Paolo Soro

OCSE – Le nuove raccomandazioni in materia di residenza

Lo scorso dicembre, l’OCSE ha pubblicato la versione del nuovo Modello Convenzionale (e relativo Commentario), offrendo delle importanti precisazioni anche in merito all’Art. 4 – “Resident”. Alcune di tali osservazioni rivestono una portata innovativa. Vediamo di che si tratta.

L’ultima versione del Modello Convenzionale è stata varata lo scorso 21 novembre 2017 dall’OCSE, e successivamente pubblicata in data 18 dicembre 2017; come noto, il testo precedente era datato luglio 2014. Tra i temi di più largo e rilevante impatto pratico, pare doveroso porre l’accento sul nuovo articolo 4 (in materia di residenza) e, soprattutto, su quanto pubblicato a tal riguardo nel Commentario.

In effetti, l’articolo in parola, fine a sé stesso, presenta esclusivamente un’implementazione del comma 3. Nella precedente versione, il paragrafo si limitava a stabilire che:

“Quando, per ragione delle previsioni di cui al paragrafo 1, una persona diversa da una persona fisica è residente di entrambi gli Stati Contraenti, allora deve essere ritenuta residente solamente del Paese nel quale si trova il luogo di effettiva amministrazione.”

Il nuovo Modello, invece, precisa che:

“Quando, in base alle disposizioni del paragrafo 1, una persona diversa da una persona fisica è residente di entrambi gli Stati contraenti, le Autorità competenti degli Stati contraenti si sforzano di determinare, di volta in volta, di comune accordo, qual è lo Stato di cui tale persona deve essere considerata residente ai fini della Convenzione, tenendo presente il luogo di effettiva amministrazione, il luogo in cui si trova incorporata o altrimenti costituita, e ogni altro fattore rilevante. In assenza di tale accordo, la ‘persona-non-fisica’ in questione non ha diritto alle agevolazioni e alle esenzioni fiscali disposte dalla presente Convenzione, salvo nella misura e secondo le modalità in cui queste sono concordate dalle Autorità competenti degli Stati contraenti.”

Dunque, abbiamo due precisazioni:

1)      Fermo restando che il primo criterio enunciato è sempre quello afferente il luogo di effettiva amministrazione (c. d., Place of Effective Management), le Autorità devono prendere in considerazione anche il luogo di incorporazione/costituzione, nonché altri eventuali fattori di rilievo.

2)      Fino a che le Autorità non risolvono la questione, la “persona-non-fisica” la cui residenza è oggetto di verifica non potrà godere delle agevolazioni e delle esenzioni fiscali convenzionali, salve quelle eventualmente espressamente concordate dalle Autorità degli Stati contraenti.

Peraltro, al di là del mero testo dell’articolo, rivestono particolare importanza (anche e in particolar modo con riferimento alla residenza delle persone fisiche) le precisazioni riportate dall’OCSE nel solito Commentario allegato al Modello.

Il concetto di "residente di uno Stato contraente" ha varie funzioni e appare di indubbia rilevanza nei seguenti tre casi:

a) determinare l'ambito di applicazione personale della Convenzione;

b) risolvere i casi in cui si verifica una doppia imposizione in conseguenza della doppia residenza;

c) risolvere i casi in cui si verifica una doppia imposizione in conseguenza dell'imposizione fiscale nello Stato di residenza e nello Stato di origine o di sede iniziale.

In entrambi questi due ultimi casi tipici di conflitto (tra due residenze – lettera b – e tra residenza e origine o sede iniziale – lettera c), la questione sorge perché, sulla base delle loro leggi nazionali, uno o entrambi Gli Stati contraenti sostengono che la persona interessata è residente nel proprio territorio.

Generalmente, le leggi nazionali dei vari Stati impongono una "Full Tax Liability" basata sul legame personale del contribuente con lo Stato interessato ("Stato di residenza"). Questa responsabilità fiscale non è imposta solo alle persone "domiciliate" in uno Stato, nel senso in cui il "domicilio" è di solito considerato dalle legislazioni. I casi di piena responsabilità fiscale, per esempio, comprendono anche persone che rimangono continuamente, o solo per un certo periodo, nel territorio dello Stato.

Esempio: Un individuo ha la sua dimora permanente nello Stato A, dove vivono sua moglie e i suoi figli. Ha avuto un soggiorno di oltre sei mesi nello Stato B e secondo la legislazione di quest'ultimo Stato egli è, in conseguenza della durata del soggiorno, tassato come residente di tale Stato. Quindi, entrambi gli Stati affermano che è completamente soggetto a tassazione nel proprio Stato. Questo è uno dei tipici conflitti che devono essere risolti dalla Convenzione.

