di tale Stato (nel nostro caso, dunque: Lussemburgo). Detta norma inserita per i marittimi, in realtà, non fa altro che riprendere la regola generale valevole per ogni altro lavoratore dipendente, per cui, la persona che esercita un'attività subordinata nel territorio di uno Stato membro è soggetta alla legislazione di tale Stato, anche se risiede nel territorio di un altro Stato membro, o se l'impresa o il datore di lavoro da cui dipende ha la propria sede o il proprio domicilio nel territorio di un altro Stato membro. Regola che, applicata al settore marittimo, significa determinare la giurisdizione in funzione alla bandiera della nave, che, come noto, definisce il territorio dello Stato a bordo della nave.

Esistono, peraltro, talune eccezioni indicate dal Regolamento che occorre vagliare.

Una prima clausola stabilisce che la persona cui cessi d'essere applicabile le legislazione di uno Stato membro senza che a essa divenga applicabile la legislazione di un altro Stato membro, è soggetta alla legislazione dello Stato membro nel cui territorio risiede, in conformità delle disposizioni di questa sola legislazione. Pertanto, se per qualsivoglia motivo (con riferimento al nostro caso: mutamenti dell’Ordinamento interno lussemburghese o relativo a specifici accordi tra il Lussemburgo e la Polonia), i marittimi polacchi non potessero avere diritto alla previdenza nel Gran Ducato, essi verrebbero automaticamente assoggettati alla legislazione del loro Paese. Non sarebbe, infatti, possibile che detti lavorativi rimanessero privi di tutela previdenziale. Ricordiamo che il Regolamento precisa:

Due o più Stati membri, le autorità competenti di detti Stati o gli organismi designati da tali autorità possono prevedere di comune accordo, nell'interesse di determinate categorie di persone o di determinate persone, eccezioni alle disposizioni del presente Regolamento.

Una seconda importante previsione stabilisce che la persona, la quale eserciti un'attività subordinata a bordo di una nave che batte bandiera di uno Stato membro (nel nostro caso, Lussemburgo) ed è retribuita per tale attività da un'impresa o da una persona avente la propria sede o il proprio domicilio nel territorio di un altro Stato membro (Italia), è soggetta alla legislazione di quest'ultimo Stato, purché vi risieda. Dunque, nel nostro caso, solo ed esclusivamente a patto che i marittimi risultassero residenti in Italia, gli stessi rientrerebbero nella specifica eccezione alla norma generale, e non sarebbero più soggetti alla giurisdizione del Lussemburgo, ma a quella italiana. Detta ultima previsione appare particolarmente importante perché, in genere, si è sempre propensi a definire come competenza previdenziale la nazione di bandiera. Viceversa, in ipotesi intra-UE, occorre avere riguardo alla residenza dei marittimi.

Tornando, però, al nostro esempio, possiamo concludere che la giurisdizione previdenziale competente è quella del Lussemburgo, Paese di bandiera della nave.

Appare inoltre opportuno precisare che non si può eccepire un’eventuale doppia potestà legislativa, atteso che il diritto unionale prevede la necessità di assoggettare le persone che si spostano all’interno della Comunità al regime di sicurezza sociale di un unico Stato membro, in modo da evitare il sovrapporsi di legislazioni nazionali applicabili e le complicazioni che ne possono derivare:

“Le persone alle quali si applica il presente Regolamento sono soggette alla legislazione di un singolo Stato membro.”

Dopo di che, allo scopo di garantire nel modo migliore la parità di trattamento di tutte le persone occupate nel territorio di uno Stato membro, quale regola generale, si è ritenuto opportuno stabilire come legislazione applicabile, quella dello Stato membro nel cui territorio l’interessato esercita la sua attività subordinata o autonoma (principio dello ius loci laboris).

A mero titolo informativo, ricordiamo che il regime di previdenza sociale lussemburghese include le seguenti prestazioni:

-          malattia, maternità e di assistenza a lungo termine;

-          infortuni sul lavoro e malattie professionali;

-          invalidità;

-          vecchiaia e di reversibilità;

-          disoccupazione;

-          familiari;

-          indennità di prepensionamento.

