In tema di ordinamento interno, la norma di riferimento è ovviamente il TUIR, il quale, all’art. 23, determina, innanzitutto, l’applicazione dell’imposta nei confronti dei non residenti (con l’elencazione di tutte le tipologie di reddito previste) e introduce il concetto di “stabile organizzazione” con riguardo ai tipi di reddito che:
“Si considerano prodotti nel territorio dello Stato, se corrisposti dallo Stato, da soggetti residenti nel territorio dello Stato o da stabili organizzazioni nel territorio stesso di soggetti non residenti…”
La “stabile organizzazione” è un principio del diritto tributario che collega a uno Stato il reddito derivante da un’attività economica svolta sul suo territorio da un’impresa non residente. In tal modo, il reddito prodotto viene sottoposto a tassazione anche nello Stato della fonte, cioè nello Stato dal quale il reddito effettivamente proviene. E’, dunque, evidente la particolare importanza che riveste detto concetto, sul quale, oltre alle varie interpretazioni dell’Agenzia delle Entrate (come facilmente immaginabile) esiste una pletora di decisioni della Giurisprudenza di Legittimità.
Senza pretesa di esaustività, non richiesta nella presente sede, pare più che mai opportuno riportare, pertanto, determinate indicazioni al riguardo.
Gli elementi costitutivi della stabile organizzazione sono:
- l’elemento oggettivo: presenza di una sede d’affari;
- l’elemento temporale – spaziale: permanenza nel tempo dell’organizzazione;
- l’elemento di collegamento: svolgimento dell’attività mediante la sede d’affari.
Per esempio: secondo l’art. 162 del TUIR, sono esclusi dal concetto di “stabile organizzazione” i depositi di merci appartenenti all’impresa, a qualsiasi fine destinati, e le sedi che servono per l’esposizione o la consegna delle stesse merci.
La Corte di Cassazione (Ordinanza 7851 del 23 aprile 2004), ha avuto modo di precisare quanto segue:
“Il problema è stato considerato, soprattutto nell’ottica del transfert pricing, nell’ambito dell’elaborazione di regole omogenee in materia di attribuzione di profitti alla stabile organizzazione e, quindi, di attribuzione di costi, anche derivanti da servizi che la società madre ha prestato alla propria struttura secondaria. L’art. 7, comma 2, del modello OCSE di convenzione contro la doppia imposizione prevede che: Quando un’impresa di uno Stato contraente svolge la sua attività nell’altro Stato contraente per mezzo di una stabile organizzazione ivi situata, in ciascuno Stato contraente vanno attribuiti a detta stabile organizzazione gli utili che si ritiene sarebbero stati da essa conseguiti se si fosse trattato di un’impresa distinta e separata svolgente attività identiche o analoghe, in condizioni identiche o analoghe e in piena indipendenza dall’impresa di cui costituisce una stabile organizzazione. Il terzo comma stabilisce che: Nella determinazione degli utili di una stabile organizzazione, sono ammesse in deduzione le spese sostenute per gli scopi perseguiti dalla stabile organizzazione, comprese le spese di direzione e le spese generali di amministrazione, sia nello Stato in cui è situata la stabile organizzazione, sia altrove”.
In relazione al diritto comunitario, l’art. 9, paragrafo 1, della sesta Direttiva, peraltro con riferimento alla sola fiscalità indiretta, dispone che il luogo della prestazione di servizi dev’essere individuato nel “luogo in cui il prestatore ha fissato la sede della propria attività economica o ha costituito un centro di attività stabile, a partire dal quale la prestazione di servizi viene resa.”
Secondo la giurisprudenza comunitaria, il centro di attività stabile deve presentare tre caratteristiche basilari:
I) un grado sufficiente di permanenza in un luogo fisso nello Stato di non residenza;
II) la presenza di elementi tecnici e anche umani;
III) l’effettuazione di operazioni rilevanti ai fini IVA.
Ne risulta, dunque, una nozione leggermente diversa rispetto alle definizioni date dall’Agenzia delle Entrate, specie con riguardo alla necessaria presenza del fattore umano e alla rilevanza delle operazioni ai fini IVA.
