Il diritto del dipendente al pagamento, da parte dell’INPS, del trattamento di fine rapporto e delle ultime tre mensilità – rientranti nei dodici mesi che precedono l’avvio dell’iter concorsuale ovvero esecutivo – è subordinato alla sussistenza congiunta di alcuni presupposti: l’apertura di una procedura concorsuale nei confronti del datore di lavoro e il conseguente riconoscimento, nell’ambito della stessa, del credito del lavoratore subordinato.
La prima condizione deve ritenersi verificata per effetto dell’emanazione di uno specifico atto della competente autorità giudiziaria: la sentenza dichiarativa di fallimento; il decreto di ammissione al concordato preventivo; il provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa. Tale presupposto non può, pertanto, ritenersi sussistente in pendenza di altri istituti contemplati dalla disciplina fallimentare, quali il piano attestato di risanamento (art. 67, co. 3, lett. d), Legge Fallimentare) e l’accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 182-bis della Legge Fallimentare), a differenza di quelli previsti dalla Legge n. 3/2012, ovvero l’accordo di composizione della crisi da sovra-indebitamento e il procedimento di liquidazione del patrimonio del debitore, in quanto anch’essi formalmente costituenti procedure concorsuali, riservate ai soggetti non fallibili.
L’ultimo requisito imprescindibile, ai fini dell’accesso alle prestazioni del Fondo di Garanzia dell’INPS, non è rappresentato dalla mera esistenza del credito del dipendente, bensì dal formale riconoscimento dello stesso all’interno di una delle predette procedure concorsuali: a questo proposito, si rammenta che i debiti derivanti da rapporti di lavoro subordinato godono del privilegio generale sui beni mobili e della collocazione sussidiaria sugli immobili (artt. 2751-bis, n. 1), e 2776 c.c.). In particolare, nel caso del fallimento, è necessario che il lavoratore subordinato depositi, presso la cancelleria del tribunale competente, una domanda di ammissione allo stato passivo della procedura, poi accolta dal giudice delegato, con apposito decreto di esecutività. Il pagamento a cura del Fondo di garanzia non può, quindi, prescindere dall’ammissione del credito del dipendente allo stato passivo esecutivo della procedura: neppure nel caso di dimostrazione, da parte del lavoratore subordinato, che l’omessa insinuazione del proprio credito è imputabile all’incolpevole ignoranza dell’apertura della procedura fallimentare, poiché il R.D. n. 267/1942 contiene una serie di disposizioni che assicurano ai terzi la possibilità di conoscenza, in relazione ai diversi atti del procedimento, e svolgono, quindi, la funzione di una vera e propria pubblicità dichiarativa (Cass. n. 22735/2011). È appunto la soddisfazione di questa condizione che legittima il dipendente a richiedere al Fondo di Garanzia dell’INPS il pagamento del trattamento di fine rapporto e delle ultime tre mensilità. La giurisprudenza di legittimità è, infatti, dell’avviso che, qualora il datore di lavoro sia un imprenditore commerciale soggetto alla Legge Fallimentare, il dipendente – per poter ottenere l’immediato pagamento, nel rispetto del termine di 60 giorni dalla domanda, da parte del Fondo di Garanzia dell’INPS – deve provare, ai sensi dell’art. 2, della Legge n. 297/1982 (Cass. n. 22647/2009): la cessazione del rapporto di lavoro; l’inadempimento, anche soltanto parziale, posto in essere dal debitore; lo stato di insolvenza del datore di lavoro – ovvero inadempimenti o altri fatti esteriori che dimostrino l’incapacità dello stesso di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni (art. 5, co. 2, Legge Fallimentare) – utilizzando la presunzione legale dell’apertura della procedura di fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa, accordo di composizione della crisi da sovra-indebitamento o liquidazione del patrimonio del debitore.
È altresì necessaria, come anticipato, l’insinuazione nello stato passivo della procedura del datore di lavoro, non necessariamente tempestiva: sul punto, si rammenta che, nel caso del fallimento, la domanda di ammissione può essere depositata almeno 30 giorni prima della data fissata per la prima udienza di verifica dei crediti, oppure successivamente – a norma dell’art. 101, co. 1, del R.D. n. 267/1942 – ma non oltre un anno dal giorno del decreto di esecutività dello stato passivo (termine prorogabile sino a 18 mesi, in sede di sentenza dichiarativa di fallimento, nei casi di particolare complessità della procedura). Assolta tale incombenza, il creditore di lavoro subordinato – previa pubblicazione del decreto di esecutività dello stato passivo, ovvero della sentenza che decide il giudizio insorto per l’eventuale contestazione del curatore fallimentare, oppure del decreto di omologazione del concordato preventivo – può presentare la domanda all’INPS, per l’accesso alle prestazioni del Fondo di Garanzia. In mancanza di tali requisiti, ovvero qualora il dipendente alleghi semplicemente l’omesso adempimento del datore di lavoro, lamentando genericamente l’insolvenza dello stesso, l’istanza sarebbe inammissibile, come già riscontrato in passato dalla Suprema Corte (Cass. n. 3939/2004): il Fondo di Garanzia non può, e non deve, intervenire prima della dichiarazione di insolvenza – o dello stato di crisi, nel caso di concordato preventivo (art. 160 L.F.) – e di ammissione al passivo del credito fatto valere. L’orientamento in parola pare trarre conferma dalla considerazione che la verifica sull’esistenza del credito non compete all’INPS, poiché la Legge – che pure regola minutamente la procedura – non ha dettato alcuna disposizione affinché l’ente previdenziale venga informato degli elementi necessari per l’accertamento del diritto e della misura della prestazione. È, infatti, sufficiente, a sorreggere la pretesa di pagamento nei confronti del Fondo di Garanzia, che il credito sia stato ammesso al passivo della procedura concorsuale.
Si rammenta, infine, che – per effetto del pagamento da parte del Fondo di Garanzia – l’INPS matura un corrispondente diritto nei confronti della procedura concorsuale a surrogarsi nella posizione creditoria del lavoratore dipendente limitatamente all’importo a esso corrisposto (art. 2, co. 7, della Legge n. 297/1982).