Paolo Soro

Picconate ai diritti dei contribuenti, ma passano come favori

Il testo del decreto-legge “crescita e semplificazione” è appena stato convertito in legge dello Stato, recando con sé taluni emendamenti che, se poco hanno a che vedere con la “crescita”, di certo nulla c’entrano con la “semplificazione”.

Si dirà: e dove sta la novità?

La novità – sconvolgente – è che questa volta nessuno (o quasi) ha fatto luce su ciò che è accaduto. Anzi, quel che più lascia esterrefatti, taluni organi di informazione (meglio, disinformazione), hanno resocontato la norma con articoli da titoli fuorvianti e contenuti inesatti (esempio: “Fisco, contraddittorio di rigore”); dando pure voce ai parlamentari firmatari, i quali si pavoneggiavano di avere fatto finalmente qualcosa a favore delle imprese, ben sapendo che invece stavano sferrando l’ennesima picconata ai diritti garantiti dallo Statuto dei contribuenti e concedendo ulteriori privilegi all’Agenzia delle entrate.

Ma la cosa che più fa torto alla preparazione (e intelligenza) dei commercialisti italiani è leggere le dichiarazioni di plauso e gaudio, rilasciate in merito alla normativa in questione, dal loro presedente del Consiglio Nazionale. Caro presidente, tutti noi vogliamo sperare che si sia trattato del solito annuncio propagandistico (della serie Cicero pro domo sua), da comprendere in coloro che aspirano a ruoli politici, dimenticando di essere – prima di tutto – dei professionisti della materia fiscale. In caso contrario, sarebbe davvero preoccupante…

Come farebbe ogni buon cronista, dobbiamo riconoscere che il presidente si è detto dispiaciuto del fatto che molte richieste non siano state ascoltate. Cionondimeno, ha previamente salutato con “estremo favore” la legge che rappresenta “un primo segnale concreto di un approccio più attento della politica alle istanze della categoria”. Sarebbe come gioire per avere ricevuto un prestito di 100 euro, a fronte di 110 euro di interessi. A questo punto, speriamo vivamente che la categoria la smetta con certe istanze… o quanto meno che la politica torni a distrarsi come ha fatto finora.

Vediamo un rapido sunto di queste misure per “crescita e semplificazione”, passate quasi completamente sotto silenzio.

In particolare, il Capo 1 (Misure fiscali per la crescita economica) reca due rilevanti “picconate” alla legge 212/2000 (meglio nota, appunto, come Statuto dei diritti del contribuente). Innanzitutto, l’art. 4-bis, rubricato “Semplificazioni in materia di controlli formali delle dichiarazioni dei redditi e termine per la presentazione della dichiarazione telematica dei redditi”, fornisce, senza peraltro qualificarla espressamente come tale, un’interpretazione autentica del comma 4, art. 6, Statuto del contribuente:

Gli uffici, ai sensi dell'articolo 6, comma 4, della legge 27 luglio 2000, n. 212, non chiedono ai contribuenti documenti relativi a informazioni disponibili nell'anagrafe tributaria o a dati trasmessi da parte di soggetti terzi in ottemperanza a obblighi dichiarativi, certificativi o comunicativi, salvo che la richiesta riguardi la verifica della sussistenza di requisiti soggettivi che non emergono dalle informazioni presenti nella stessa anagrafe, ovvero elementi di informazione in possesso dell'amministrazione finanziaria non conformi a quelli dichiarati dal contribuente.

La precisazione “salvo che” non è presente nella disposizione dello Statuto, che – all’opposto – stabilisce “in ogni caso”: Al contribuente non possono, in ogni caso, essere richiesti documenti e informazioni già in possesso dell'amministrazione finanziaria o di altre amministrazioni pubbliche.

L’interpretazione fornita dal legislatore oggi è, dunque, chiaramente a vantaggio del Fisco e a danno dei contribuenti, che vedono così un’altra fetta dei loro diritti, inopinatamente consumata da una vorace amministrazione finanziaria. Vorremo che il lettore ponesse, poi, particolare attenzione al titolo della disposizione “Semplificazioni in materia di controlli formali delle dichiarazioni dei redditi”. Certo, non v’è dubbio, dopo questa ulteriore legge, il compito dell’Agenzia delle entrate è ulteriormente semplificato, a scapito di un maggiore e più complesso lavoro dei contribuenti (e di chi li assiste).