A completamento, resta ora da valutare la competenza fiscale.

In ottica datore di lavoro, il modello convenzionale OCSE stabilisce che, per quanto concerne gli utili derivanti dall'esercizio in traffico internazionale di navi, detti redditi sono imponibili soltanto nello Stato in cui è situata la sede della direzione effettiva dell'impresa (nel nostro caso, Italia).

Riguardo ai dipendenti, giova previamente tenere presente che la regola generale relativa al superamento dei 183 giorni nell’anno ai fini dell’individuazione del luogo di produzione del reddito da lavoro subordinato, in tutti i modelli convenzionali subisce una specifica eccezione proprio quando si ha a che fare col lavoro svolto dai marittimi a bordo di navi in traffico internazionale. Si rammenta che, per “traffico internazionale”, s’intende qualsiasi attività di trasporto effettuato per mezzo di una nave gestita da un'impresa la cui sede di direzione effettiva è situata in uno Stato contraente, a eccezione del caso in cui la nave sia utilizzata esclusivamente tra località situate nell'altro Stato contraente.

Nell’esempio che qui ci occupa, abbiamo ipotizzato che i marittimi risiedano in Polonia. Tale Stato adotta (come pure l’Italia) il noto World Wide Principle Taxation (principio della tassazione mondiale). Pertanto, i suoi residenti dichiarano in Polonia i redditi ovunque prodotti nel mondo, salvo metodo di compensazione per le imposte eventualmente già versate nel Paese in cui i redditi esteri sono stati acquisiti. Sembrerebbe, dunque, che i “nostri” marittimi debbano dichiarare i redditi e pagare le imposte in Polonia (aliquota: 18%). Prima però di fornire in proposito una risposta definitiva, è indispensabile verificare gli accordi fiscali internazionali in essere tra le tre giurisdizioni interessate.

Orbene, posto che la bandiera della nave dove i dipendenti prestano servizio è lussemburghese, il Lussemburgo è la nazione estera in cui viene svolto il lavoro da parte dei marittimi polacchi. Si impone, dunque, innanzitutto l’obbligo di analizzare la convenzione contro le doppie imposizioni tra la Polonia e il Lussemburgo. Il trattato in parola stabilisce che:

“Le remunerazioni percepite in relazione a un lavoro subordinato svolto a bordo di navi in traffico internazionale, sono imponibili nello Stato Contraente nel quale è situata la sede effettiva dell’impresa.”

In sostanza, Lussemburgo e Polonia sono d’accordo nel prescrivere che i loro residenti marittimi che lavorano a bordo di navi in traffico internazionale, siano tassati esclusivamente nel Paese in cui ha la sede effettiva l’impresa / datore di lavoro. Nella fattispecie che ci interessa, questo vuol dire che il reddito dei marittimi non potrà essere tassato: né in Polonia, né in Lussemburgo, posto che la sede del datore di lavoro è in una terza nazione: l’Italia.

Attenzione, però, che le convenzioni – come dice il nome stesso – sono previste per evitare casi di doppia imposizione; non per consentire casi di doppia non-imposizione. Conseguentemente, la nostra analisi non può concludersi qui, ma necessita di essere ampliata tramite l’esame degli accordi bilaterali internazionali che interessano anche l’Italia.

Nello specifico, la convenzione Italia / Lussemburgo, in pedissequa applicazione della prima citata norma del modello convenzionale OCSE, stabilisce che gli utili derivanti dall'esercizio in traffico internazionale di navi siano imponibili soltanto nello Stato contraente in cui è situata la sede della direzione effettiva dell'impresa (Italia). Da ciò deriva che è prevista la potestà impositiva esclusiva dello Stato italiano (Agenzia delle entrate), che avrà ogni diritto di accertamento sull’attività stessa e potrà, conseguentemente, appurare nel contempo la corresponsione di salari (che concorrono alla formazione di quel reddito d’impresa da cui si ritraggono gli utili anzidetti) nei confronti dei marittimi residenti in Polonia.

