Paolo Soro

Corte UE: La Direttiva “madre/figlia” non si applica sempre

La direttiva 90/435/CEE del Consiglio, del 23 luglio 1990, concernente il regime fiscale comune per le società madri e figlie di Stati membri diversi, non è applicabile qualora la società madre sia assoggettata all’imposta ad aliquota zero sulle società.

Questa, in estrema sintesi, l’interpretazione che si ricava dalla sentenza della Corte di Giustizia UE (Quinta Sezione), dell'8 marzo 2017 – Causa C-448/15, pienamente condivisa anche nelle  Conclusioni dell’Avvocato Generale, presentate il 26 ottobre 2016.

La domanda

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva 90/435/CEE del Consiglio, del 23 luglio 1990, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi (GU 1990, L 225, pag. 6), nonché degli articoli 43 e 56 CE.

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra lo Stato belga, da un lato, e la Wereldhave Belgium Comm. V.A., la Wereldhave International NV e la Wereldhave NV, dall’altro, in merito alle ritenute d’imposta mobiliare sui dividendi versati dalla “società figlia” belga, alle “società madri” olandesi, per gli esercizi fiscali 1999 e 2000.

Contesto normativo – Diritto dell’Unione

Preliminarmente, giova ricordare che la Direttiva 90/435 è stata abrogata dalla Direttiva 2011/96/UE del Consiglio, del 30 novembre 2011, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi (GU 2011, L 345, pag. 8), entrata in vigore il 18 gennaio 2012. Tuttavia, tenuto conto della data dei fatti della controversia principale qui oggetto di analisi, la Direttiva 90/435 risulta quella applicabile ratione temporis.

Il Legislatore comunitario, in premessa, espone le motivazioni che stanno alla base della Direttiva. Tale provvedimento è giustificato:

“Considerando che le attuali disposizioni fiscali che disciplinano le relazioni tra società madri e società figlie di Stati membri diversi variano sensibilmente da uno Stato membro all’altro e sono, in generale, meno favorevoli di quelle applicabili alle relazioni tra società madri e società figlie di uno stesso Stato membro; che la cooperazione tra società di Stati membri diversi viene perciò penalizzata rispetto alla cooperazione tra società di uno stesso Stato membro; che occorre eliminare questa penalizzazione instaurando un regime comune e facilitare in tal modo il raggruppamento di società a livello comunitario”.

Nel previgente tenore letterale della norma, veniva stabilito che ogni Stato membro applica la Direttiva:

-          alla distribuzione degli utili percepita da società dello Stato membro e provenienti dalle loro filiali di altri Stati membri;

-          alla distribuzione degli utili effettuata da società dello Stato a società di altri Stati membri di cui esse sono filiali.

Inoltre, veniva specificato che, ai fini dell’applicazione della Direttiva, il termine “società di uno Stato membro” designa qualsiasi società:

-          che abbia una delle forme enumerate nell’allegato;

-          che, secondo la legislazione fiscale di uno Stato membro, sia considerata come avente il domicilio fiscale in tale Stato e, ai sensi di una convenzione in materia di doppia imposizione conclusa con uno Stato terzo, non sia considerata come avente tale domicilio fuori della Comunità;

-          che, inoltre, sia assoggettata, senza possibilità di opzione e senza esserne esentata, alle imposte ordinarie.

Infine, la qualità di società madre è riconosciuta almeno a ogni società di uno Stato membro che soddisfi le anzidette condizioni, e che detenga, nel capitale di una società di un altro Stato membro che soddisfi le medesime condizioni, una partecipazione minima del 25%.

Ciò premesso, la Direttiva prevede alcune deroghe, in forza delle quali, gli Stati membri hanno la facoltà di:

-          sostituire, mediante accordo bilaterale, il criterio di partecipazione al capitale con quello dei diritti di voto;

-          non applicare la Direttiva a quelle società dello Stato membro che non conservano, per un periodo ininterrotto di almeno due anni, una partecipazione che dia diritto alla qualità di società madre, o alle società nelle quali una società di un altro Stato membro non conservi, per un periodo ininterrotto di almeno due anni, la medesima partecipazione.

