Paolo Soro

Lavorare all’estero: Residente francese amministratore di società italiane

Versa i contributi previdenziali in Francia e dichiara i redditi in forza del principio sulla tassazione mondiale, il cittadino francese, ivi fiscalmente residente, che riveste la qualifica di consigliere di amministrazione in società aventi sede in Italia.

Tra i vari quesiti che, specialmente in questo periodo, ci vengono formulati, ne è pervenuto uno in materia di obblighi contributivi e fiscali concernenti un cittadino francese che lavora e risiede in Francia, e che ha percepito dei compensi da società italiane nelle quali ricopre la carica di consigliere di amministrazione. Le domande sono sostanzialmente due:

-          Deve pagare l'INPS sui compensi italiani?

-          Deve dichiarare nel suo imponibile contributivo francese, anche i redditi che hanno già scontato la ritenuta in Italia?

Considerata la particolarità relativa alla concomitante problematica di natura previdenziale (oltre a quella usuale prettamente tributaria) evidenziata nel quesito, che – dobbiamo riconoscerlo – di rado viene opportunamente valutata dai contribuenti (con possibili ricadute sanzionatorie a loro carico), riteniamo che la questione rivesta un interesse generale e sia meritevole di pubblicazione.

Incominciamo subito con l’affrontare la questione di carattere previdenziale.

Di norma, in ambito UE, si applica quanto disposto dal Regolamento 465/2012 (e successive modifiche e integrazioni), il quale – tra le altre cose – prevede:

“Nel suo ambito di applicazione, il presente Regolamento sostituisce ogni altra convenzione di sicurezza sociale applicabile tra gli Stati membri. Ciononostante, continuano ad applicarsi talune disposizioni di convenzioni di sicurezza sociale stipulate dagli Stati membri anteriormente alla data di applicazione del presente regolamento, nella misura in cui siano più favorevoli ai beneficiari o discendano da circostanze storiche specifiche e i loro effetti siano limitati nel tempo. Due o più Stati membri possono concludere tra loro, se necessario, convenzioni basate sui principi del presente Regolamento, tenendo conto del suo spirito.”

In sostanza, dunque, il Regolamento comunitario invita gli Stati membri a stipulare accordi che siano in linea con le generali previsioni stabilite a livello di Unione europea. Dopo di che, facendo riferimento a tali regole di base, occorre tenere in considerazione due principi fondamentali:

A)     Il principio di territorialità, in funzione del quale:

La persona che esercita un’attività nel territorio di uno Stato membro è soggetta alla legislazione di tale Stato anche se risiede nel territorio di un altro Stato membro.

B)     Il principio dell’unicità del rapporto assicurativo e previdenziale, per cui:

Non è ammessa una contestuale copertura assicurativa e previdenziale obbligatoria in più Paesi comunitari relativa alla stessa attività, anche se il corrispettivo complessivo è erogato in tutto o in parte nel Paese estero comunitario.

Ora, è evidente che, nel caso prospettato, tali principi sembrerebbero confliggere: stando, infatti, al principio di territorialità, il cittadino francese avrebbe l’obbligo di pagare l’INPS in Italia sui compensi ivi percepiti; senonché, posto che detto contribuente già regolarmente lavora, è assicurato e versa gli oneri sociali in Francia, in ossequio al secondo sopra richiamato principio, non avrebbe alcun obbligo previdenziale e assicurativo italiano.

Dobbiamo, allora, rifarci al Regolamento, il quale disciplina una serie di casi particolari, tra cui anche fattispecie analoghe a quelle di un consigliere di amministrazione, come quelle afferenti i lavoratori dipendenti e i lavoratori autonomi / professionisti, in generale.

A questo punto, si potrebbe discutere sul punto relativo al corretto inquadramento di un amministratore: se, cioè, tale soggetto sia assimilabile a un lavoratore dipendente, ovvero si possa di diritto ricomprendere nella categoria del lavoro autonomo. A parere di chi scrive, non esiste una risposta generale, occorrendo previamente esperire una corretta valutazione caso per caso in merito al grado di autonomia dell’amministratore.

Peraltro, considerato che, per entrambe le situazioni, il Regolamento prospetta identiche conseguenze in ordine agli obblighi contributivi nelle ipotesi di prestazione lavorativa (sia essa dipendente o autonoma) eseguita in due o più Paesi membri, la cosa appare francamente inutile in questa sede, in quanto inconferente agli effetti della risposta da fornire rispetto al quesito che è stato formulato.

Ebbene, la disposizione base fissata dal Regolamento è la seguente: se si lavora in diversi Paesi dell'UE, ma si svolge una parte sostanziale del lavoro nel Paese di residenza, si è coperti dal sistema previdenziale e assicurativo del Paese di residenza. Ciò, tenendo presente che con “una parte sostanziale del lavoro”, si intende almeno il 25% dell’orario lavorativo e/o del reddito; inoltre, se si è un libero professionista, anche il fatturato e il numero di servizi prestati potranno andare a incidere sul calcolo di tale percentuale.

