La norma punisce, ora, coloro che:
- reclutano manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori;
- utilizzano, assumono o impiegano manodopera, anche mediante l'attività di intermediazione di cui al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento e approfittando del loro stato di bisogno.
Da subito, si deve rilevare che non appare più richiesta la natura di imprenditore, né per l’intermediario, né per il datore di lavoro. In effetti, nella previgente versione, la condotta dell’intermediario rilevava solo se “organizzata”; questo requisito, attualmente, però, è scomparso nel novellato art. 603-bis. Non solo: ora, anche al di fuori dell’attività di intermediazione illecita, analoga fattispecie di reato si ravvisa pure in coloro che utilizzano, assumono, o impiegano manodopera (anche, ma non solo, mediante l’anzidetta attività di intermediazione), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento e approfittando del loro stato di bisogno. Si estende, dunque in tal modo, l’ambito di applicazione soggettivo della disposizione.
Ulteriore modifica che risulta particolarmente rilevante è la mancanza di uno di quegli elementi prima indispensabili ai fini del verificarsi dell’ipotesi criminosa. Detto elemento inibiva notevolmente le possibilità di azione da parte della Magistratura, date le difficoltà probatorie al riguardo. Nel novellato 603-bis, invero, risulta scomparsa la proposizione incidentale: “mediante violenza, minaccia, o intimidazione”. Pertanto, non è più richiesto che il reo abbia agito con violenza, minaccia o intimidazione ai fini del perpetrarsi dell’ipotesi delittuosa. Questo requisito resta inserito nel nuovo 603-bis solo a titolo di eventuale aggravamento delle conseguenze penali:
“Se i fatti sono commessi mediante violenza o minaccia, si applica la pena della reclusione da cinque a otto anni e la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.” Si ricorda che la pena base è la reclusione da uno a sei anni, e la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.
Permangono, viceversa, inalterati gli altri due elementi indispensabili per il compimento del reato:
- l’approfittamento dello stato di bisogno
- le condizioni di sfruttamento
In sostanza, il reato si configura soltanto quando i lavoratori vengono sfruttati, approfittando del loro stato di bisogno. Se manca anche solo uno di questi due fattori, il caso non rientra fra le fattispecie penalmente perseguibili. Pare, dunque, opportuno ricordare cosa si intende in concreto per stato di bisogno, e quando si può effettivamente parlare di sfruttamento.
Quanto al primo elemento, la Giurisprudenza di Legittimità ha avuto modo di affermare che lo stato di bisogno non può essere ricondotto alla mera impossibilità economica di realizzare qualsivoglia esigenza avvertita come urgente, ma deve essere riconosciuto soltanto quando la persona offesa, pur senza versare in stato di assoluta indigenza, si trovi in una condizione anche provvisoria di effettiva mancanza dei mezzi idonei, atti a far fronte alle esigenze primarie; relative, cioè, ai beni oggettivamente essenziali (Cassazione Penale, Sezione II, 18778/2014; Cassazione Penale, Sezione II, 43713/2010; Cassazione Penale, Sezione II, 4627/2000). Lo stato di bisogno non si configura, dunque, per ogni lavoratore che si trovi disoccupato e che abbia ovviamente necessità di trovare un posto di lavoro.
Assai più complesso appare definire compiutamente le condizioni di sfruttamento. Il Legislatore ne predispone un’elencazione che – parrebbe lecito pensare – essere di tipo esemplificativo e non tassativo: ossia, vengono forniti al Giudice degli indici per aiutarlo nell’assumere le sue decisioni. Peraltro, all’interno di tale elencazione (precisa la norma), anche la ricorrenza di uno solo degli indici enunciati, comporta il verificarsi dell’ipotesi delittuosa. Ovverossia, non è necessario, agli effetti del compimento del reato, che siano presenti tutte le condizioni ivi elencate.
