“La res publica è cosa del popolo; e il popolo non è un qualsiasi aggregato di gente, ma un insieme di persone associatosi intorno alla condivisione del diritto e per la tutela del proprio interesse”, così scrive Marco Tullio Cicerone, nel suo trattato “De re publica”.
Orbene, in quanto parte integrante della collettività, reputiamo di avere il legittimo diritto di contestare le storture di cui veniamo a conoscenza: i premi di produttività elargiti ai funzionari dell’Agenzia delle Entrate, a nostro avviso, costituiscono una delle anomalie italiane da denunciare a gran voce.
Essere designati ad amministrare la cosa pubblica, oltre a costituire un enorme privilegio, comporta un’enorme responsabilità verso i cittadini, il cui esclusivo interesse si è chiamati a rappresentare. È, dunque, di tutta evidenza – lapalissiano – che coloro i quali svolgono un servizio pubblico debbano operare nella massima trasparenza, nonché apparire il più possibile scevri da condizionamenti esterni, nonché (e tanto meno) da interessi economici direttamente commisurati al loro grado di efficienza lavorativa.
Per carità, è senza dubbio corretta una remunerazione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto (come, del resto, impone la nostra Costituzione). Viceversa, tutt’altro che commendevole appare la corresponsione di premi e incentivi in denaro parametrati al compimento di atti che, a fronte di sicuri vantaggi economici personali arrecati al singolo funzionario statale, non necessariamente conducono parimenti all’ottenimento di maggiori entrate finanziarie per lo Stato (rectius, benefici alla collettività), costituendo anzi spesso degli ulteriori esborsi per le già impoverite Casse nazionali.
Oltre a ciò, esiste un evidente problema legato alla credibilità dell’operato stesso del funzionario. Che fiducia si potrebbe mai riporre nel Vigile Urbano che ricevesse dei premi in denaro commisurati al numero di multe emesse? O, nell’arbitro di una gara – per definizione super partes – che venisse monetariamente incentivato al fine di fischiare il maggior numero possibile di punizioni?
Lungi da noi pensar male. Era Papa Pio XI ad ammonire che, a pensar male del prossimo, si fa peccato; a noi, poi, poco importa se si indovina. Ciò che preme è soddisfare gli interessi del popolo; non gioire per aver punito i colpevoli una volta che il danno è stato fatto e non è più riparabile.
Lo stesso Platone, dopo aver teorizzato lo Stato ideale dove i “Custodi” non necessitano di controlli superiori, si è reso conto che qualcosa strideva in tale suo teorema e ha pensato bene di correggere il tiro, essendo consapevole della debolezza della natura umana e ritenendo perciò indispensabile che, anche in uno Stato bene ordinato, debbano esservi leggi e sanzioni penali.
Certi “cattivi pensieri”, evidentemente, sono radicati pure nelle menti di chi bazzica le “stanze dei bottoni”, e non solo nella testa dei cittadini. In caso contrario, non sussisterebbe alcun motivo logico per negare – ore rotundo – la verità, al popolo, in diretta nazionale. Elemento che, se possibile, genera solo ulteriori indizi in favore dell’anzidetta tesi relativa alla scarsa credibilità di taluni amministratori della “cosa pubblica”. In effetti, se prima si poteva solo insinuare il dubbio, dopo aver appurato che sono addirittura gli alti dirigenti che mentono pur non potendo non sapere le regole del proprio contratto di lavoro, quel dubbio ha attecchito così profondamente nel cervello del “buon contribuente”, che liberarsene diventa impresa ardua e improba.
Ma come è possibile che si possano asserire delle menzogne di così grande portata, senza correre il rischio di essere sbugiardati pubblicamente?
La risposta non piacerà a coloro che ritengono di vivere ancora in un Paese civile, serio e, soprattutto, effettivamente libero, dove i media svolgono, tutti indistintamente, in maniera coscienziosa il proprio dovere, rendendo sistematicamente edotto il popolo anche riguardo ad alcuni scheletri che occupano (e preoccupano) gli armadi dei portatori degli interessi editoriali e delle lobby di potere, più o meno trasversali (come si usa dire). D’altronde, non siamo certo noi a scoprire improvvisamente oggi che l’Italia, quanto a libera informazione, viaggia abbondantemente nelle retrovie dell’intera classifica mondiale dei Paesi (e non solo di quelli c. d. civili e democratici).
Ebbene, premesso che alcuni tecnici della materia, in varie occasioni, hanno rilevato l’obbrobrio contrattuale afferente i premi di produttività dei funzionari dell’Erario (ma naturalmente la cassa di risonanza di cui godono i liberi professionisti è ben poca cosa), giova portare all’attenzione dei lettori quello che potremmo definire un ulteriore forte elemento indiziario; beninteso, prima di concludere con le prove documentali certe. A differenza, infatti, del Fisco, noi riteniamo corretto il principio in base al quale, chi intende far valere un diritto o una tesi deve addossarsene l’onere della prova; non limitarsi a presunzioni più meno concordanti, quasi mai gravi e di certo per nulla precise.
Ma torniamo, per ora, all’elemento indiziario.