In forza alla Direttiva, come noto, gli utili distribuiti da una società figlia alla sua società madre, almeno quando quest’ultima detiene una partecipazione minima del 25% nel capitale della società figlia, sono esenti dalla ritenuta alla fonte.

Quanto sopra, fermo restando che la Direttiva non può pregiudicare l’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali necessarie per evitare le frodi e gli abusi.

Contesto normativo – Diritto belga

La normativa interna vigente in Belgio, in generale, prevede che il Fisco possa rinunciare, del tutto o in parte, alla riscossione della ritenuta d’imposta mobiliare sui redditi da capitale, purché si tratti di redditi percepiti da beneficiari identificabili, o da organismi d’investimento collettivo di diritto estero che costituiscono un patrimonio indiviso gestito da una società di gestione per conto dei partecipanti, quando le loro quote non sono oggetto di emissione pubblica in Belgio e non sono messe in commercio in Belgio.

In ogni caso, di regola, si rinuncia integralmente alla riscossione della ritenuta d’imposta mobiliare per i dividendi il cui debitore è una società figlia belga e il cui beneficiario è una società madre di un altro Stato membro della Comunità economica europea. Tuttavia, la rinuncia non si applica se le azioni detenute dalla società madre per le quali vengono pagati i dividendi non rappresentano una partecipazione pari almeno al 25% del capitale della società figlia, e se siffatta partecipazione minima del 25% non è (o non è stata) mantenuta per un periodo ininterrotto di almeno un anno.

I fatti

La Wereldhave Belgium, una società in accomandita per azioni di diritto belga, è detenuta rispettivamente, per il 35% e per il 44%, dalla Wereldhave International e dalla Wereldhave, società per azioni di diritto olandese, aventi sede nei Paesi Bassi. La Wereldhave detiene la totalità del capitale della Wereldhave International.

La Wereldhave Belgium ha distribuito dividendi alla Wereldhave International e alla Wereldhave per un importo di EUR 10.965.197,63 nel 1999 e di EUR 11.075.733,50 nel 2000.

Per ciascun esercizio fiscale, la Wereldhave International e la Wereldhave hanno presentato reclami per chiedere di essere esentate dalla ritenuta d’imposta mobiliare sui dividendi, fondandosi sulla Direttiva 90/435 e sull’articolo 106, paragrafo 5, dell’AR/CIR 1992, che traspone detta direttiva nel diritto belga, nei limiti in cui ritenevano di dover essere considerate «società madri», ai sensi di detta Direttiva.

In mancanza di una decisione delle Autorità belghe nei sei mesi successivi alla data di ricevimento di tali reclami, la Wereldhave Belgium, la Wereldhave International e la Wereldhave hanno proposto un ricorso dinanzi al Tribunale di Primo Grado di Bruxelles, Belgio.

Con due decisioni del 20 novembre 2012, il Tribunale ha dichiarato che non era dovuta alcuna ritenuta d’imposta mobiliare sui dividendi pagati nel 1999 e nel 2000, in applicazione della Direttiva 90/435 e dell’articolo 106, paragrafo 5, dell’AR/CIR 1992.

Lo Stato belga ha impugnato tali decisioni dinanzi al Giudice del rinvio, facendo valere, in particolare, che i beneficiari dei dividendi sono organismi d’investimento collettivo a carattere fiscale (OICF) di diritto olandese, assoggettati, nei Paesi Bassi, all’imposta sulle società ad aliquota zero, e non possono beneficiare dell’esenzione dalla ritenuta d’imposta mobiliare, in quanto non soddisfano la condizione dell’assoggettamento impositivo prevista dalla stessa Direttiva.

Lo Stato belga ritiene che i termini essere «assoggettata, senza possibilità di opzione e senza esserne esentata», implichino il requisito di un assoggettamento cosiddetto «soggettivo e oggettivo». Così, le società che sono assoggettate all’imposta sulle società, ad aliquota zero, non rientrerebbero in tale direttiva.

La Wereldhave Belgium, la Wereldhave International e la Wereldhave sostengono, per contro, che gli OICF sono in linea di principio assoggettati nei Paesi Bassi, in quanto società per azioni, all’imposta sulle società (Wet Vpb), e tale assoggettamento sarebbe sufficiente per poter beneficiare dell’esenzione dalla ritenuta d’imposta mobiliare; seppure, un OICF può beneficiare dell’aliquota zero dell’imposta sulle società, a condizione di versare integralmente i suoi utili ai propri azionisti. A giudizio delle società istanti, l’obbligo dell’assoggettamento in ogni caso non richiede alcuna riscossione effettiva dell’imposta, poiché tale assoggettamento può essere meramente soggettivo.