Ebbene, nella suddetta ipotesi, di base l'articolo dà la preferenza alla richiesta dello Stato A (in ordine: abitazione permanente a disposizione e centro degli interessi vitali). Ciò non implica, tuttavia, che la disposizione stabilisca norme speciali sulla "residenza", giacché, nel caso in cui si verificano tali conflitti, occorre operare una scelta che deve necessariamente essere fatta tra le pretese dei due Stati.

Il paragrafo 1 fornisce una definizione dell'espressione "residente dello Stato contraente "ai fini della Convenzione. La definizione si riferisce al concetto di residenza adottato nelle leggi nazionali. Come criteri per la tassazione, la definizione menziona: domicilio, residenza, luogo di gestione o qualsiasi altro criterio di natura analoga. Per quanto riguarda le persone fisiche, la definizione mira a riscontrare le varie forme di personale attaccamento a uno Stato che, nelle leggi fiscali nazionali, costituisce la base della tassazione globale. Inoltre, riguarda quella particolare fattispecie, in funzione della quale una persona è ritenuta, secondo le leggi fiscali di uno Stato, residente dello stesso e ivi soggetta a tassazione.

Cionondimeno, una persona fisica non deve essere considerata "residente dello Stato contraente" nel senso della Convenzione se, pur non essendo domiciliato in tale Stato, è considerato esserne un residente secondo le leggi nazionali.

Per risolvere il conflitto, allora, devono essere stabilite delle regole speciali che diano priorità al concreto attaccamento della persona a uno Stato, piuttosto che all’altro. Per quanto possibile, il criterio di preferenza da assumere deve essere di natura tale che non possano sussistere dubbi sul fatto che, in base a detto criterio, la persona debba essere considerata residente solamente in uno Stato, riflettendo un attaccamento per il quale appare naturale che il diritto di tassare la persona sia appunto devoluto in esclusiva a tale Stato.

Inoltre, i fatti a cui si applicano le regole speciali sono quelli esistenti durante il periodo in cui la residenza del contribuente incide sulla responsabilità fiscale: questo periodo, peraltro, può ben essere inferiore rispetto all’anno fiscale.

Esempio: Nel corso di un anno, un individuo è residente dello Stato A, ai sensi delle leggi fiscali di detto Stato, dal 1° gennaio al 31 marzo; dopo di che, la persona si trasferisce nello Stato B. Poiché l'individuo risiede nello Stato B per più di 183 giorni, viene trattato dalla legislazione fiscale dello Stato B come residente dello stesso Stato per l'intero anno. Tuttavia, applicando le regole speciali al periodo che va dal 1° gennaio al 31 marzo, l'individuo era residente dello Stato A in questa prima parte dell’anno. Pertanto, sia lo Stato A che lo Stato B dovrebbero trattare l'individuo come residente dello Stato A per questo primo periodo, e come residente dello Stato B per il restante periodo dell’anno (1° aprile – 31 dicembre). Ma, come noto, in Paesi come l’Italia o la Spagna, la legge nazionale considera, agli effetti della definizione di “residente dello Stato”, solo l’intero anno, e non una parte di esso.

L'articolo, inoltre, dà la preferenza allo Stato contraente in cui l'individuo ha un’abitazione permanente a sua disposizione. Questo criterio riveste carattere prioritario e dovrebbe essere spesso da solo sufficiente a risolvere il conflitto (esempio, quando l'individuo ha un’abitazione permanente in uno Stato contraente e ha fatto solo una sosta di una certa lunghezza nell'altro Stato contraente).

Più in dettaglio, nell'applicazione della Convenzione, si considera la residenza come luogo in cui l'individuo possiede una casa. Questa casa deve essere permanente; vale a dire, che l'individuo deve averla organizzata e mantenuta per il suo uso permanente; dunque, non in condizioni tali da risultare evidente che il soggiorno sia destinato a essere di breve durata.

Per quanto riguarda il concetto di casa, va poi osservato che ogni forma di casa può essere presa in considerazione (casa o appartamento di proprietà o affittati dall’individuo, stanza arredata in affitto, etc.). Ma il mantenimento della casa e la permanenza dell’individuo al suo interno restano i fattori essenziali da analizzare. Questo significa che l'individuo deve avere organizzato le cose in modo da avere a disposizione l'abitazione continuamente, e non occasionalmente per lo scopo di un soggiorno, il quale, a causa delle ragioni dello stesso, è necessariamente di breve durata (viaggi per piacere, viaggi d'affari, viaggi educativi, stage formativi, frequenze di corsi di studio, scuole, etc.).

