La consulenza tributaria è un'attività riservata ai professionisti iscritti ad un albo o ad un ordine. Senza l'iscrizione, il soggetto che la pone in essere è colpevole di esercizio abusivo della professione anche se ha avvertito il cliente della sua mancata appartenenza ad albi o ordini professionali. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, sesta sezione penale, nella sentenza n.33464 del 18 luglio 2018.
La Corte ha confermato la condanna di un professionista per esercizio abusivo della professione a un mese di reclusione e al risarcimento danni «per il reato di cui all'art 348 codice penale (esercizio abusivo di professioni) perché, agendo quale titolare di una ditta, egli esercitava abusivamente prestazioni professionali per le quali era richiesta l'iscrizione all'albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili o a quello dei consulenti del lavoro».
L'imputato ha contestato alla Corte il fatto che l'attività di consulenza tributaria rientrasse nel novero delle attività consentite ai lavoratori autonomi di cui alla legge 4/2013 (disposizioni in materia di professioni non organizzate). Sulla base della norma, nel ricorso veniva posto come criterio per individuare le attività consentite l'articolo 41 della Costituzione (libertà di iniziativa economica).
L'imputato, inoltre, ricordava che aveva avvertito il cliente della sua non iscrizione a ordine o albo professionale, affermando di agire in virtù di un'esperienza maturata negli anni.
Infine, veniva ricordato come il soggetto avesse ricevuto l'abilitazione a operare nel servizio telematico dell'Agenzia delle entrate (Entratel).
La Cassazione ha respinto tutti i motivi di ricorso presentati dal titolare della ditta-studio.
Per prima cosa viene contestata la natura dell'attività esercitata e i meccanismi che guidavano l'azione dell'azienda. Si tratta, infatti, di una Srl priva di dipendenti, riconducibile direttamente all'imputato, senza lavoratori abilitati e che si interfacciava direttamente con la clientela.
L'esercizio abusivo della professione viene giustificato dal fatto che «in assenza di abilitazione statale, l'esercizio si traduca in una pluralità di atti che, pur non riservati in via esclusiva alla competenza di una specifica professione, nel loro continuo, continuato e oneroso riproporsi, ingenerino una situazione di apparenza evocativa dell'attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato, con conseguente affidamento incolpevole della clientela».
La Corte afferma che l'art. 348 codice penale «diviene una norma penale in bianco», in quanto presuppone «l'esistenza di altre norme volte a individuare le professioni per le quali è richiesta la speciale abilitazione dello Stato e, con l'indicato titolo, le condizioni, soggettive e oggettive, tra le quali l'iscrizione in un apposito albo, in mancanza delle quali l'esercizio della professione risulta abusivo».
Premesso ciò, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso e condannato il soggetto che ha offerto la consulenza tributaria.
Fonte: Italia Oggi