Sempre a parere delle anzidette società, nel caso in cui la Direttiva non si applichi a dividendi di origine belga distribuiti da una società belga ai propri azionisti olandesi, gli articoli 43 e 56 CE osterebbero a una disposizione legislativa che assoggetta a una ritenuta alla fonte, indipendentemente dall’aliquota di imposizione, i dividendi distribuiti da una società residente alle società beneficiarie residenti e non residenti, sebbene sia previsto un meccanismo che consenta di attenuare l’imposizione a catena per le società beneficiarie residenti.

Le questioni pregiudiziali

In tali circostanze, la Corte d’Appello di Bruxelles ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte UE le seguenti questioni pregiudiziali:

1)      Se la Direttiva debba essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che non esenta dalla ritenuta mobiliare belga i pagamenti di dividendi effettuati da una società figlia belga a una società madre stabilita nei Paesi Bassi che soddisfa i requisiti della partecipazione minima e della durata della detenzione, in quanto la società madre olandese è un organismo di investimento collettivo a carattere fiscale che deve distribuire integralmente i suoi profitti agli azionisti e a questa condizione può beneficiare dell’imposizione ad aliquota zero ai fini dell’imposta societaria.

2)      In caso di risposta negativa alla prima questione, se gli articoli 43 e 56 CE debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a un normativa nazionale che non esenta dalla ritenuta mobiliare belga i pagamenti di dividendi effettuati da una società figlia belga a una società madre stabilita nei Paesi Bassi che soddisfa i requisiti della partecipazione minima e della durata della detenzione, in quanto la società madre olandese è un organismo di investimento collettivo a carattere fiscale che deve distribuire integralmente i suoi profitti agli azionisti e a questa condizione può beneficiare dell’imposizione ad aliquota zero ai fini dell’imposta societaria.

Sulla prima questione

In sostanza, occorre stabilire se una società che, come gli OICF di cui trattasi nel procedimento principale, è assoggettata all’imposta sulle società ad aliquota zero a condizione che tutti i suoi utili siano distribuiti ai propri azionisti, possa essere qualificata come «società di uno Stato membro», ai sensi della Direttiva, di modo che la distribuzione di dividendi a tale società rientri nell’ambito di applicazione di detta Direttiva.

Conformemente a costante Giurisprudenza, occorre, a tal fine, tener conto, non soltanto della formulazione di tale disposizione, ma anche degli obiettivi e del sistema istituito dalla Direttiva (C-27/07; C-247/08).

In proposito, giova ricordare che la Direttiva mira a eliminare, instaurando un regime tributario comune, qualsiasi penalizzazione della cooperazione tra società di Stati membri diversi rispetto alla cooperazione tra società di uno stesso Stato membro, e a facilitare in tal modo il raggruppamento di società a livello dell’Unione europea. Tale Direttiva tende così ad assicurare, sotto il profilo fiscale, la neutralità della distribuzione di utili da parte di una società figlia con sede in uno Stato membro alla sua società madre stabilita in un altro Stato membro (C-247/08).

La Direttiva concerne la distribuzione degli utili percepiti da società di uno Stato membro e provenienti dalle loro società figlie aventi sede in altri Stati membri, stabilendo le condizioni cumulative che una società deve soddisfare per essere considerata come una società di uno Stato membro, e definendo così l’ambito di applicazione (C-247/08). Il rispetto, da parte della società distributrice dei dividendi e delle società beneficiarie degli stessi, delle condizioni previste dalla Direttiva, relative alla forma giuridica e al domicilio fiscale delle società, non sembra essere messo in discussione dinanzi al Giudice del rinvio, né è contestato dinanzi alla Corte UE.