Esempio: Una casa di proprietà di un individuo non può essere considerata disponibile per quell'individuo durante un particolare periodo, se la casa è stata affittata e comunque effettivamente consegnata ad altri, di modo che l'individuo non ne abbia più l’effettivo possesso e la possibilità di dimorarvi. Ovviamente, la documentazione da cui si rileva tale status dovrà riportare una data certa e sottostare agli eventuali obblighi di registrazione imposti dalla legge nazionale dello Stato di riferimento (ossia, sarà oggetto di opportuna verifica e valutazione da parte delle Autorità competenti).

Se l'individuo ha un’abitazione permanente in entrambi gli Stati contraenti (come prima ricordato), l’articolo dà la preferenza allo Stato nel quale vi sono i rapporti personali ed economici dell'individuo (da intendersi come centro degli interessi vitali). Nei casi dove la residenza non può essere determinata in riferimento a questa regola, la disposizione fornisce, quali criteri sussidiari, in primo luogo, la dimora abituale e dopo la nazionalità. Se, poi, l'individuo è cittadino di entrambi gli Stati o di nessuno di essi, la domanda deve essere risolta di comune accordo tra gli Stati interessati attivando le MAP di cui all’art. 25 del Modello Convenzionale.

Riassumendo, dunque, laddove l'individuo abbia un’abitazione permanente a disposizione in entrambi gli Stati contraenti, sarà necessario analizzare adeguatamente tutti gli altri fattori legati alla vita dell’individuo, onde poter accertare qual è lo Stato nel quale egli mantiene i suoi rapporti personali ed economici. Quindi, si terrà conto della sua famiglia e delle relazioni sociali, delle sue occupazioni, delle sue attività politiche, culturali o di altro tipo, del suo luogo di affari, del luogo da cui amministra la sua proprietà, etc. Le circostanze devono essere esaminate nel suo insieme; ma è comunque ovvio che dovrà essere data priorità alle considerazioni che sono basate sugli atti personali dell'individuo.

Esempio: Se una persona ha una casa in uno Stato e ne predispone una seconda in un altro Stato, pur mantenendo la prima, il fatto che si tenga a disposizione la prima nell'ambiente in cui ha sempre vissuto, dove lui ha lavorato, e dove ha la sua famiglia e le sue proprietà, può, insieme eventualmente anche ad altri elementi, dimostrare che ha comunque inteso mantenere il suo centro di interessi vitali nel primo Stato.

La disposizione in parola stabilisce in ogni caso un criterio secondario per due differenti situazioni:

a) il caso in cui un individuo ha un’abitazione permanente a sua disposizione in entrambi gli Stati contraenti e non è possibile determinare in quale dei due abbia il suo centro di interessi vitali;

b) il caso in cui l'individuo non ha un’abitazione permanente a sua disposizione in alcuno dei due Stati contraenti.

Secondo quanto ribadisce anche il Commentario OCSE, la preferenza deve allora essere data allo Stato contraente in cui l'individuo ha una dimora abituale.

Nella prima situazione (casa permanente a disposizione in entrambi gli Stati), il fatto di avere una dimora abituale in uno Stato, ma non così nell'altro, appare quindi circostanza determinante, in caso di dubbio, circa il luogo nel quale l'individuo ha inteso stabilire il proprio centro degli interessi vitali; quindi, in sostanza, lo Stato in cui l’individuo rimane più frequentemente. A tal proposito, occorrerà tenere conto, non solo dei soggiorni effettuati dall’individuo presso la casa permanente che ha a disposizione nello Stato in questione, ma anche della sua eventuale permanenza in ogni altro luogo dello stesso Stato.

Nella seconda situazione (individuo che non ha una casa permanente a disposizione in alcuno dei due Stati contraenti – esempio: una persona che si sposta da uno hotel a un altro), tutti i soggiorni effettuati in uno Stato devono essere considerati senza necessariamente accertarne le ragioni. Ciò, poiché la continua frequentazione dell’individuo all’interno di un particolare Stato, di regola, ne connota anche il relativo centro effettivo dei suoi rapporti e interessi vitali.

In pratica, la disposizione richiede di determinare dove l'individuo viva abitualmente, nel senso di essere maggiormente presente in uno dei due Stati, durante il periodo considerato. Cionondimeno, il test non sarà soddisfatto semplicemente determinando in quale dei due Stati contraenti l'individuo ha trascorso più giorni durante quel periodo.

