Paolo Soro

Presunzione distribuzione utili ai soci delle SRL

Secondo una consolidata elaborazione giurisprudenziale della Corte di Cassazione: “Gli utili extra-bilancio della società di capitali a ristretta base azionaria o a base familiare si presumono distribuiti ai soci, salvo la loro prova contraria.” Ciò, perché: “nel caso di società di capitali a ristretta base azionaria ovvero a base familiare, pur non sussistendo – a differenza di una società di persone – una presunzione legale di distribuzione degli utili ai soci, non può considerarsi illogica – tenuto conto della “complicità” che normalmente avvince un gruppo così composto – la presunzione (semplice) di distribuzione degli utili extracontabili ai soci”.

Secondo una consolidata elaborazione giurisprudenziale della Corte di Cassazione: “Gli utili extra-bilancio della società di capitali a ristretta base azionaria o a base familiare si presumono distribuiti ai soci, salvo la loro prova contraria.” Ciò, perché: “nel caso di società di capitali a ristretta base azionaria ovvero a base familiare, pur non sussistendo – a differenza di una società di persone – una presunzione legale di distribuzione degli utili ai soci, non può considerarsi illogica – tenuto conto della “complicità” che normalmente avvince un gruppo così composto – la presunzione (semplice) di distribuzione degli utili extracontabili ai soci”.
La prima osservazione da fare riguarda quale sia il numero dei soci ai di sotto del quale una SRL possa definirsi “a ristretta base sociale”: la Suprema Corte non provvede a dare un parametro, però è arrivata a considerare “a ristretta base sociale”, persino una SRL con 6 soci appartenenti a 3 nuclei familiari estranei tra loro, nonché una SRL co n 5 soci senza legami di parentela.
Orbene, posto che, per il socio, fornire una prova contraria a tale presunzione appare assai arduo, vediamo di capire come potrebbe argomentarsi una difesa in contenzioso.
In base all’art. 2727 del codice civile: “Le presunzioni sono le conseguenze che il giudice trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignoto.” Ciò posto, in virtù del divieto di doppia presunzione (c.d. presunzione di secondo grado), il f atto ignoto a cui si risale tramite la presunzione può essere desunto solo partendo da uno o più fatti noti, e no n invece da un’altra presunzione (così, almeno, ha avuto modo di esprimersi la stessa Cassazione in altra occasione).
Nella fattispecie in esame, però, l’accertamento si basa su due distinte presunzioni:
1.    l’esistenza di un maggior reddito della società rispetto a quello dichiarato, accertato, di regola, induttivamente;
2.    l’avvenuta distribuzione ai soci di tale maggio r reddito accertato induttivamente in capo alla società.
Parrebbe, dunque, che la presunzione di distribuzione degli utili extra-contabili sia basata, non su fatti noti, ma su un’altra presunzione, così divenendo presunzione di secondo grado, come tale, non valida.
Peraltro, secondo la Cassazione : “Nel caso di società a ristretta base sociale, è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili, la quale non viola il divieto di presunzione di secondo grado, poiché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale“.
Sempre a parere della Cassazione: “Lo scarso numero dei soci si converte nel dato qualitativo della maggiore conoscibilità degli affari societari. La giuridicità di tale situazione oggettiva si esprime attraverso la sottoposizione del socio all’onere di conoscere, della cui osservanza egli può dare anche prova positiva, attraverso la dimostrazione dei fatti relativi al processo cognitivo, ossia dei fatti impeditivi della conoscibilità, dei comportamenti adottati per acquisire la conoscenza che siano risultati vani, così che si giustifica anche il suo stato di ignoranza, e dei comportamenti volti a far valere la responsabilità dei gestori della società per le anormalità contabili.”
Personalmente, non possiamo – molto immodestamente – condividere tale ragionamento.
Quanto alla doppia presunzione, se l’automatica distribuzione ai soci del reddito avviene sulla base di quanto dichiarato dalla società, è evidente che non esiste una doppia presunzione; ma nel caso in cui, detta ultima presunzione riguardi un reddito accertato in maniera induttiva (ossia, presuntivamente) in capo alla società, a me pare indubbio che la successiva presunzione di automatica distribuzione ai soci di tale maggior valore accertato derivi, non da fatti noti, ma – appunto – solo da una precedente ulteriore presunzione, divenendo automaticamente una presunzione di secondo grado.
Con riferimento, poi, al vincolo di solidarietà e/o di complicità tra i soci, nonché tra questi e l’organo amministrativo, nella pratica, semmai, è spesso vera l’ipotesi contraria: col trascorrere del tempo, i rapporti sociali tendono a deteriorarsi, e taluni soci adottano comportamenti in danno degli altri (esempio: il socio amministratore si impossessa di utili in nero della cui esistenza gli altri soci sono ignari).
Oltre a ciò, posto che, secondo quanto stabilito dall’art. 2476 codice civile, il controllo sullo svolgimento degli affari sociali è un diritto dei so ci, che non può in alcun caso trasformarsi in un onere, è assai improbabile che i soci possano effettuare specifici controlli sulla gestione fiscale dell’azienda.
Ma, laddove esistesse detto vinco lo di solidarietà o complicità tra i soci, no n è affatto detto che il maggior  reddito accertato fosse stato effettivamente distribuito ai soci, ben potendo essere stato reinvestito nel l’attività imprenditoriale per f are acquisti in nero o per retribuire dipendenti in nero. E, soprattutto, se anche gli utili extra-contabili fossero stati effettivamente distribuiti, no n è dato sapere co n certezza co n quali proporzioni sia avvenuta la distribuzione tra i so ci, né quale sia stato il pe riodo effettivo di distribuzione.