Vediamo nel dettaglio quali sono queste condizioni di sfruttamento indicate dal Legislatore:
A) La reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato
Apriamo una breve parentesi per ricordare come da lungo tempo vada avanti la querelle concernente l’applicazione dei contratti collettivi siglati dalle organizzazioni maggiormente rappresentative al livello nazionale, rispetto a quelli sottoscritti dagli altri sindacati, opinandosi giustamente che in molte realtà aziendali, risultano in concreto “maggiormente rappresentative” delle organizzazioni sindacali – per così dire – “minori”. A oggi, l’orientamento sempre ribadito dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro continua a indicare come “maggiormente rappresentativi” a livello nazionale, esclusivamente i sindacati appartenenti alla solita triade. Ebbene, è evidente che la norma qui oggetto di analisi rafforza ancor più la posizione leader delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Occorre, infatti, rilevare come, nella precedente formulazione, il riferimento era sic et simpliciter ai “contratti collettivi nazionali”. Con il nuovo 603-bis, invece, nonostante l’aggiunta del termine “territoriali”, il Legislatore ha chiaramente inteso allargare l’area di punibilità, spostando i confini fino ai “contratti collettivi nazionali (o territoriali) stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale”. Ciononostante, non si può certo pensare che lievi differenze retributive (quali quelle in genere esistenti tra i CCNL “leader” e gli altri) possano essere in grado di far scattare l’ipotesi delittuosa, avuto riguardo alla condizione premessa dal Legislatore: “in modo palesemente difforme”. Ma, quand’è, allora, che una differenza può essere considerata “lieve” (ossia, non “palesemente difforme”), e dunque non in grado di configurare l’ipotesi di reato?
Se si analizza il complessivo tenore letterale dell’articolo, parrebbe che il Giudice dovrà, piuttosto, valutare l’integrale trattamento retributivo, tenendo comunque sempre presente il riferimento residuale (fortunatamente mantenuto anche nel novellato art. 603-bis), concernente il generale principio di rango costituzionale (ex art. 36 Cost.), relativamente alla sproporzione “rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato”. Ricordiamo infatti che, in termini giuridici, la nozione di “retribuzione” è spesso intesa come il complessivo trattamento corrisposto in ragione della prestazione lavorativa, comprensivo di tutti gli istituti diretti e indiretti, siano essi monetari o in natura. Ciò poiché, di regola, nel determinare se i requisiti ex art. 36 Cost. sono rispettati, i giudici vanno a verificare se il trattamento erogato presenti comunque delle migliorie rispetto alle altre previsioni di base del CCNL, tali da far ritenere, nel complesso, in ogni caso rispettati i citati minimi costituzionali. Parrebbe logico, dunque, anche con espresso riguardo alle ipotesi indicate nel 603-bis, assumere la medesima onnicomprensiva nozione di “retribuzione”.
Un altro parametro prefissato dall’articolo è rappresentato dalla circostanza che l’anzidetta “palese differenza” di trattamento retributivo debba avvenire in maniera “reiterata” (rectius, ripetuta). In precedenza la norma usava il termine “sistematica”, che evidentemente assume un significato maggiormente restrittivo: un comportamento sistematico deve accadere con più frequenza rispetto a una mera ripetizione, e avviene sulla base di un sistema preordinato. Pertanto, a mente del nuovo tenore letterale della disposizione, sarà sufficiente una violazione accertata con riferimento anche a solo due periodi di paga pure non consecutivi, per costituire attività reiterata/ripetuta, di per sé sufficiente a far scattare l’ipotesi criminosa.
D’altronde, giova altresì rappresentare come sia chiara la volontà del Legislatore di considerare particolarmente grave il reato in questione, posto che ha all’uopo previsto una pena edittale massima di sei anni. Così facendo, ha escluso – per esempio – che possa essere applicabile l’art. 131-bis Codice Penale (non punibilità per particolare tenuità del fatto), considerato che tale normativa concerne i reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni.
