Il regalo di Natale per le aziende si chiama patent box. Cioè detassazione per cinque anni, fino al 50%, dei redditi d’impresa prodotti da marchi, brevetti, know how: praticamente tutte le opere dell’ingegno.
L’idea di fondo è stata quella di far rientrare in Italia lo sfruttamento, quindi anche la tassazione, delle opere di quei beni immateriali che, sempre più spesso, andavano a ormeggiare in lidi più confortevoli, disperdendo così un patrimonio nazionale.
Basti pensare che il Lussemburgo prevede la detassazione dell’80% dei redditi prodotti da marchi, brevetti, copyright. Stessa aliquota per il Belgio, che però esclude i marchi. Nei Paesi Bassi si arriva a 4/5 del reddito prodotto da brevetti e software, in Spagna al 60%.
Idea eccellente, esecuzione tipicamente mediterranea.
Il provvedimento dell’Agenzia delle entrate e la prima circolare esplicativa sono arrivati a meno di un mese dalla scadenza del termine per la presentazione della domanda relativa al 2015.
Nonostante i numerosi problemi che rimangono sul tappeto, la cui soluzione determina la convenienza o meno del regime agevolato, l’approccio dell’Agenzia delle entrate, molto pragmaticamente è stato del tipo: cominciate a presentare la domanda, poi si vedrà. Alle aziende sono stati concessi, infatti, altri 120 giorni per completare la presentazione dei documenti.
Poi sarà necessario, nella maggior parte dei casi, un incontro e una mediazione (contradditorio) con l’Agenzia delle entrate per concordare le modalità di calcolo del reddito agevolabile. Una volta fissati i criteri, bisognerà fare i calcoli e definire così l’importo dell’agevolazione. Insomma la domanda di patent box sarà presentata al buio.
Ci sono altre criticità di cui tener conto: l’Ocse è da sempre contraria alla detassazione dei redditi prodotti dai marchi e know how (infatti, nella maggior parte dei paesi questi non sono previsti, in Italia sì).
Inoltre una risoluzione del Parlamento europeo del 25 novembre scorso considera i patent box degli strumenti sostanzialmente elusivi. Sostiene, infatti, il parlamento europeo che: «stando ai dati esistenti, gli speciali regimi fiscali sugli utili riconducibili ai brevetti (patent box) non contribuiscono a stimolare l’innovazione e possono dar luogo a una forte erosione della base imponibile mediante il trasferimento degli utili».
Queste incertezze potrebbero determinare la corsa a presentare la domanda prima del 31 dicembre 2015, perché in ogni caso questo adempimento è sufficiente a garantire in molti casi una sostanziosa detassazione dei redditi d’impresa per i prossimi cinque anni (a ogni modo ci si può sempre tirare indietro se ci si accorgesse che i benefici reali sono scarsi o inesistenti).
Difficile però che, con tutti questi punti di domanda, l’incentivo si trasformi in una forte motivazione per le aziende a portare in Italia le opere dell’ingegno in precedenza delocalizzate. Almeno per ora.
Ma c’è un altro aspetto che merita di essere valutato: l’applicazione del patent box rischia di dimezzare il gettito dell’Ires. Se è vero, infatti, che la crisi degli ultimi anni ha drasticamente ridotto gli utili societari è anche vero che, nella generalità dei casi, le aziende che ancora fanno utili e quindi pagano le imposte sui redditi, sono quelle più tecnologiche, o quelle che possono vantare marchi affermati, o know how esclusivi. Spesso l’apporto di questi elementi nella produzione del fatturato è decisivo. Ora proprio questo apporto viene detassato.
Di utili da tassare ne rimarranno ben pochi. Una generosità da far impallidire quella dei re Magi.
Fonte: Italia Oggi