Nel sistema delle imposte sui redditi, la stabile organizzazione rappresenta una struttura che localizza in un territorio il reddito prodotto da un’impresa non residente, per cui svolge una funzione di ripartizione del reddito fra due Stati. A tal fine è prevista la definizione di stabile organizzazione nella normativa interna (art. 162 del TUIR) e in quella convenzionale (art. 5 del Modello di Convenzione OCSE). L’art. 162, salvo alcune differenze, riprende la struttura e il contenuto dell’articolo 5 del Modello di Convenzione OCSE contro la doppia imposizione.
Con il termine "stabile organizzazione", l'art. 5 del modello OCSE identifica, in via generale, una "sede fissa di affari in cui l'impresa esercita in tutto o in parte la sua attività", evidenziando sostanzialmente due elementi caratteristici:
1) l'esistenza di un’installazione fissa in senso tecnico (locali, materiali, attrezzature);
2) lo svolgimento, per mezzo di tale struttura, di un'attività economica.
Tuttavia, è possibile ritenere la presenza di una stabile organizzazione anche quando, pur mancando l'installazione fissa, l'imprenditore straniero si serva di persone che svolgano l'attività in suo nome, disponendo ed esercitando abitualmente il potere di concludere contratti in nome e per conto dell'impresa. Nel concetto di "stabile organizzazione" sembrerebbe, dunque, che possa escludersi che la struttura organizzativa debba essere di per sé dotata di autonomia gestionale o contabile: inoltre l'accertamento dei requisiti del "centro di attività stabile" o di "stabile organizzazione", ivi compresi quello di dipendenza e quello di partecipazione alla conclusione di contratti, ovvero anche alle sole trattative in nome della società estera (pure al di fuori di un potere di rappresentanza in senso proprio), deve essere condotto non solo sul piano formale, ma anche e in special modo su quello sostanziale, nel senso cioè che deve essere individuata l'esistenza di mezzi umani (personale dipendente) e di mezzi tecnici (materiali), impegnati ad assolvere nel territorio nazionale compiti operativi in favore e nei confronti della società estera.
Chiuso questo inciso afferente il concetto di “stabile organizzazione” (che pure meriterebbe maggiori approfondimenti, i quali però non si reputa opportuno sviluppare – come anzidetto – in questa sede), riprendiamo l’analisi del TUIR, per quanto qui di necessità espositiva.
Dopo aver visto, all’art. 23, applicazione dell’imposta ai non residenti, nel successivo art. 24 troviamo la determinazione di tale imposta. Il primo comma enuncia la norma di carattere generale: “Nei confronti dei non residenti l'imposta si applica sul reddito complessivo e sui redditi tassati separatamente”; i commi successivi vi prevedono alcune eccezioni.
In particolare, nell’aggiunto comma 3 bis, si precisa:
“In deroga alle disposizioni contenute nel comma 1, nei confronti dei soggetti residenti in uno degli Stati membri dell'Unione europea o in uno Stato aderente all'Accordo sullo Spazio economico europeo che assicuri un adeguato scambio di informazioni, l'imposta dovuta è determinata sulla base delle disposizioni contenute negli articoli da 1 a 23, a condizione che il reddito prodotto dal soggetto nel territorio dello Stato italiano sia pari almeno al 75 per cento del reddito dallo stesso complessivamente prodotto e che il soggetto non goda di agevolazioni fiscali analoghe nello Stato di residenza.”
Fondamentale importanza assume, poi, l’elencazione che il TUIR (art. 73) fornisce su chi sono i “soggetti passivi”:
a) le società per azioni e in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, le società cooperative e le società di mutua assicurazione, nonché le società europee di cui al regolamento CE n. 2157/2001 e le società cooperative europee di cui al regolamento CE n. 1435/2003 residenti nel territorio dello Stato;
b) gli enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché i trust, residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali;
c) gli enti pubblici e privati diversi dalle società, i trust che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciale, nonché gli organismi di investimento collettivo del risparmio, residenti nel territorio dello Stato;
d) le società e gli enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato.