B) La reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie
Anche per questo secondo indice di sfruttamento, l’odierno Legislatore ha sostituito la previgente “sistematicità” con l’attuale “reiterazione”. Di conseguenza, valgono le medesime considerazioni di cui si è detto riguardo al primo indice. Visto lo spirito che ha animato l’intero provvedimento (evidentemente emanato per rendere più rigorose le norme e ampliare l’area dei soggetti punibili), appare ora sufficiente una semplice pluralità di violazioni concernenti orario di lavoro, periodi di riposo, riposo settimanale, ferie etc., al fine di configurare l’ipotesi del reato.
C) La sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro
Questo è forse l’indice di sfruttamento più “delicato” che è stato inserito dal Legislatore, posto che la normativa sulla sicurezza, nella sua interezza, risulta, in pratica, difficilmente applicabile nelle micro-entità. Oltre tutto, vista l’estrema stringatezza del disposto in parola, non sembra affatto pacifico che debbano necessariamente sussistere ed essere accertate più violazioni: si parla infatti, genericamente, di “violazioni delle norme”, senza precisare, né che debbano esistere “più violazioni”, né per contro che sia sufficiente “anche una sola violazione”. Detta restrittiva interpretazione, inoltre, sembrerebbe in linea con la scelta del Legislatore di non stabilire espressamente – per tale indice – la necessità della reiterazione e/o della sistematicità. Cosicché, visto altresì il mancato riferimento a un eventuale grado di pericolosità delle ipotetiche violazioni accertate (viceversa, successivamente indicato dalla norma come specifica circostanza aggravante), teoricamente, si potrebbe giungere a un’ipotesi di reato persino nel caso di una singola, non grave, violazione.
Francamente, a parere di chi scrive, non possono essere paventabili situazioni limite di questo tipo. Sembra, invece, assai più probabile che, non potendo tipizzare in dettaglio tutte le varie fattispecie verificabili, il Legislatore abbia volutamente offerto un mero indice base di sfruttamento, lasciando poi all’interprete il compito di configurarne le concrete conseguenze caso per caso. Dimodoché, anche una sola violazione (se effettivamente grave, in quanto potenzialmente pericolosa per la forza lavoro), potrebbe configurare il reato; viceversa, più violazioni formali lievi, non dovrebbero portare a medesime conseguenze sul piano penale.
D) La sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti
Continua l’opera di inasprimento che il Legislatore ha inteso porre in essere rispetto alla norma previgente: oggi, non è più richiesto il “particolare degrado”, ma basta semplicemente il “degrado”. Attesa la ratio ispiratrice della legge (ossia, quella di punire, con ogni mezzo, l’assurdo e incivile sistema del caporalato), la scelta in parola non sembra criticabile. A ogni modo, affinché si realizzi l’indice in argomento (situazioni alloggiative degradanti) sarà necessario che dette sistemazioni degradanti in cui si trovano i dipendenti risultino essere di pertinenza (ovvero comunque riconducibili, direttamente o indirettamente) all’intermediario, oppure al datore di lavoro; e non di certo imputate a chi non è responsabile degli alloggi stessi.
L’ultimo comma dell’art. 603-bis prevede infine tre circostanze aggravanti specifiche che comportano l’aumento della pena da un terzo alla metà:
- Il fatto che il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre;
- Il fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa;
- L’aver commesso il fatto esponendo i lavoratori sfruttati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro.
