In applicazione della regola fissata dalla legge in tema di processo telematico civile e penale, per gli atti dell’agente della riscossione, le firme digitali di tipo “CAdES” e di tipo “PAdES” sono entrambe ammesse ed equivalenti, sia pure con le differenti estensioni “.p7m” e “.pdf”.
Questo il principio che la Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 6417 del 5 marzo 2019, ha ritenuto di estendere anche alla notificazione a mezzo Pec degli atti riscossivi, cassando la sentenza del giudice tributario che aveva invece negato tale possibilità.
Una società impugnava vittoriosamente dinanzi al Collegio tributario di primo grado l’atto di pignoramento presso terzi, notificatole tramite posta elettronica certificata.
Il decisum veniva confermato dalla Commissione tributaria regionale della Campania, che riteneva invalida la notifica elettronica osservando che il file dell’atto trasmesso presentava estensione “.pdf” anziché “.p7m” e che soltanto quest’ultima estensione garantirebbe l’integrità e l’immodificabilità del documento informatico e, quanto alla firma digitale, l’identificabilità del suo autore e, quindi, la paternità dell’atto.
L’Agenzia delle entrate ricorreva in sede di legittimità, sostenendo, per quanto qui d’interesse, che l’omessa sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non determinerebbe l’invalidità dell’atto, la cui esistenza dipenderebbe piuttosto dalla riferibilità dell’atto all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo e che, in ogni caso, in ipotesi di trasmissione a mezzo Pec, nessun rilievo ai fini della regolarità della notifica rivestirebbe la circostanza che il documento abbia estensione “.pdf” anziché “.p7m”.
La Cassazione ha accolto il motivo, confermando anzitutto il principio per il quale l’omessa sottoscrizione di una cartella da parte del soggetto competente non comporta invalidità dell’atto, “la cui esistenza non dipende tanto dall’apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, quanto dal fatto che tale elemento sia inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo”.
Con riguardo invece alla possibilità di notificare l’atto a mezzo Pec, il Collegio richiama l’insegnamento secondo cui l’irritualità che colpisca la notifica elettronica non ne comporta la nullità quando è stato comunque conseguito il risultato della conoscenza dell’atto in capo al destinatario.
In particolare, puntualizzano i giudici di legittimità, alla fattispecie in esame deve applicarsi la regola fissata dall’articolo12 del decreto dirigenziale 16 aprile 2014 – recante le specifiche tecniche previste dal decreto del ministro della Giustizia n. 44/2011 per l’adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione – ai sensi del quale, nel processo telematico, “le firme digitali di tipo "CAdES" e di tipo "PAdES" sono entrambe ammesse e equivalenti, sia pure con le differenti estensioni .p7m e .pdf”.
All’accoglimento del motivo è conseguita la cassazione della pronuncia impugnata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, per l’eventuale prosieguo del contenzioso.
Secondo quanto previsto dall’articolo 26, secondo comma, del Dpr 602/1973, la notifica della cartella può essere eseguita, con le modalità di cui al Dpr 68/2005, “a mezzo posta elettronica certificata, all’indirizzo del destinatario risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC), ovvero, per i soggetti che ne fanno richiesta, diversi da quelli obbligati ad avere un indirizzo di posta elettronica certificata da inserire nell’INI-PEC, all’indirizzo dichiarato all’atto della richiesta”; in questi casi, si applicano le disposizioni dell’articolo 60 del Dpr 600/1973.
Così come accade in altri ambiti, dove la diffusione dell’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione contribuisce a favorire l’innovazione, rendendo più sicuri e immediati i rapporti con i cittadini, anche gli atti della riscossione possono quindi essere veicolati nei confronti del destinatario, con piena efficacia legale, avvalendosi della modalità telematica.
Se, in linea generale, un messaggio di posta elettronica certificata, oltre al testo del messaggio e ai dati di certificazione, può contenere in allegato un qualsiasi tipo di documento informatico (file di testo, grafico, sonoro, eccetera), caratterizzato da una propria “estensione” (.doc; .txt; .bmp, .gif, eccetera), per quanto riguarda gli atti della riscossione si sono registrate alcune pronunce di merito che, come quella scrutinata nel caso di specie, pongono in dubbio la legittimità della notificazione telematica quando oggetto della trasmissione sia un file avente estensione “.pdf” anziché “.p7m”.
La pronuncia della Corte, intervenendo in relazione a una problematica interpretativa che presenta una certa diffusione, oltre a ribadire la regola, fondata sul principio generale di strumentalità delle forme, in ragione del quale ove sia stato raggiunto lo scopo della legale conoscenza dell’atto in capo al destinatario non possono venire in rilievo eventuali vizi del procedimento notificatorio, estende l’approccio sostanzialistico anche con riguardo alle caratteristiche informatiche del file veicolato con modalità elettronica.
La conclusione rassegnata dai supremi giudici poggia, peraltro, anche su un solido dato normativo che, seppure dettato con riguardo alle notifiche telematiche del processo, appare comunque estensibile anche alle ipotesi di notifica di atti sostanziali, tenuto altresì conto del principio di diritto enunciato da Sezioni unite n. 10266/2018, secondo cui “Secondo il diritto dell’UE e le norme, anche tecniche, di diritto interno, le firme digitali di tipo CAdES e di tipo PAdES, sono entrambe ammesse ed equivalenti, sia pure con le differenti estensioni <*.p7m> e <*.pdf>, e devono, quindi, essere riconosciute valide ed efficaci, anche nel processo civile di cassazione, senza eccezione alcuna”.
Fonte: Fisco-Oggi