In proposito, la locuzione "Séjourne de façon habituelle", utilizzata nella versione francese del Modello, fornisce un’utile aiuto circa il significato da dare al termine "dimora abituale": la nozione fa riferimento a frequenza, durata e regolarità dei soggiorni, che fanno parte della routine di vita dell'individuo. Per un individuo è senz’altro possibile avere una dimora abituale nei due Stati, indipendentemente dal fatto che abbia trascorso più giorni in uno Stato, rispetto che nell'altro.

Esempio: Per un periodo di cinque anni, l'individuo possiede una casa in entrambi gli Stati A e B, ma i fatti non consentono di determinare lo Stato in cui si trova il centro degli interessi vitali dell'individuo. L'individuo lavora nello Stato A, dove vive abitualmente; ma ritorna nello Stato B due giorni al mese e una volta all'anno per una vacanza di tre settimane. In tal caso, l'individuo avrà una dimora abituale nello Stato A, ma non nello Stato B. Supponiamo, tuttavia, che oltre lo stesso periodo di cinque anni, l'individuo lavora brevi periodi di tempo nello Stato A, dove ritorna 15 volte all'anno per soggiorni di due settimane ogni volta; è, però, presente nello Stato B il resto del tempo. Inoltre, presupponiamo che, nella concreta fattispecie, non sia possibile determinare qual è lo Stato in cui si trova il centro degli interessi vitali dell'individuo. In questo caso, l'individuo avrà dunque una dimora abituale sia nello Stato A che nello Stato B.

La disposizione non specifica per quanto tempo deve essere accertata la dimora abituale in uno o in entrambi gli Stati. Tale accertamento deve coprire un periodo di tempo sufficiente perché sia possibile – come appena precisato – determinare la frequenza, la durata e la regolarità dei soggiorni che fanno parte della routine stabilita dall'individuo per la propria vita. Bisogna fare attenzione, tuttavia, a considerare un periodo di tempo durante il quale non ci siano stati grandi cambiamenti di vita personali, che possano chiaramente influenzare detta verifica (esempio: una separazione o un divorzio).

Ciò detto, il periodo rilevante allo scopo di determinare se una persona ha una dimora abituale in uno o in entrambi gli Stati non corrisponderà sempre al periodo di doppia residenza, specie se tale periodo di doppia residenza è molto breve.

Esempio: Un singolo residente dello Stato C si trasferisce nello stato D a lavorare per un periodo di 190 giorni. Durante questo periodo di 190 giorni, viene considerato residente di entrambi gli Stati C e D ai sensi delle rispettive normative fiscali nazionali. L'individuo ha vissuto nello Stato C per molti anni prima di trasferirsi nello Stato D; rimane nello Stato D per l'intero periodo della sua occupazione; e ritorna nello Stato C per viverci permanentemente alla fine del periodo di 190 giorni. Ebbene, laddove, durante il periodo del suo impiego nello Stato D, l'individuo non abbia un’abitazione permanente a sua disposizione in entrambi gli Stati C e D, la determinazione circa la dimora abituale dell’individuo in uno o in entrambi gli Stati, dovrà considerare opportunamente un periodo di tempo più lungo del periodo di 190 giorni di doppia residenza, al fine di accertare frequenza, durata e regolarità dei soggiorni che facevano parte della routine stabilita dall’individuo per la propria vita.

Infine, la disposizione prevede che se l'individuo ha una dimora abituale in entrambi gli Stati contraenti (ovvero, in nessuno dei due), la preferenza deve essere data allo Stato di cui è cittadino. Se, poi, in questi casi, l'individuo è cittadino di entrambi gli Stati contraenti (ovvero, di nessuno dei due), le Autorità competenti hanno il dovere di risolvere la situazione di comune accordo secondo le già più volte ricordate procedure amichevoli di cui all’art. 25 del Modello Convenzionale.

Per quanto riguarda, invece, le società, devono essere presi in considerazione fattori specifici, come a esempio: dove si svolgono le riunioni del consiglio di amministrazione, dove l'amministratore delegato e gli altri alti dirigenti di solito svolgono le loro attività, dove viene attuata giorno per giorno la gestione della società, dove si trova la sede della società, dove è tenuta la contabilità e sono conservati i registri, indipendentemente dal fatto che la persona giuridica sia residente in uno dei Paesi.

In generale, come già premesso, quando una “persona-non-fisica” è residente di entrambi gli Stati contraenti, si considera residente dello Stato in cui si trova la sua sede di direzione effettiva (Place of Effective Management).