La nuova formulazione della disposizione, in realtà, si limita a riproporre la norma previgente, fatta solo salva la necessaria precisazione: “lavoratori sfruttati”, e non più solo “lavoratori intermediati”. Cionondimeno, pare opportuno osservare come – nello specifico – proprio la terza circostanza aggravante debba essere ben distinta rispetto all’indice di sfruttamento previsto nel numero 3, del comma precedente: nel primo caso, si dovrà trattare di violazioni che possono potenzialmente causare un pericolo per la salute dei lavoratori; in questo secondo caso, la violazione dovrà essere di grado superiore ed esporre concretamente a “grave pericolo” l’incolumità dei dipendenti. Sempre con riferimento alla specifica circostanza aggravante in parola, inoltre, il Legislatore stabilisce che la situazione di “grave pericolo” non va individuata in termini generali e astratti, ma bensì va correttamente verificata con riguardo “alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro”.
Terminata l’analisi della norma, diamo ora un rapido sguardo alle indicazioni fornite in merito dall’INL, con la circolare 5/2019, avente a oggetto: “Art. 603 bis c.p. intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro – attività di vigilanza – Linee guida.”
Preliminarmente, il documento ricorda il caporalato non è più un reato “esclusivo” del settore agricolo, ma si realizza con sempre maggiore frequenza in ambiti differenti, quali quelli legati per esempio alle attività di servizi, lucrando su un abbattimento abnorme dei costi del lavoro a danno dei lavoratori e/o degli Enti previdenziali.
Ai fini dell’esatta individuazione dell’approfittamento dello stato di bisogno, a parere dell’Ente è opportuno rifarsi alle indicazioni espresse dalla Giurisprudenza di Legittimità, in forza delle quali detta condizione non si identifica nel mero bisogno di lavorare, ma presuppone uno stato di necessità tendenzialmente irreversibile, che pur non annientando in modo assoluto qualsiasi libertà di scelta, comporta un impellente assillo, tale da compromettere fortemente la libertà contrattuale della persona. La Direzione dell’Istituto invita, dunque, i funzionari incaricati delle verifiche a soffermarsi con la dovuta attenzione su tale particolare parametro (in quanto imprescindibile ai fini del compimento del reato), fornendo ogni relativo elemento di prova.
La circolare, passa, quindi ad analizzare l’elemento costitutivo del reato rappresentato dallo “sfruttamento lavorativo”. In proposito, nel passare in rassegna tali indici (alternativi fra loro), oltre al resto, viene precisato che:
- la reiterazione va intesa come comportamento ripetuto (anche una sola volta) nei confronti sia di uno che di più lavoratori, pure nel caso in cui i percettori di tali retribuzioni non siano sempre gli stessi in ragione di un possibile turn over;
- il riferimento ai contratti collettivi è da intendersi ai contratti sottoscritti dalle organizzazioni “comparativamente” più rappresentative, il che costituisce elemento di maggior garanzia per i lavoratori; ciò anche in ragione del fatto che ogni altra disposizione di legge emanata negli ultimi decenni, che richiede l’applicazione di contratti collettivi a diversi fini, fa sempre espresso riferimento ai contratti sottoscritti dalle organizzazioni sindacali “comparativamente più rappresentative a livello nazionale”;
- anche la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, alle ferie etc., quale indice della sussistenza di una condizione di sfruttamento lavorativo, può ben ravvisarsi in un comportamento ripetuto nei confronti di lavoratori sempre diversi;
- l’indice relativo alle violazioni in materia di sicurezza sarà tanto più significativo quanto più gravi saranno le violazioni di carattere prevenzionistico accertate, mentre avranno evidentemente meno “peso” eventuali violazioni di carattere formale, o altre violazioni che non vadano a incidere in modo diretto sulla salute e sicurezza del lavoratore, o le mettano comunque seriamente in pericolo;
- ipotesi di condizione lavorativa degradante, possono rinvenirsi nelle situazioni di significativo stress lavorativo psico-fisico; esempio: quando il trasporto presso i luoghi di lavoro sia effettuato con veicoli del tutto inadeguati e superando il numero delle persone consentito così da esporli a pericolo; quando lo svolgimento dell’attività lavorativa avvenga in condizioni metereologiche avverse, senza adeguati dispositivi di protezione individuale; quando sia del tutto esclusa la possibilità di comunicazione tra i lavoratori o altri soggetti; quando siano assenti locali per necessità fisiologiche; etc.
