Paolo Soro

Circolare della Guardia di Finanza: alcune perplessità

Il Comando Generale della Guardia di Finanza ha emanato la Circolare N. 1/2018 che aggiorna e sostituisce parzialmente il contenuto della precedente Circolare N. 1/2008 (oggi, divenuta in molti punti superata dalle modifiche normative intervenute), con cui vengono impartite le direttive alle quali i militari sono tenuti nell’ambito delle verifiche.

Senza alcuna pretesa di svolgere un’analisi dettagliata del nuovo “Manuale Operativo in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali” della Guardia di Finanza (aggiornato al 1° dicembre 2017 e in vigore dal 1° gennaio 2018), limitiamoci a focalizzare l’attenzione in particolare su un aspetto che suscita non poche perplessità: l’imponibilità IVA relativa ai prelevamenti bancari non giustificati dei professionisti.

Prima, però, di affrontare la questione, ricordiamo brevemente la valenza delle circolari emanate dalla Guardia di Finanza e, in particolare, lo scopo di quella qui in argomento.

Come noto, la Guardia di Finanza è uno speciale Corpo di Polizia che dipende direttamente dal Ministro dell'Economia e delle Finanze e fa parte integrante delle Forze Armate dello Stato, oltre che della Forza Pubblica. Per quanto qui di interesse, i principali compiti consistono nella prevenzione, ricerca e denuncia delle evasioni e delle violazioni finanziarie e nella vigilanza sull'osservanza delle disposizioni di interesse politico-economico.

In particolare, il documento oggetto di esame è un vero e proprio manuale operativo attraverso il quale vengono aggiornate le precedenti direttive impartite ai militari, concernenti l’esecuzione delle verifiche, dei controlli fiscali e delle indagini di polizia economico-finanziaria, finalizzate al contrasto dell’evasione, dell’elusione e delle frodi fiscali.

Non possiamo quindi in tal senso attribuire alla circolare in discorso il medesimo effetto interpretativo delle norme tributarie, di regola proprio dei documenti (note, risoluzioni etc.) emessi direttamente dal MEF e dall’Agenzia delle Entrate. Cionondimeno, è evidente a tutti la rilevanza pratica e sostanziale che assume la Circolare 1/2018, atteso che professionisti e contribuenti dovranno prepararsi a giustificare, rispondere, e collaborare con i finanzieri, sulla base delle operazioni di controllo, verifica e accertamento che saranno poste in essere seguendo propriamente gli schemi indicati nel documento citato.

La nuova Circolare n. 1/2018 (voluminoso documento di prassi da circa 1200 pagine) è costituita da tre volumi contenenti le disposizioni operative, oltre a un quarto dedicato alla modulistica e alla documentazione di supporto prevista per l’attività ispettiva. I tre volumi sono globalmente formati da 5 parti.

Volume I

PARTE I: L’azione della Guardia di Finanza a contrasto dell’evasione e delle frodi fiscali. Direttive generali e moduli operativi.

PARTE II: L’attività di polizia giudiziaria a contrasto dell’evasione e delle frodi fiscali.

Volume II

PARTE III: Esecuzione delle verifiche e dei controlli.

PARTE IV: Valorizzazione delle informazioni acquisite nell’ambito delle attività investigative, di vigilanza e di controllo dei flussi finanziari.

Volume III

PARTE V: Principali metodologie di controllo.

Il Comandante Generale del Corpo presenta il manuale operativo come una svolta nelle linee d’azione della Guardia di Finanza a difesa della sicurezza economico-finanziaria del Paese, sottolineando che il nuovo documento:

“Prende le mosse dalle migliori esperienze e professionalità maturate in questo rinnovato scenario dai Reparti del Corpo nelle investigazioni contro le organizzazioni dedite alle false fatturazioni, le società fantasma o di comodo utilizzate per evadere le imposte, i fenomeni di illecito trasferimento e occultamento di patrimoni e disponibilità finanziarie all’estero, le manovre di pianificazione fiscale aggressiva, il riciclaggio e l’auto-riciclaggio di proventi dell’evasione, ma anche nella quotidiana azione di controllo economico del territorio, volta a contrastare il sommerso e la diffusione di illeciti di minore complessità ma comunque lesivi degli obblighi contributivi costituzionalmente tutelati”.

