Paolo Soro

Siamo uomini o caporali?

Riflessioni di un commercialista italiano a inizio d’anno.

Stimati Colleghi, questa mattina ho pensato di valutare a fondo le insidie che dovremo affrontare per scalare la prossima montagna, inopinatamente inserita dai governanti sulla via della professione: mi riferisco allo spauracchio della fatturazione elettronica che, salvo improvvisi e allo stato non preventivabili mutamenti di rotta, a partire dal 1° gennaio del prossimo anno diverrà obbligatoria per tutti. Qualcuno osserverà che c’è ancora tempo; ma, come si suol dire: chi prevede, provvede.

Ho approcciato il problema ben conscio della ratio che ha spinto il Legislatore a imporci un simile diktat: non contento di sfruttare gratuitamente il lavoro e le risorse dei commercialisti (noti “complici degli evasori”) pur di alleviare e facilitare i compiti istituzionali di controllo dei contribuenti, ora il nostro padre-padrone ha preso la decisione di erodere la principale voce di fatturato che tiene a galla i due terzi degli studi, rendendo di fatto obsoleti gli attuali servizi di elaborazione contabile concernenti la registrazione delle fatture di acquisto e di vendita. E questa è cosa di non poco conto, considerato che in tutte le numerosissime fattispecie relative alla tenuta della contabilità semplificata, la registrazione delle fatture rappresenta in pratica la quasi totalità del lavoro e, ragionando in termini di contabilità ordinaria, il passo è breve per arrivare pure alla registrazione elettronica dei movimenti bancari (posto che già esistono i software che lo consentono).

In sostanza, i contribuenti non dovranno più consegnare detti documenti al professionista perché provveda alla loro registrazione, ma, attraverso delle apposite procedure, detti contribuenti, prima compileranno le loro fatture, e successivamente le stesse saranno trasmesse telematicamente al Fisco. Il “programma di Stato” della SOGEI riceverà così i dati e li incrocerà, rilevando immediatamente le eventuali anomalie.

Teoricamente, un’arma per combattere l’evasione legata alle fatturazioni irregolari che parrebbe rendere superflue persino le recentissime indicazioni diramate dalla Guardia di Finanza nella sua Circolare 1/2018, presentata dal Comandante del Corpo come un manuale:

“contro le organizzazioni dedite alle false fatturazioni, le società fantasma o di comodo utilizzate per evadere le imposte…”.

Usare il condizionale è, peraltro, d’obbligo, visto che siamo in Italia e tutti sappiamo che:

  1. I tecnici della SOGEI hanno dei trascorsi non particolarmente esaltanti quanto a efficienza
  2. La vastità e la complessità della normativa tributaria nazionale mal si presta a essere ingabbiata all’interno di software strettamente contabili
  3. Non è affatto escluso che, dopo le ormai prossime elezioni, lo scenario muti nuovamente.

Cionondimeno, la fatturazione elettronica costituisce l’ennesimo fondamentale anello della catena con cui uno Stato essenzialmente oligarchico vuole legare a sé i propri sudditi, dopo provvedimenti quali – a titolo di esempio: la dichiarazione precompilata, la comunicazione delle spese sanitarie, l’invio infrannuale delle fatture, l’obbligo di trasmissione telematica dei corrispettivi per i gestori di vending machine (da quest’anno); e, sul fronte dell’amministrazione del personale: il pagamento degli stipendi con moneta bancaria (dal 1° luglio) e l’invio telematico del LUL (appena prorogato al 1° gennaio 2019). A tale ultimo proposito, se Sparta piange Atene non ride: facile pronosticare anche l’ormai prossima elaborazione elettronica delle buste paga.

Il disegno è chiaro persino per i più distratti: man mano che vengono scoperte le infinite potenzialità di questo magnifico giocattolo che è lo strumento informatico, quelli che il compianto Totò chiamava “caporali” lo impiegano contro gli “uomini”, per sopperire all’inefficacia delle ordinarie operazioni di verifica e controllo.

Sia ben chiaro, nessuno più di chi scrive è ben felice di vedere la messa in atto di concrete azioni miranti a (quanto meno, limitare, se non) risolvere il problema dell’evasione, che in Italia assume le proporzioni di una vera e propria piaga nazionale (forse bisognerebbe incominciare seriamente a chiedersi il perché): come giustamente si dice da più parti, le imposte hanno innanzitutto una funzione sociale. E, proprio in tema di questioni sociali, alcune brevissime osservazioni vanno analogamente evidenziate.

Sono, infatti, di dominio pubblico, le analisi e le stime elaborate dagli organismi specializzati (di cui lo stesso Governo si serve), le quali indicano chiaramente come la maggior parte del mancato gettito sia da addebitare ai grossi gruppi internazionali. Ebbene, contro queste entità economiche, le ricordate azioni tecnologiche non produrranno alcun risultato, atteso che l’erosione avviene attraverso la predisposizione di framework operativi che bypassano facilmente le vigenti normative fiscali internazionali; non certo mediante generiche operazioni di irregolare fatturazione. Obbiettivamente, purtroppo, non si vede alcuna concreta iniziativa mirante a fare in modo che l’Erario entri in possesso di queste risorse davvero imprescindibili, atteso che anche la nuova (e già famigerata) “Web-Tax” appare ben lungi dal conseguire gli effetti sperati.