Infine, la Suprema Corte sembra dimenticare completamente la ratio che ha spinto il legislatore a regolamentare le SRL: tale forma societaria è stata prevista proprio per andare incontro alle esigenze di un numero ristretto di soci che, volendo approfittare del principio della limitatezza della responsabilità personale al solo capitale di finanziamento, accettano di delegare l’amministrazione a un terzo soggetto (che può essere anche un non-socio, o un’altra SRL a sua volta), per costituire un’entità di ridotte dimensioni. Nella pratica, la stragrande maggioranza di SRL è sempre a ristretta base sociale; in caso contrario, i soci propendono per le SPA o, per altri versi, per le cooperative.
Francamente, pensare che solo nelle SRL dove vi siano (quanti?) 10/20 soci non parenti fra di loro, sia inapplicabile la presunzione di automatica distribuzione degli utili ai soci, significa ragionare senza conoscere nemmeno minimamente la realtà, tanto da creare, di fatto, una nuova norma di legge avente validità praticamente generale (come, del resto, per analogia, è già successo in materia di obbligatoria iscrizione alla Gestione IVS commercianti per tutti i soci delle SRL svolgenti attività commerciale).
Un altro elemento particolarmente rilevante da prendere in considerazione deriva direttamente dalla normativa tributaria e attiene alla tipologia della presunzione in questione: si tratta di una presunzione semplice, e di conseguenza, in base a quanto stabilito dall’art.  art . 38 c.3 de l DPR 600/73, no n può essere utilizzata per rettificare il reddito imponibile delle persone fisiche, a meno che sia supportata da ulteriori elementi indiziari che la rendano grave , precisa e concordante.
L’orientamento della Cassazione è quello di ritenere che i requisiti di gravità, precisione e concordanza siano integrati dall’unico elemento indiziario del ristretto numero di soci, che assume una rilevanza tale da consentire l’inversione dell’o nere della pro va a carico del socio, il quale dovrà quindi dimostrare di no n aver ricevuto utili extra-contabili.
Al riguardo, occorre dire che, in tema di presunzioni semplici, la Suprema Corte ha già avuto modo di evidenziare come: “Gli elementi assunti a fonte di presunzione non debbono essere necessariamente plurimi, potendosi il convincimento del giudice fondarsi anche su un elemento unico, preciso e grave.” Peraltro, proprio per le varie ragioni in precedenza esposte, sembrerebbe indubbio che, nel caso di specie, l’elemento indiziario della ristretta base sociale no n possa racchiudere in sé tali requisiti di precisione e gravità. E, d’altronde, la stessa Cassazione – di recente (2009) – ha chiarito che: “l’attribuzione ai so ci di un maggio r reddito no n si può risolvere in un’affermazione apodittica che costituisce solo una motivazione apparente”, ma è necessario invece che la sentenza spieghi sulla base di quali “elementi concreti” il giudice abbia ritenuto fondato l’accertamento  (esempio: eventuali movimenti bancari del socio, l’acquisto da parte sua di beni di particolare valore no n giustificabile col solo reddito dichiarato o qualunque altro indice concreto di maggior reddito non giustificato) . In ogni caso , si tratta di un’unica pronuncia: l’orientamento generale della Giurisprudenza di Legittimità obbliga il socio all’onere di fornire la prova contraria rispetto alla presunzione di distribuzione degli utili extra-contabili.
Quale potrebbe essere, dunque, tale prova contraria?
In primo luogo , il socio può fornire la pro va contraria circa l’esistenza di rapporti di solidarietà, complicità e reciproco controllo nella gestione sociale, per esempio, documentando ogni eventuale richiesta di chiarimenti o contestazione mossa agli amministratori relativamente alla gestione sociale; facendo verbalizzare puntualmente in assemblea ogni obiezione; in generale, evidenziando documentalmente ogni altra circostanza che consenta di dimostrare la sua estraneità alla gestione sociale o l’inesistenza di vinco li di solidarietà co n gli altri so ci e/o co n l’amministrato re. Per quanto, è evidente, come, nella pratica, questo avvenga solo allorquando ci si trovi in una situazione di aperto contrasto all’interno della società e, pertanto, appare difficile essere in grado di documentare una simile tipologia probatoria.
In secondo luogo , il socio potrà fornire la pro va contraria rispetto all’avvenuta distribuzione degli utili, dimostrando che gli stessi so no stati accantonati presso la società (a esempio: in caso di ingiustificato accrescimento delle disponibilità finanziarie sul c/c della società), oppure reinvestiti nell’attività d’impresa (esempio: per pagare acquisti in nero o dipendenti in nero ), o ancora distribuiti solo ad alcuni soci o all’amministratore.
Tutto ciò, peraltro, in pratica risulta assai aleatorio e particolarmente difficile. Stiamo, infatti, parlando del verificarsi di un accertamento induttivo (ossia, presuntivo) a carico della società. Se tale accertamento, per quanto ammesso dalla normativa fiscale, non corrisponde alla realtà dei fatti (vale a dire: non si è verificato alcun maggior reddito rispetto a quanto dichiarato), è chiaro che non sarà mai possibile per il socio riuscire a fornire la prova sul fatto che questo presunto maggior reddito sia stato poi utilizzato per accrescere ingiustificatamente il patrimonio di altri soggetti (siano essi la stessa società, l’amministratore, gli altri soci, o terze persone).
Ergo, salvo rarissimi casi, siamo di fronte a un’ipotesi giurisprudenziale – a mio parere – iniqua e contro la quale appare di fatto impossibile difendersi. Si può solo auspicare che tale inopinato orientamento venga a mutare col tempo, ovvero che vi sia un qualche intervento del legislatore al riguardo.

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