Le Parti, tuttavia, divergono sulla questione se la terza condizione, secondo la quale la società interessata deve essere assoggettata alle imposte, senza possibilità di opzione e senza esserne esentata, sia soddisfatta nella situazione di cui trattasi. Occorre, cioè, stabilire se tale condizione sia rispettata quando la società interessata è assoggettata a una siffatta imposta ad aliquota zero, seppure a condizione che tutti i suoi utili siano distribuiti ai propri azionisti.

Si deve rilevare in proposito che la Direttiva enuncia, sia un criterio di qualificazione positivo (essere assoggettato all’imposta), sia uno negativo (non essere esentato da tale imposta e non avere alcuna possibilità di opzione). L’enunciazione di tali due criteri, uno positivo, l’altro negativo, conduce a ritenere che la condizione prevista dalla Direttiva non richieda unicamente che una società rientri nell’ambito di applicazione dell’imposta di cui trattasi, ma miri altresì a escludere le situazioni che implichino la possibilità in forza della quale, nonostante l’assoggettamento teorico a tale imposta, la società poi in pratica  non sia effettivamente tenuta al pagamento della stessa.

Orbene, seppure formalmente una società assoggettata a un’imposta ad aliquota zero, a condizione che tutti i suoi utili siano distribuiti ai propri azionisti, non sia esentata da una siffatta imposta, essa si trova, in pratica, nella stessa situazione di quella che la Direttiva mira a escludere: ossia, una situazione in cui essa non è in realtà tenuta al pagamento di tale imposta.

Come bene rilevato dall’Avvocato Generale nelle sue conclusioni, infatti, includere in una normativa nazionale una disposizione ai sensi della quale una categoria determinata di società può, a talune condizioni, beneficiare di un’imposizione ad aliquota zero, equivale a non assoggettare tali società a detta imposta (C-194/06). Siffatta interpretazione appare conforme all’impianto sistematico della Direttiva e all’obiettivo da essa perseguito; vale a dire, quello di assicurare la neutralità, sul piano fiscale, della distribuzione di utili, da una società figlia con sede in uno Stato membro alla sua società madre stabilita in un altro Stato membro tramite l’eliminazione della doppia imposizione di tali utili.

La Direttiva, infatti, mira a prevenire la doppia imposizione sugli utili distribuiti dalle società figlie alle società madri (C-27/07; C-48/07; C-247/08).

Da un lato, quando una società madre, in veste di socio, riceve dalla società figlia utili distribuiti, lo Stato membro della società madre si astiene dal sottoporre tali utili a imposizione, o autorizza detta società madre a dedurre dalla sua imposta la frazione dell’imposta pagata dalla società figlia a fronte dei suddetti utili e, eventualmente, l’importo della ritenuta alla fonte prelevata dallo Stato membro in cui ha sede la società figlia, nel limite dell’importo dell’imposta nazionale corrispondente (C-446/04; C-27/07).

Dall’altro lato, è prevista pure l’esenzione dalla ritenuta alla fonte nello Stato membro della società figlia al momento della distribuzione degli utili alla sua società madre, almeno quando quest’ultima detiene una partecipazione minima del 25% nel capitale della società figlia (C-27/07).

I meccanismi di tale direttiva sono, pertanto, concepiti per situazioni in cui, senza la loro applicazione, l’esercizio da parte degli Stati membri dei loro poteri impositivi potrebbe condurre a che gli utili distribuiti dalla società figlia alla sua società madre siano assoggettati a doppia imposizione.

Orbene, quando una società madre, come gli OICF di cui trattasi nel procedimento principale, beneficia, in forza della normativa del suo Stato membro di stabilimento, di un’aliquota d’imposizione pari a zero per tutti i suoi utili a condizione che questi siano integralmente distribuiti ai propri azionisti, il rischio di doppia imposizione, in capo a tale società madre, degli utili che le sono stati distribuiti dalla sua società figlia, è escluso.

Di conseguenza, alla luce di tutte le suesposte considerazioni, si deve ritenere che una società che, come gli OICF di cui trattasi nel procedimento principale, è assoggettata all’imposta sulle società, ad aliquota zero a condizione che tutti i suoi utili siano distribuiti ai propri azionisti, non soddisfa la condizione prevista all’articolo 2, lettera c), della Direttiva 90/435, e non rientra quindi nella nozione di «società di uno Stato membro» ai sensi di tale Direttiva.