Dunque, nel caso del “nostro” amministratore francese, i contributi e premi assicurativi si verseranno esclusivamente in Francia, con buona pace dell’INPS e dell’INAIL.

Tutt’altra questione è, invece, quella relativa alla tassazione dei compensi percepiti. Il principio (Worldwide Principle Taxation) è identico sia in Italia che in Francia: i redditi ovunque prodotti dovranno essere dichiarati dal contribuente nel Paese in cui ha la propria residenza fiscale, ferma restando l’applicazione del credito d’imposta nella maniera specificatamente prevista nella Convenzione contro le doppie imposizioni Italia-Francia.

In particolare:

L’art. 16 della Convenzione ci dice che:

I gettoni di presenza e le altre retribuzioni ricevute da un residente di uno Stato che esercita funzioni di direzione o di gestione in una società residente dell'altro Stato, o che è membro del consiglio di amministrazione o del collegio sindacale, sono imponibili in detto altro Stato.

L’art. 24 della Convenzione precisa che la doppia imposizione, per quanto concerne la Francia, è eliminata nella seguente maniera:

Gli utili e gli altri redditi che provengono dall'Italia e che sono ivi imponibili conformemente alle disposizioni della Convenzione, sono parimenti imponibili in Francia allorché sono ricevuti da un residente della Francia. L'imposta italiana non è deducibile ai fini del calcolo del reddito imponibile in Francia. Ma il beneficiario ha diritto a un credito d’imposta nei confronti dell'imposta francese nella cui base detti redditi sono inclusi. Detto credito d’imposta è pari (con riferimento ai citati redditi di cui all’art. 16): all'ammontare dell'imposta pagata in Italia conformemente alle disposizioni di detto articolo. Esso non può tuttavia eccedere l'ammontare dell'imposta francese relativa a tali redditi.

Quindi, possiamo concludere che, per i compensi percepiti in Italia, il cittadino francese in questione:

  1. paga le imposte in Italia su tali redditi
  2. dichiara detti redditi in Francia (in aggiunta a tutti gli altri propri), e utilizza il meccanismo del credito d’imposta, come sopra indicato dalla Convenzione Italia-Francia.

Prima di concludere, sempre in tema di residenza fiscale Italia-Francia, pare appena il caso di ricordare che, a differenza dell’Italia dove il periodo di riferimento non è mai frazionabile in mesi o giorni, in Francia l’esercizio fiscale viene diviso in caso di arrivo o di partenza in corso d’anno. Così, un contribuente che lascia la Francia per l’Italia in settembre, rimarrà non residente in Italia fino alla fine dell’anno in corso (mentre in Francia egli diventerà non residente dal momento della sua partenza).

Viceversa, se un contribuente italiano assume la residenza fiscale francese dopo che ha trascorso i fatidici 183/4 giorni in Italia, si troverà a dover affrontare le conseguenti problematiche connesse allo status di doppia residenza fiscale per un parte dell’anno. Tale situazione – a parere di chi scrive – non può essere risolta semplicemente per analogia, rifacendosi alle tie breaker rules, sul presupposto che il Commentario OCSE ne rende possibile l’applicazione, non solo all’intero periodo d’imposta, ma anche alle frazioni del medesimo in cui si verifica la doppia residenza; poiché si tratterebbe di una palese forzatura rispetto alla ratio effettiva della disposizione che non riguarda fattispecie come quella qui oggetto di analisi.

Le ipotesi di doppia residenza mediante il frazionamento del periodo d’imposta nel caso di trasferimenti in corso d’anno, in effetti, sono previste solo da alcuni Trattati bilaterali (Italia/Svizzera, Italia/Germania); ma non dall’attuale Convenzione in vigore tra l’Italia e la Francia.

L’Amministrazione Finanziaria, con la Risoluzione 471/E-2008, ha d’altronde chiarito che l’esistenza di norme convenzionali che disciplinano i casi in cui è possibile ricorrere al frazionamento del periodo d’imposta per risolvere situazioni di doppia residenza, esclude la possibilità di applicare questo principio in via analogico–interpretativa. Poiché il principio è stato già di fatto recepito dall’Ordinamento italiano, non è possibile estenderne l’applicazione a ipotesi disciplinate da Convenzioni diverse da quelle in cui è espressamente richiamato, in quanto verrebbe violato il principio di sovranità dei singoli Stati e il principio alla base del sistema delle Convenzioni bilaterali, prefigurato dal Modello OCSE.

Pertanto, allo stato attuale, l’unico personale consiglio che possiamo sentirci di dare – laddove ciò sia ovviamente possibile – è quello di programmare con attenzione e per tempo ogni eventuale modifica della residenza fiscale, in funzione del proprio caso specifico, facendosi assistere da professionisti esperti della materia, onde ottenere il risultato ottimale, nel pieno rispetto della vigente normativa internazionale.

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