Paolo Soro

Ravvedimento su fatture false: la Cassazione contraddice il Fisco

Continua la vexata quaestio della emendabilità delle fatture false tramite l’istituto del ravvedimento operoso.

A pochi giorni dalla diramazione “ufficiosa” delle risposte dell’Amministrazione finanziaria ad alcuni quesiti in materia, risposte con le quali veniva ribadito il veto alla correzione amministrativa della condotta fraudolenta, la terza sezione penale della Corte di Cassazione si esprime in direzione diametralmente opposta. Ci si augura che la posizione dell’Amministrazione finanziaria non venga “ratificata” e che, anzi, la sentenza della Cassazione fornisca lo spunto per un intervento di prassi ossequioso della riforma del D.Lgs. n. 74/2000. Anche per non dare vita ad un pericoloso “dualismo” tra riverbero amministrativo e penale del ravvedimento.

È completamente divergente l’opinione in materia di emendabilità delle fatture per operazioni inesistenti mediante il ravvedimento operoso tra l’Amministrazione finanziaria e la Suprema Corte di Cassazione: e la “tesi” e la “antitesi”, da ultimo, hanno singolarmente riecheggiato nell’ambito di pochi giorni l’una dall’altra.

La prima a prendere - nuovamente - posizione è stata l’Amministrazione finanziaria, segnatamente, con la Guardia di Finanza, coinvolta in questa tornata di eventi anche grazie alla recente diramazione della circolare n. 1/2018.

Ebbene, il quesito formulato riguardava un “processo verbale di constatazione” dal quale emergono violazioni relative all’utilizzo in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti: la domanda concerneva la possibilità del ricorso all’istituto del ravvedimento operoso al fine di permettere al contribuente di fruire dei benefici previsti dal D.Lgs. n 74/2000.

Segnatamente, si tratta di quanto previsto dall’art. 13-bis del citato decreto legislativo il quale, in materia di attenuanti, prevede come fuori dai casi di non punibilità previsti per i reati cosiddetti “dichiarativi”, le pene per tutti i restanti delitti sono diminuite fino alla metà e non si applicano le pene accessorie indicate se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie: peraltro, per i medesimi delitti l'applicazione della pena su richiesta, il cosiddetto “patteggiamento”, può essere chiesta dalle parti solo quando ricorra la descritta circostanza.

Ebbene, la Guardia di Finanza nel fornire la risposta al quesito formulato ha ritenuto che debba essere esclusa l’applicazione del ravvedimento operoso alle ipotesi di frode a mezzo di fatture per operazioni inesistenti e alle altre fattispecie fraudolente previste in ambito penale tributario.

Ciò in ragione del fatto che, secondo la circolare del pro tempore Ministero delle finanze n. 180/E/1998, diramata in materia di sanzioni amministrative tributarie, l’istituto deflativo permetterebbe di regolarizzare soltanto gli errori e le omissioni che non derivano da un comportamento doloso.

La tesi non convince e non è condivisibile: si tratta di una posizione “antistorica”, ancorata ad un’interpretazione datata e, soprattutto, superata dall’evoluzione normativa.

Il (ri)posizionamento sulla circolare n. 180/E non tiene evidentemente conto della nuova ratio che ispira tanto il ravvedimento quanto il diritto penale tributario.

Va, innanzitutto, rilevato che l’evoluzione dell’istituto deflativo verso la piena utilizzabilità anche durante e post conclusione delle operazioni di controllo, comunque nel rispetto del limite temporale della notifica dell’atto impositivo, depone incontrovertibilmente per una ratio del Legislatore volta comunque a stimolare e favorire la compliance del contribuente.

Fa il paio a detta ratio anche quella che ha ispirato l’avvento nel sistema penale tributario della “non punibilità” e della “attenuante” specifica per i delitti ivi contemplati, a condizione che il contribuente estingua entro il termine dibattimentale il complessivo debito tributario (articoli 13 e 13-bis, D.Lgs. n. 74/2000).

Perciò la posizione della Guardia di Finanza - peraltro, è bene sottolinearlo, ancora “ufficiosa” - appare “antistorica” e, a causa di un recente intervento giurisprudenziale, anche dissonante dal corso tracciato dalla Suprema Corte di Cassazione.

Con la recente sentenza della Terza sezione penale, la n. 5448/2018, i Giudici di legittimità, chiamati a pronunciarsi sulla necessità della sussistenza delle condizioni previste dall’art. 13-bis del D.Lgs. n. 74/2000 per l’ammissione all’applicazione della pena su richiesta ex art. 444 del c.p.p., hanno infatti ribadito come “l’art. 13-bis, comma 2, D.Lgs. n. 74 del 2000, nella formulazione introdotta dall’art. 12, comma 1, D.Lgs. n. 158 del 2015, stabilisce espressamente che, per i delitti di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, l’applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. può essere chiesta dalle parti solo quando ricorra la circostanza di cui al comma 1, ossia l’integrale pagamento, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, dei debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi - e sempre che non si tratti dei reati di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, D.Lgs. n. 74 del 2000 in relazione ai quali l’integrale pagamento del debito tributario configura una causa di non punibilità - ovvero in presenza di ravvedimento operoso - ad eccezione, in tal caso, dei reati di cui agli articoli 4 e 5, D.Lgs. n. 74 del 2000, in relazione ai quali il ravvedimento operoso integra parimenti una causa di non punibilità”.

Come si rileva, quindi, la posizione della massima giurisprudenza ribadisce la portata “onnicomprensiva” dell’attenuante dell’art. 13-bis, al di fuori dei casi idonei a generare la “non punibilità”, riferendosi puntualmente alla generalità dei delitti, senza operare alcuna distinzione come, invece, emergerebbe dalla risposta fornita al quesito.

Non resta che augurarsi, quindi, che detta posizione non sia “ratificata” nella consueta circolare dell’Agenzia delle Entrate e che, anzi, la citata sentenza fornisca lo spunto per un intervento di prassi ossequioso della riforma del D. Lgs. n. 74/2000 e del corso giurisprudenziale che alla stessa si ispira.

Anche per non dare vita ad un pericoloso “dualismo” tra riverbero amministrativo e penale del ravvedimento del quale, per le anzidette ragioni, non si avverte assolutamente il bisogno, che si rivelerebbe idoneo soltanto ad alimentare nuove ed ingiustificate liti fiscali.

Fonte: Ipsoa

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