Di pari passo con lo sviluppo di Internet, diventa sempre più semplice reperire in rete – oltre al resto – anche qualunque tipo di documentazione concernente gli accordi di lavoro nel Pubblico Impiego. Sarà sicuramente un caso, ma, negli ultimi vent’anni tali contratti di lavoro hanno subito diverse modifiche, rendendo via via più difficile e complesso individuare i premi di produzione (che hanno cambiato col tempo pure nome, essendo in genere ora qualificati come “indennità integrativa” e/o “indennità di amministrazione” – si sa, il nome conta… e non poco).
Starete pensando che la nostra è solo una posizione di parte. Liberi di pensarlo. Nel frattempo, però, riflettete sul fatto che tutti gli ordinari contratti di lavoro privati indicano chiaramente tale particolare istituto. Riflettete altresì sul fatto che la legge impone una serie di regole ben precise per consentire a un datore di lavoro privato di poter erogare dei premi di produzione: regole che vanno dall’estrema chiarezza sul come conteggiarli al quando erogarli. Senza contare l’obbligo di rispettare comunque gli accordi sindacali in essere a livello nazionale e regionale, anche se non si appartiene ad alcuna associazione di categoria firmataria; o quello di trasmettere l’accordo al competente Ispettorato del Lavoro prima di potervi dare seguito.
E qual è, invece, la situazione per i premi di produzione nei contratti del Pubblico Impiego?
Possiamo dire che, di certo, non appare altrettanto trasparente e immediatamente intelligibile: si rimanda da un verbale a un altro, a eventuali ulteriori allegati, a norme vigenti anni e anni addietro; si usano termini come “fondi per le politiche di sviluppo delle risorse umane”, o “salario accessorio”, di certo non subito inquadrabili nella loro effettiva essenza (quasi come se l’espressione “premio di produzione”, nei contratti dei dipendenti del Fisco, fosse uno spauracchio; un tabu da evitare a ogni costo).
Ulteriore elemento che dà da pensare, poi, è la seguente dichiarazione:
“Il nostro salario accessorio è per la maggior parte dei lavoratori una materia oscura”.
Non si tratta di un’opinione personale di qualche impiegato deluso, intercettato dalle “Iene”; ma un’affermazione scritta nel sito Internet dell’U.S.B. (Unione Sindacati di Base – Pubblico Impiego – Agenzie Fiscali). E, se è oscura per loro che sono tra i firmatari di tali accordi, figurarsi per i cittadini…
Dulcis in fundo, le prove documentali in precedenza promesse.
Siamo andati a seguire a ritroso, con certosina pazienza, i vari accordi contrattuali. Di rimando in rimando, siamo giunti all’Accordo sulla ripartizione del fondo per le politiche di sviluppo delle risorse umane e per la produttività, sottoscritto tra i rappresentanti dell’Agenzia delle Entrate e le Organizzazioni Sindacali.
Il punto 2, titolato “Premio collegato alla performance individuale”, così dispone:
“Una quota delle risorse del Fondo è destinata al finanziamento del premio di produttività individuale, finalizzato a incentivare l’apporto dato dal personale nelle diverse attività dell’Agenzia. Tale somma viene ripartita secondo i criteri di seguito riportati.”
In realtà, per comprendere effettivamente come vengono nella pratica conteggiati i premi che devono essere corrisposti, l’Accordo rimanda poi a specifica altra parte allegata all’Accordo (per farne parte integrante). Ecco come tale ulteriore documento stabilisce che debbano essere attribuiti i premi di produzione.
“Il Fondo di produttività individuale è ripartito suddividendolo in due quote.
La quota A è ripartita sulla base dell’obiettivo monetario…
L’obiettivo monetario è dato dal totale dei seguenti importi: …b) rimborsi non erogati in quanto ritenuti non spettanti in base ai controlli eseguiti.
La quota B viene ripartita in proporzione alle ore complessive di lavoro valorizzate con il rispettivo indice di efficacia ed efficienza. Gli elementi considerati sono i seguenti:
a = totale ore lavorate in ciascuna regione
b = indice di efficacia ed efficienza delle ore lavorate in ciascuna regione
L’indice viene calcolato standardizzando il valore dato dal rapporto fra il numero dei relativi prodotti e le risorse umane.
Il riferimento è ai seguenti prodotti: …accertamenti nei confronti dei grandi contribuenti; accertamenti nei confronti di imprese di medie dimensioni suddivisi per fasce di volume d’affari; altri accertamenti nei confronti di imprese di piccole dimensioni, professionisti, enti non commerciali, nonché accertamenti diversi da quelli su redditi di impresa e lavoro autonomo e accertamenti parziali automatizzati; indagini finanziarie; accertamenti sintetici; contenzioso su atti di accertamento unificato e su cartelle di pagamento.”
Esistono ancora dubbi?
Fra tutti, appare davvero singolare l’ultimo degli anzidetti “prodotti”. Da un lato, emaniamo leggi per ridurre il contenzioso, creiamo strumenti deflattivi, ci prefiggiamo l’obiettivo di diminuire il ruolo delle varie commissioni tributarie; dall’altro, premiamo i funzionari in base al volume del contenzioso.
Ma è normale? No, dai, è una barzelletta…