Molti sono gli aspetti positivi che dobbiamo senza dubbio rilevare, tra cui ricordiamo in particolar modo le indicazioni afferenti: una maggiore attenzione al contraddittorio con il contribuente già nel corso della verifica fiscale, il sostegno alla compliance (adempimento spontaneo del contribuente) nei rapporti tra contribuente e Fisco, nonché le precisazioni (al ricorrere di talune condizioni) riguardo la sospensione delle attività ispettive su richiesta del contribuente, e soprattutto i richiami alle pronunce della Giurisprudenza di Legittimità in merito alle differenze fra evasione, elusione e abuso del diritto, e alle correlate ipotesi di irrilevanza penale.

Per contro, però, pare assai difficile concordare con le indicazioni impartite relativamente ai c. d. prelevamenti bancari non documentati da parte dei professionisti.

Una breve cronistoria.

L’articolo 7-quater, del DL 193/2016, convertito in Legge 225/2016, ha apportato considerevoli modifiche all’articolo 32 del DPR 600/1973, con riguardo ai prelievi effettuati dai lavoratori autonomi. Per la precisione, il novellato articolo 32, comma 1, N. 2, del DPR 600/1973, prevede che l’Ufficio possa invitare il contribuente, indicandone il motivo, a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento, anche relativamente ai rapporti e alle operazioni bancarie. Se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito (o che non hanno comunque rilevanza a tal fine), i dati e le notizie sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dai successivi articoli 38, 39, 40 e 41.

Viene inoltre specificato che:

“Alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi (o compensi) a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni per importi superiori a euro 1.000 giornalieri e, comunque, a euro 5.000 mensili”.

Orbene, con espresso riferimento proprio ai prelevamenti bancari eseguiti dai lavoratori autonomi, la Corte Costituzionale (Sentenza N. 228 del 24/09/2014) ha dichiarato l’illegittimità della sopra riportata disposizione limitatamente alle parole “o compensi”, considerato che la presunzione riferita anche ai compensi percepiti dai lavoratori autonomi fosse:

“Lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati a un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di reddito” (illegittimità della c. d. “doppia presunzione”).

Conseguentemente, non è più prospettabile dall’Ufficio l’equiparazione tra attività di impresa e attività professionale fatta (in funzione dell’articolo 32 in discorso) dalla Giurisprudenza di Legittimità per le annualità anteriori, venendo definitivamente meno la presunzione in forza della quale l’Agenzia delle Entrate imputava i prelevamenti operati sui conti correnti bancari ai compensi percepiti nell’attività del professionista, come per l’appunto stabiliva la norma, oggi decretata incostituzionale. La questione assume fondamentale importanza, posto che, venuta meno la validità della presunzione, si ha automaticamente il ripristino dei naturali principi giuridici in base ai quali l’onere della prova torna correttamente a gravare sull’Amministrazione Finanziaria (ossia, la parte che nel giudizio intende far valere le proprie ragioni di accusa).

Ovviamente, permangono invece le presunzioni di imponibilità relative ai versamenti effettuati dai lavoratori autonomi sui propri conto correnti, non giustificati dalle parcelle/fatture contabilizzate; seppure trattasi sempre di presunzioni superabili da adeguate prove contrarie fornite dal contribuente, il quale sia in grado di dimostrarne l’estraneità rispetto al proprio reddito prodotto.

Riepilogando: l’eliminazione della parola “compensi” dalla disposizione in esame recepisce quanto sostenuto dalla Corte Costituzionale circa i lavoratori autonomi; fermo restando che i rapporti e le operazioni rilevano fiscalmente solo per importi superiori a euro 1.000 giornalieri e, comunque, a euro 5.000 mensili.

Orbene, al riguardo, la Circolare della Guardia di Finanza afferma che, esaminando compiutamente l’intero impianto normativo che ne risulta, il “corrispondente” (in materia IVA) articolo 51, comma 2, N. 2, del DPR 633/1972, non risulta essere stato interessato da alcuna modifica legislativa. Pertanto, se ne deve dedurre che in proposito occorrerà continuare a utilizzare il previgente sistema presuntivo, il quale rimette sempre al contribuente (pure nel caso di professionista/lavoratore autonomo) l’onere dimostrativo anche con riferimento ai prelevamenti non annotati nelle scritture contabili (o comunque la loro non imponibilità), fornendo l’indicazione concernente i destinatari delle somme eventualmente prelevate. In caso contrario, detti prelevamenti sono da considerare somme imponibili (non fatturate).