Pertanto, in siffatte circostanze, la distribuzione di dividendi da una società figlia con sede in uno Stato membro a una tale società madre con sede in un altro Stato membro, non rientra nell’applicazione della Direttiva “madre/figlia”.

Conseguentemente, la Corte UE così risponde alla prima questione pregiudiziale:

“La Direttiva 90/435 deve essere interpretata nel senso che il suo articolo 5, paragrafo 1, non osta alla normativa di uno Stato membro in forza della quale è prelevata una ritenuta d’imposta mobiliare sui dividendi distribuiti da una società figlia con sede in tale Stato membro a un OICF, con sede in un altro Stato membro, assoggettato all’imposta sulle società ad aliquota zero a condizione che tutti i suoi utili siano distribuiti ai propri azionisti, posto che un siffatto organismo non costituisce una «società di uno Stato membro», ai sensi di tale Direttiva.”

Sulla seconda questione

Sostanzialmente, viene chiesto alla Corte se gli articoli 43 e 56 CE debbano essere interpretati nel senso che ostano alla normativa di uno Stato membro in forza della quale è prelevata una ritenuta d’imposta mobiliare sui dividendi distribuiti da una società figlia con sede in tale Stato membro a un OICF, con sede in un altro Stato membro, assoggettato all’imposta sulle società ad aliquota zero a condizione che tutti i suoi utili siano distribuiti ai propri azionisti.

Preliminarmente, i Giudici lussemburghesi ricordano che, nel contesto della cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali prevista dall’articolo 267 TFUE, la necessità di fornire un’interpretazione del diritto dell’Unione che possa essere utile al Giudice del rinvio, impone a tale Giudice di definire il contesto fattuale e normativo nel quale si inseriscono le questioni poste o, quantomeno, di spiegare le ipotesi di fatto su cui tali questioni si fondano. La Corte, infatti, può esprimersi esclusivamente sull’interpretazione di un testo dell’Unione a partire dai fatti a essa presentati dal Giudice nazionale.

Detto Giudice, pertanto, deve indicare il contenuto delle disposizioni nazionali che possono applicarsi nella specie, nonché le ragioni precise che l’hanno portato a interrogarsi sull’interpretazione di determinate disposizioni del diritto dell’Unione, e a reputare necessario sottoporre talune questioni pregiudiziali alla Corte. Quest’ultima, ha già statuito che è indispensabile che il Giudice nazionale fornisca un minimo di spiegazioni sulle ragioni della scelta delle disposizioni del diritto dell’Unione di cui chiede l’interpretazione, nonché sul nesso a suo avviso intercorrente tra tali disposizioni e la normativa nazionale applicabile alla controversia di cui è investito (C-235/14; C-692/15; C-694/15; C-156/15).

Le informazioni fornite nelle domande di pronuncia pregiudiziale servono, non soltanto a consentire alla Corte di fornire risposte utili alle questioni sollevate dal Giudice del rinvio, ma anche a dare ai governi degli Stati membri, nonché alle altre Parti interessate, la possibilità di presentare osservazioni. Spetta alla Corte provvedere affinché tale possibilità sia garantita, tenuto conto del fatto che soltanto le decisioni di rinvio vengono notificate alle Parti interessate (C-345/16).

Ebbene, nella fattispecie che qui ci occupa, per quanto riguarda le disposizioni nazionali applicabili nel procedimento principale, il Giudice del rinvio si limita a indicare gli estremi della normativa nazionale, in forza della quale, si rinuncia alla ritenuta alla fonte dell’imposta sui dividendi quando il debitore è una società figlia con sede in Belgio e il beneficiario dei dividendi è una società madre con sede in un altro Stato membro. Il Giudice del rinvio non indica, tuttavia, il contenuto delle disposizioni applicabili alle distribuzioni dei dividendi a società madri con sede in Belgio e, soprattutto, non specifica se le disposizioni nazionali applicabili nel procedimento principale siano le stesse di quelle di cui trattasi nel procedimento che ha dato luogo all’ordinanza.

Inoltre, sembra emergere dalle osservazioni presentate dalle convenute nel procedimento principale e dallo stesso Governo belga, che le distribuzioni di dividendi alle società d’investimento con sede in Belgio siano disciplinate da un regime fiscale derogatorio rispetto alle disposizioni di diritto comune. Cionondimeno, la domanda di pronuncia pregiudiziale non contiene alcuna precisazione riguardo al contenuto delle disposizioni nazionali applicabili alla distribuzione di dividendi alle società d’investimento con sede in Belgio.