L’eventuale richiesta di MAP in proposito, potrà essere presentata non appena è probabile che la società sarà considerata residente di ciascuno Stato contraente. La MAP deve concludersi, al massimo, entro tre anni dalla prima notifica. Ciononostante, le Autorità competenti a cui è presentata una richiesta di accertamento della residenza, dovrebbero occuparsene in modo rapido e comunicare la risposta al contribuente il prima possibile. Inoltre, poiché i fatti su cui si baserà la decisione possono cambiare nel tempo, le Autorità competenti che raggiungono una decisione dovrebbero chiarire quali siano periodi di tempo coperti da tale decisione.

In assenza di risposta da parte delle Autorità competenti, abbiamo in precedenza già avuto modo di richiamare l’attenzione sul nuovo testo della norma, il quale determina che la società con doppia residenza non ha diritto ad alcuno sgravio o esenzione ai sensi della Convenzione, salvo nella misura e secondo le modalità in cui può essere concordato dalle rispettive Autorità competenti.

In conclusione, appare opportuno rappresentare che alcuni Paesi hanno espresso particolari riserve in merito alle precisazioni fornite dall’OCSE nel Commentario qui oggetto di esame.

Per esempio, la Spagna, a causa del fatto che, secondo la sua legge interna, l'anno fiscale coincide con l'anno solare e non vi è alcuna possibilità di ritenere concluso un periodo fiscale infrannuale, non sarà in grado di procedere in conformità con la previsione OCSE di riferimento (prima evidenziata). In questo caso, sarà dunque necessaria una MAP per accertare la data a partire dalla quale il contribuente sarà considerato residente di uno degli Stati contraenti.

In proposito, dobbiamo presumere che lo stesso potrà accadere pure per l’Italia, considerato che anche nel nostro Paese la legge nazionale dispone in modo analogo circa la durata del periodo fiscale.

L'Ungheria, poi, non condivide appieno l'interpretazione del Commentario riguardo al termine "dimora abituale". Per essere maggiormente precisi, detta nazione ritiene che, nell'esame delle varie priorità, la dimora abituale di una persona debba essere considerata sempre in funzione del numero dei giorni di presenza in ciascuno Stato, rispetto a un determinato periodo di tempo.

In tema di residenza delle società, inoltre, il Giappone e la Corea ritengono si debba fare riferimento al termine “capo o ufficio principale”, anziché a quello "luogo di effettiva gestione".

Ancora, la Francia si riserva il diritto di modificare l'articolo nelle sue Convenzioni fiscali con l’Italia, al fine di specificare che i partenariati francesi, di regola, devono essere considerati comunque residenti in Francia.

Gli Stati Uniti, dal canto loro, si riservano il diritto di utilizzare prioritariamente il luogo di prova dell’incorporazione/costituzione, al fine di poter determinare la residenza di una società.

Le riserve espresse dal Portogallo e dalla Svezia concernono nello specifico i fondi pensione. Tali nazioni si riservano, infatti, il diritto di trattare i fondi pensione secondo la definizione generale di "residente", o eventualmente con speciale concordato bilaterale. D’altronde, considerato il particolare regime fiscale e contributivo di favore esistente in Portogallo con riferimento ai redditi pensionistici, la riserva in parola era più che presumibile.

Israele si mostra, viceversa, particolarmente “sensibile” in materia di trust. La riserva espressa, invero, concerne il diritto di includere una specifica disposizione separata relativamente ai trust che risultino eventualmente residenti di entrambi gli Stati contraenti.

Per concludere questo elenco esemplificativo, ricordiamo le posizioni di Estonia e Lettonia, le quali, in maniera abbastanza analoga agli Stati Uniti, si riservano il diritto di considerare, come criterio prioritario concernente la determinazione della residenza delle società, il luogo d’incorporazione/costituzione, o altro simile criterio.

Ricapitolando, possiamo affermare che alcune precisazioni (come, per esempio, quella relativa alla durata del periodo di presenza delle persone fisiche in uno Stato estero, onde determinarne la residenza), vanno ad assumere un’indubbia portata innovativa rispetto all’attuale situazione, nella quale, detto fattore appariva determinante fine a sé stesso.

L’OCSE ha, evidentemente, preso coscienza delle svariate anomalie che, nella pratica, si venivano a creare in conseguenza della normativa previgente, e ha pensato bene di implementare (specie, attraverso il Commentario) le raccomandazioni precedentemente dettate, onde fornire maggiori elementi di valutazione alle Autorità competenti.

Resta il fatto che, perlomeno a parere di chi scrive, non sempre tali ulteriori precisazioni paiono costituire un utile contributo in termini di chiarezza e semplificazione, al fine di determinare con facilità l’effettivo luogo di residenza fiscale delle persone fisiche e delle società: da un organismo come l’OCSE, sarebbe lecito aspettarsi molto di più.

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