Francamente, premesso che la Consulta non può che pronunciarsi sul preciso quesito ricevuto, a parere di chi scrive restano impregiudicati gli effetti del principio di diritto affermato, il quale base la sua portata sull’illegittimità costituzionale della norma, laddove la stessa ammetta tale tipo di “presunzioni” con riferimento ai prelevamenti, rendendola comunque inapplicabile sempre per i professionisti/lavoratori autonomi. Non vi è chi non veda come una lettura della decisione che intenda scindere l’imponibilità IVA rispetto a quella in materia di imposte dirette, non sarebbe supportata da alcuna ragione di diritto.

Peraltro, occorre doverosamente rimarcare come la stessa Circolare della Guardia di Finanza non appaia affatto certa dell’indicazione fornita, posto che si affretta altresì a precisare:

“Possono sussistere ragioni che, in ottica sistematica, inducano a ritenere che la logica che ha portato a espungere dal regime presuntivo, ai fini delle imposte dirette, limitatamente alle operazioni di segno negativo, i lavoratori autonomi possa esplicare effetti (indiretti) anche ai fini IVA, suggerendo una ancor più ponderata valutazione – in termini non acritici e meccanicistici – delle argomentazioni addotte, in contraddittorio, da tali contribuenti”.

Come a dire: non basatevi esclusivamente sulle presunzioni, ma cercate di andare oltre, analizzando approfonditamente ogni eventuale transazione bancaria.

Cionondimeno, le direttive fornite sul punto dal “Manuale Operativo” restano, quanto meno, assai discutibili e non ci paiono condivisibili, dato che, nel corso dello svolgimento delle indagini finanziarie, anche per i professionisti/lavoratori autonomi, a parere del Corpo, varrebbe sempre la vecchia presunzione secondo cui i prelevamenti non giustificati, per il comparto dell’IVA, si considerano come costi non fatturati.

Sembra, infatti, ormai incontroverso che questo tipo di prelevamenti bancari non possano sicuramente generare – sic et simpliciter – materia imponibile (rectius, acquisti “in nero”) da regolarizzare ai sensi dell’art. 51, comma II, DPR 633/72, e conseguentemente assoggettare a sanzione.

L’orientamento espresso dalla Guardia di Finanza, circa il fatto che per i prelevamenti non giustificati non vige la presunzione con riguardo alle imposte dirette sui redditi, mentre la ricordata presunzione resterebbe di fatto in essere per l’IVA, pare contrario alla citata decisione della Consulta, la quale ha chiaramente affermato un principio generale di diritto, precisando come sarebbe arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati a un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di reddito.

Detto precetto ha chiara portata generale e non può intendersi come esclusivamente riferito alle sole imposte dirette sul reddito, atteso che se è arbitrario considerare tali prelevamenti come inerenti a degli investimenti relativi all’attività professionale (e, dunque, in qualche maniera produttivi di reddito), è automaticamente evidente che tali operazioni non possano neppure essere qualificate come “costi in nero” agli effetti dell’imponibilità IVA.

L’elemento presuntivo, inizialmente previsto dalla legge, è venuto meno con la declaratoria di incostituzionalità. Per cui, sarebbe parimenti illegittimo considerare dette presunzioni viceversa ancora valide in materia di IVA: in sostanza, sul punto, l’onere della prova graverà interamente sull'Amministrazione Finanziaria che non potrà più basarsi soltanto su mere presunzioni allorquando intenda qualificare i prelevamenti bancari in discorso come acquisti imponibili IVA a carico del professionista/lavoratore autonomo.

In attesa che il Legislatore possa porre immediato rimedio alla contraddittorietà insita nel tenore letterale delle norme, si auspica, quindi, che i militari addetti a verifiche, controlli e accertamenti, pongano la massima attenzione alle indicazioni della Circolare concernenti la massima cautela da adottare in simili ipotesi, onde evitare di innescare dei contenziosi che, alla luce del generale principio di diritto affermato dalla Corte Costituzionale, risulterebbero inutili, dispendiosi e dannosi per tutti.

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