In mancanza di tali precisazioni, la Corte non è in grado di stabilire se i dividendi distribuiti alle società beneficiarie di cui trattasi nel procedimento principale subiscano un trattamento sfavorevole rispetto ai dividendi distribuiti a siffatte società comparabili con sede in Belgio. Di conseguenza, non è possibile stabilire se gli articoli 43 e 56 CE debbano essere interpretati nel senso che ostano alla normativa di uno Stato membro, in forza della quale è prelevata una ritenuta d’imposta mobiliare sui dividendi distribuiti da una società figlia con sede in tale Stato membro, a un OICF con sede in un altro Stato membro, assoggettato all’imposta sulle società ad aliquota zero a condizione che tutti i suoi utili siano distribuiti ai propri azionisti.

La conclusione è, dunque, che la seconda questione risulta irricevibile.

Sulle spese

Come previsto di consueto per quanto attiene ai procedimenti dinanzi alla Corte di Giustizia UE, nei confronti delle Parti del procedimento principale, la causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al Giudice nazionale, cui spetta quindi statuire pure sulle spese.

Viceversa, le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

Il dispositivo della sentenza

La Corte (Quinta Sezione) dichiara:

“La Direttiva 90/435/CEE del Consiglio, del 23 luglio 1990, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi, deve essere interpretata nel senso che il suo articolo 5, paragrafo 1, non osta alla normativa di uno Stato membro in forza della quale è prelevata una ritenuta d’imposta mobiliare sui dividendi distribuiti da una società figlia con sede in tale Stato membro a un organismo d’investimento collettivo a carattere fiscale, con sede in un altro Stato membro, assoggettato all’imposta sulle società ad aliquota zero a condizione che tutti i suoi utili siano distribuiti ai propri azionisti, posto che un siffatto organismo non costituisce una «società di uno Stato membro», ai sensi di tale Direttiva.”

Quanto agli effetti giuridici delle sentenze emesse dalla Corte, giova ricordare che il rinvio pregiudiziale consente ai giudici degli Stati membri, nell'ambito di una controversia della quale sono investiti, di interpellare la Corte in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione, o alla validità di un atto dell’Unione. La Corte non risolve la controversia nazionale. Pertanto, spetta poi al Giudice nazionale risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte.

Ovviamente, tale decisione vincola egualmente gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile.

Brevi osservazioni conclusive

L’interpretazione fornita dalla Corte nell’occasione appare oggettivamente ineccepibile. È fin troppo ovvio che non si possa consentire un uso distorto – obiettivamente elusivo – di una norma la cui ratio ispiratrice è quella di garantire ai gruppi societari comunitari, uguali condizioni rispetto a quelle che godrebbero gli stessi gruppi societari se fossero localizzati in un unico Stato membro.

La Direttiva è stata emanata per evitare casi di doppia imposizione; non per consentire casi di doppia non-imposizione. A tal proposito, qualunque disposizione correttiva prevista negli Ordinamenti nazionali interni al fine di evitare simili comportamenti abusivi, non può di certo essere considerata contraria ai principi del diritto comunitario; ma, al contrario, perfettamente in linea con lo stesso, proprio in forza di quanto statuito nella stessa Direttiva:

“La presente Direttiva non pregiudica l’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali necessarie per evitare le frodi e gli abusi.”

La legittima conclusione cui si perviene è che la Direttiva “madre / figlia” non è applicabile – sempre e comunque – allorché abbiamo a che fare con un framework societario costituito da una società madre avente sede in uno Stato membro e una società figlia localizzata in un altro Stato membro. Detta Direttiva è applicabile solo laddove siano rispettate tutte le condizioni ivi previste, tra le quali, quella che prescrive che la società che riceve i dividendi in esenzione, a sua volta:

“Sia assoggettata, senza possibilità di opzione e senza esserne esentata, a una delle imposte elencate nell’allegato I, parte B, o a qualsiasi altra imposta che venga a sostituire una delle imposte sopraindicate.”

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