Quanto, poi, all’eventuale denuncia, l’Ispettorato rappresenta che, nella notizia di reato, sarà sufficiente evidenziare l’accertamento di uno o più indici, segnalando alla Procura che gli stessi, qualora sanzionati in via amministrativa, saranno oggetto di separata verbalizzazione e notifica di illecito. Purtuttavia, l'attività investigativa deve essere pianificata, tranne nelle ipotesi di arresto in flagranza, con i Magistrati delle competenti Procure della Repubblica, e i Carabinieri del Comando per la tutela del lavoro. La specie delittuosa in esame, inoltre, consente l’uso delle intercettazioni e, a differenza della norma previgente, ora prevede espressamente la confisca per equivalente in caso di condanna.
Per quanto concerne in particolare l’intermediario, l’attività sarà rivolta ad appurare:
- se lo stesso opera sotto una ragione sociale, e, in caso affermativo, qual è l’oggetto dell’impresa;
- se dispone di autorizzazioni alla somministrazione o intermediazione di lavoro;
- se ha rapporti economici (censiti ufficialmente) con imprenditori operanti nel settore interessato dallo sfruttamento;
- se è intestatario di veicoli, verificandone la tipologia e la targa;
- quale è l'attività lavorativa o imprenditoriale (se ve ne è una) ufficialmente esercitata.
L’Ente si raccomanda di focalizzare l’attenzione anche sulle condotte di soggetti terzi (pur se non espressamente qualificabili come intermediari), che abbiano consentito o agevolato la realizzazione del reato. Lo sfruttamento del lavoro può, infatti, realizzarsi pure nell’ambito di rapporti commerciali tra imprese, e, in particolare, nelle prestazioni di servizi oggetto di un contratto di appalto, laddove l’impresa appaltatrice, nel garantire forti risparmi ai committenti, approfitti dello stato di bisogno dei lavoratori, abbattendo considerevolmente i costi del lavoro, attraverso la corresponsione di retribuzioni “in modo palesemente difforme” rispetto ai valori prescritti dal 603-bis. Conseguentemente:
- va valutato il comportamento del personale incaricato dalla società appaltatrice di offrire i servizi ai futuri committenti, sottoscrivendo i relativi preventivi;
- vanno indagate tutte le imprese interessate, considerato che le condotte sono altresì valutate pure ai fini della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche.
La circolare ricorda, in conclusione, come siano sempre meno i casi che coinvolgono lavoratori stranieri privi di regolare permesso di soggiorno, o comunque lavoratori, siano essi italiani o stranieri, privi di regolare assunzione. L’evoluzione del fenomeno si caratterizza, infatti, per un’apparente legalità. Tant’è che in alcuni casi esiste addirittura un contratto di somministrazione di lavoro con un somministratore fornito di autorizzazione, e ai lavoratori è consegnato un prospetto paga da cui si evince un apparente rispetto di orari e trattamento economico secondo quanto previsto dalla contrattazione collettiva. È, pertanto, necessario accertare in concreto le modalità di svolgimento del rapporto di lavoro, senza fermarsi agli aspetti meramente ufficiali.
Come sempre, risulterà in proposito fondamentale l’audizione della forza lavoro coinvolta, da cui sarà necessario acquisire, non solo delle “sommarie informazioni” circa la propria attività, ma ogni altra notizia utile a comprovare sia la condizione di sfruttamento sia lo stato di bisogno, sebbene ciò non sarà sempre agevole, in quanto trattasi di persone spesso soggette a forme di intimidazione da parte dell’intermediario e/o del datore di lavoro.
La circolare è completata con degli allegati che forniscono, a tal proposito, un elenco esemplificativo delle domande che gli ispettori dovranno rivolgere ai vari lavoratori interessati.