Esaminando la convenzione Italia / Polonia al fine di identificare la corretta tassazione dei redditi in parola, scopriamo che il tenore letterale usato in detta seconda convenzione è differente da quello già visto a proposito del trattato tra il Lussemburgo e la Polonia per quanto attiene ai redditi di lavoro dipendente dei marittimi:

“Le remunerazioni percepite in relazione a un lavoro subordinato svolto a bordo di navi in traffico internazionale, possono essere tassate nello Stato contraente nel quale è situata la sede della direzione effettiva dell'impresa” (il c. d. place of effective management).

Orbene, come più volte illustrato dall’Agenzia delle entrate (Circolare 304/1997; Circolare 41/2003) la locuzione “possono essere tassate” (in luogo di “sono imponibili”) sta a indicare che entrambi i Paesi contraenti possono esercitare una potestà impositiva per tali redditi, in capo ai propri residenti. In sostanza, si verifica, nonostante la Convenzione, un concorso di pretese impositive, in quanto entrambi gli Stati mantengono la loro potestà tributaria non esclusiva in relazione a quel reddito transnazionale. Tali interpretazioni sono state recentemente ribadite anche dalla Direzione Regionale Agenzia Entrate Campania: Interpello 914-134/2019, personalmente proposto da chi scrive. Pertanto, se la normativa interna recasse delle regole contrastanti con la convenzione, nella gerarchia delle fonti non vi sarebbe più una prevalenza della stessa convenzione sulla legge dello Stato. Dobbiamo, allora, esaminare le disposizioni fiscali interne in merito alla tassazione del reddito di lavoro dipendente in capo a soggetti non residenti.

Ebbene, la norma generale stabilisce una tassazione solamente nel caso in cui il reddito di lavoro dipendente sia “prestato nel territorio dello Stato”; e non è questo il nostro caso, posto che il territorio presso cui viene prestato il reddito di lavoro dipendente in parola corrisponde al Lussemburgo (bandiera della nave). Costituiscono eccezione solamente indennità di fine rapporto e pensioni, se corrisposte da soggetti residenti nel territorio dello Stato.

La conclusione, dunque (per quanto riguarda la vicenda in ottica italiana), è che, seppure la convenzione prevede la possibilità di assoggettare a tassazione in Italia le retribuzioni erogate dal datore di lavoro nazionale ai marittimi polacchi, considerato che tali redditi di lavoro dipendente sono prodotti fuori dal territorio italiano, non esiste al momento una specifica previsione normativa tributaria interna che, in proposito, ne preveda la tassazione in Italia.

Da ciò ne consegue che i marittimi polacchi, per quanto concerne il reddito in argomento, potrebbero andare incontro a tassazione soltanto nel loro Paese di residenza.

Tirando le somme, dato a titolo di esempio il seguente caso:

Marittimi polacchi che prestano il loro lavoro a bordo di nave in traffico internazionale battente bandiera lussemburghese, di proprietà di un armatore italiano.

Le risultanze sono:

  1. il rapporto di lavoro deve rispettare le regole normative e retributive fissate nel contratto internazionale (ITF), in osservanza della MLC-2006;
  2. la potestà di controllo al riguardo compete alle autorità presenti in ogni porto in cui approda la nave;
  3. la giurisdizione competente in materia contributiva è quella del Lussemburgo, Registro in cui risulta iscritta la nave (aliquota agevolata a carico del datore di lavoro pari al 10%, posto che i marittimi non risultano ivi residenti; controlli eseguiti dagli istituti lussemburghesi e tutela previdenziale garantita ai marittimi da tali enti in ossequio al Regolamento UE);
  4. la tassazione sul reddito prodotto dalla società armatoriale avviene in Italia (aliquote ordinarie; controllo dell’Agenzia delle entrate);
  5. la tassazione sul reddito di lavoro dipendente percepito dai marittimi è in Polonia (aliquota 18%; obbligo del Common Reporting Standard Italia/Polonia).

 

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