Gli economisti, sulla scorta delle corrette teorie keynesiane, insegnano che è sempre necessario ragionare a livello macroeconomico. In un contesto globale, occorre allora valutare concreti benefici in termini di maggiori entrate che lo Stato conseguirà a seguito dei vari provvedimenti in discorso, rispetto a quanto si sarebbe potuto incassare utilizzando le stesse risorse (mentali, tecnologiche e finanziarie) per adottare strumenti atti a combattere efficacemente la reale “grande evasione” internazionale, per quanto di rilievo a livello nazionale. Tutto ciò, tralasciando per ovvi motivi ogni eventuale disquisizione (sempre peraltro di carattere squisitamente sociale) sui servizi che lo Stato avrebbe il dovere di fornire ai cittadini a fronte delle entrate percepite, e sulle ricadute negative concernenti inevitabili ulteriori perdite generalizzate di lavoro: queste – historia docet – sono insite nel progresso; come scriveva Miguel De Cervantes, le battaglie di Don Chisciotte e Sancho Panza contro i mulini a vento sono inutili, oltre che ridicole.

Tornando, però, all’odierno tema della fatturazione elettronica, mi sono venute in mente le interessanti considerazioni espresse nell’editoriale della sua rivista, dall’amico e collega Luca Mariotti:

“Dal rapporto ufficiale 2017 sulla professione, edito dalla Fondazione Nazionale dei Dottori Commercialisti, si apprende che i Commercialisti iscritti all’Albo, pur crescendo per la prima volta nel 2016 a un ritmo inferiore all’1%, sono comunque in totale 117.916. Ammettendo che ognuno di loro spenda per il software di media 3 mila euro annui, essi portano nelle casse degli operatori del software un terzo di miliardo di euro ogni anno, euro più euro meno.”

La mia indole di inguaribile ottimista mi ha allora portato a ragionare in termini esclusivamente imprenditoriali, svestendo per un momento i panni del professionista.

Ogni anno, il Legislatore ci impone nuovi adempimenti. Il problema sostanziale è che a tali obblighi consegue nuovo studio e lavoro da svolgere, nonché ulteriori costi per le licenze d’uso delle procedure che assai difficilmente i clienti rimborseranno. Dunque, a fronte di maggiori uscite, non si registrano degli incrementi nelle entrate. Difficile far quadrare il bilancio…

Questa volta, però, la situazione potrebbe essere differente: il nuovo business in arrivo potrebbe infatti trovare nei professionisti degli attori partecipi in prima persona. Mi spiego meglio.

Come noto, la fatturazione elettronica comporta due principali step.

  1. In una prima fase, occorre un software per la redazione del documento, cosa che oramai quasi tutte le aziende (anche le micro-imprese) usano già e che, data la concorrenza esistente, si reperisce sul mercato a costi sempre più limitati. È vero che moltissimi contribuenti compilano ancora le loro fatture con Word/Excel o altri simili programmini il cui costo è sostanzialmente inesistente. Ma tali documenti, dopo, devono essere stampati, portati al commercialista, registrati nella contabilità, ripresi nei registri etc. Insomma, una serie di costi indiretti (e non solo in termini di tempi lavorativi occorrenti) che, di fatto, rendono maggiormente conveniente – pure in capo a tale fascia di clientela – dotarsi di programmi di fatturazione specifici, tra l’altro facilmente collegabili alla gestione del magazzino, a scadenzari, a tariffari e alla contabilità in generale, soprattutto laddove il costo di acquisizione delle licenze fosse particolarmente calmierato. E, statene pur certi, i prezzi di tali programmi diventeranno prossimi allo zero, posto che non è in tale voce economica che si giocherà la partita che conta per i “grandi attori” del mercato. Bisognerà, per contro, fare incessante opera di persuasione presso i propri clienti, illustrando loro gli oggettivi vantaggi anche in termini puramente finanziari.
  2. Nella seconda fase, è necessaria la procedura che provveda alla generazione e trasmissione telematica del file: questo è l’osso succulento che fa gola a tutti e che – attenzione – verrà usato come esca dai citati “grandi attori” del mercato (non solo le note associazioni di categoria, o le varie camere di commercio e la stessa Agenzia delle Entrate, ma anche e soprattutto banche, assicurazioni etc., che si stanno già muovendo), per accaparrarsi nuova clientela e fidelizzarla pure per gli altri abituali servizi già da loro forniti, a danno – indovinate di chi? – di noi commercialisti. Se, però, riflettiamo attentamente sul risparmio di lavoro che avremmo supportando fin da subito i clienti con delle procedure di fatturazione integrata alla contabilità, già pronta per far fronte anche a questa seconda fase prevista per il prossimo anno, e, nel contempo, pensiamo al maggiore potere di contrattazione con le software house nei confronti delle quali ci presenteremmo non come lo studio “X” (in realtà, solo un cliente), ma come l’insieme di tutti i clienti dello studio “X”, potremmo spuntare dei costi estremamente bassi (in questo caso, integralmente spalmati su tutta la clientela, e rimborsati). Inoltre, avremmo – per una volta – guadagnato ore lavoro, non dovendo più registrare e contabilizzare le fatture (sia vendite che acquisti, sulla base delle istruzioni ministeriali); ergo, una netta riduzione generale dei costi di studio, a fronte di entrate immutate. Dulcis in fundo, impediremmo che i “grandi attori” del mercato ci azzerino il portafoglio clienti.

Molti di voi penseranno che le cose, nella pratica, non sono così semplici: concordo!

Nulla è semplice. Dovremmo impegnarci a fondo; ma ritengo che la fatturazione elettronica (e altri futuri analoghi obblighi che ci pioveranno addosso da qui a poco), potrebbero in realtà diventare delle opportunità da sfruttare a nostro vantaggio.

Oppure, possiamo continuare a essere solo “uomini” inerti che subiscono passivamente i “caporali”. Cosa che, però, non fa per me. Restando in tema, personalmente, al “caporale” canterei (come nel film di Totò): E llevate 'a cammesella…

comments powered by Disqus
beniso
top