Anche la seconda “picconata” allo Statuto arriva mascherata sotto il cappello della “semplificazione”. Il successivo art. 4-septies è infatti rubricato: “Conoscenza degli atti e semplificazione”. La norma sostituisce integralmente il comma 3, del sopra richiamato art. 6, legge 212/2000, col seguente:

“L'amministrazione finanziaria assume iniziative volte a garantire che i modelli di dichiarazione, le relative istruzioni, i servizi telematici, la modulistica e i documenti di prassi amministrativa siano messi a disposizione del contribuente, con idonee modalità di comunicazione e di pubblicità, almeno sessanta giorni prima del termine assegnato al contribuente per l'adempimento al quale si riferiscono.”

Per dovere di cronaca, ricordiamo che la precedente formulazione non fissava espressamente un termine, ma stabiliva: “siano messi a disposizione del contribuente in tempi utili”. Orbene, chiunque si occupi professionalmente di dichiarazioni tributarie, ogni anno, sperimenta a sue spese che 60 giorni non potrebbero mai essere considerati un “tempo utile”, nemmeno nella chimerica visione di un Fisco davvero semplificato (e non solo millantato come tale). E, a quest’ultimo proposito, pur con tutta la più buona volontà del mondo, non riusciamo proprio a capire come una simile previsione possa costituire una semplificazione per i contribuenti; seppure, di sicuro la rappresenta per l’Agenzia delle entrate.

All’occhio di un giurista esperto non parrebbe, poi, priva di rilievo la circostanza che le disposizioni dello Statuto, in ossequio ai precetti di matrice costituzionale, costituiscono principi generali dell'ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente, e mai da leggi speciali. Inoltre, l'adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica. Ciò che potenzialmente non esclude affatto un possibile futuro intervento della Consulta sulla legge qui oggetto di commento.

Ma le cose non finiscono qui. Passiamo alla famigerata conquista del “contraddittorio obbligatorio”. Al fine di evitare che la confusione continui a perpetrarsi in tutti quei colleghi che hanno il solo difetto di fidarsi degli “articolisti specialisti della materia” (anche perché non avrebbero il tempo materiale per andarsi ogni volta a leggere la norma originale), iniziamo subito col precisare che il legislatore non è intervenuto nel contraddittorio ex art. 12, comma 7, Statuto dei contribuenti, ma nella specifica procedura dettata dal D.Lgs. 218/1997 (accertamento con adesione).

Viene invero reso obbligatorio per legge il contraddittorio nella procedura di accertamento con adesione. Senonché, si tratta di una previsione abbastanza superflua, posto che in realtà, già nella precedente formulazione della legge, di fatto il contraddittorio era obbligatorio: “L’Ufficio invita il contribuente…” La norma non affermava “L’Ufficio può invitare il contribuente…”.

Ma, come si dice, timeo Danaos et dona ferentes, il legislatore (rectius, i funzionari dell’Agenzia), colgono la palla al balzo per stabilire – questa volta – per legge, che:

-          Tale contraddittorio non è obbligatorio nei casi di avvisi di accertamento e di rettifica parziale: questo, sì, innova decisamente la previgente normativa, e lo fa a favore dell’Ufficio, semplificandogli notevolmente il lavoro, posto che la stragrande maggioranza di avvisi risultano nella pratica quotidiana essere di tipo “parziale”.

-          Neppure è obbligatorio il contraddittorio (nel senso che la sua assenza non comporta in ogni caso la nullità dell’atto), laddove il contribuente non dimostri in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato attivato; ennesima norma pro-Fisco, prima inesistente, improntata a sbilanciare ulteriormente il rapporto tra: il contribuente (parte debole del giudizio), e l’Agenzia delle entrate.

-          “Sdogana” implicitamente la possibilità per l’Ufficio di non rilasciare copia del processo verbale di chiusura delle operazioni (contrariamente a quanto espressamente di regola imposto dallo Statuto del contribuente all’Amministrazione, in relazione a qualsiasi atto di accertamento).

E, last but not least, una norma che grida “vendetta”:

-          Viene concesso – beninteso, sempre all’Amministrazione e non certo al contribuente – un prolungamento automatico per legge di 120 giorni del termine ordinario di decadenza, entro il quale notificare l’atto impositivo al contribuente, nel caso in cui il termine ordinario ricada nei 90 giorni (altra chiara disposizione di “semplificazione” per i contribuenti).

E tutto ciò viene sostanzialmente salutato con “estremo favore”?

Vi imploriamo, di cuore: non fateci alcun favore!

comments powered by Disqus
studio 020b (429x640)
top