A completamento del suddetto elenco, la norma precisa:
Si comprendono, oltre alle persone giuridiche, le associazioni non riconosciute, i consorzi e le altre organizzazioni non appartenenti ad altri soggetti passivi, nei confronti delle quali il presupposto dell'imposta si verifica in modo unitario e autonomo.
Nei casi in cui i beneficiari del trust siano individuati, i redditi conseguiti dal trust sono imputati in ogni caso ai beneficiari in proporzione alla quota di partecipazione individuata nell'atto di costituzione del trust o in altri documenti successivi ovvero, in mancanza, in parti uguali.
Con espresso riferimento ai trust e al concetto di beneficiario individuato, come noto, l'Agenzia delle Entrate ha, poi, avuto modo di precisare nella sua circolare 48/2007, quanto segue:
Premesso che il presupposto di applicazione dell’imposta è il possesso di redditi, per “beneficiario individuato” è da intendersi il beneficiario di “reddito individuato”, vale a dire il soggetto che esprime, rispetto a quel reddito, una capacità contributiva attuale. E’ necessario, quindi, che il beneficiario non solo sia puntualmente individuato, ma che risulti titolare del diritto di pretendere dal trustee l’assegnazione di quella parte di reddito che gli viene imputata per trasparenza.
Infatti, a differenza dei soci delle società trasparenti, che possono autonomamente stabilire i criteri di distribuzione degli utili societari, i beneficiari di un trust non hanno alcun potere in ordine all’imputazione del reddito del trust, cui provvede unicamente il trustee sulla base dei criteri stabiliti dal disponente.
Il reddito imputato per trasparenza verrà tassato secondo le aliquote personali del beneficiario. Naturalmente, l’effettiva percezione dei redditi da parte dei beneficiari rimane una mera movimentazione finanziaria, ininfluente ai fini della determinazione del reddito. Ove abbia scontato una tassazione a titolo d’imposta o di imposta sostitutiva in capo al trust che lo ha realizzato, il reddito non concorre alla formazione della base imponibile, né in capo al trust opaco né, in caso di imputazione per trasparenza, in capo ai beneficiari.
A una doppia imposizione ostano i principi generali dell’ordinamento interno che impediscono l’imposizione in capo a più soggetti passivi di redditi prodotti o realizzati in dipendenza di uno stesso presupposto (articolo 163 del TUIR).
Sulla base dei medesimi principi, i redditi conseguiti e correttamente tassati in capo al trust prima dell’individuazione dei beneficiari (quando il trust era “opaco”), non possono scontare una nuova imposizione in capo a questi ultimi a seguito della loro distribuzione.
In un trust opaco com'è quello discrezionale, quindi, in cui i beneficiari, pur essendo individuati, non hanno alcun diritto di pretendere quote di reddito, la tassazione si esaurisce comunque in capo al trust (IRES). Ogni eventuale successiva distribuzione in capo ai beneficiari non sconta alcuna imposizione.
Inspiegabilmente, peraltro, detta regola, secondo la stessa Agenzia (successiva circolare 61/2010), non è parimenti applicabile ai trust esteri discrezionali: in tale caso, infatti, la tassazione non si esaurisce più in capo al trust, ma va comunque a colpire i beneficiari residenti individuati, anche se questi ultimi, parimenti al caso del trust interno, non hanno alcuna capacità contributiva attuale.
L'art. 73 in esame, altresì, dispone: ai fini delle imposte sui redditi, si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale nel territorio dello Stato.
Si considerano altresì residenti nel territorio dello Stato, salvo prova contraria, i trust e gli istituti aventi analogo contenuto istituiti in Stati o territori non white list, in cui almeno uno dei disponenti e almeno uno dei beneficiari del trust siano fiscalmente residenti nel territorio dello Stato. Si considerano, inoltre, residenti nel territorio dello Stato i trust istituiti in uno Stato non white list, quando, successivamente alla loro costituzione, un soggetto residente nel territorio dello Stato effettui in favore del trust un'attribuzione che importi il trasferimento di proprietà di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, anche per quote, nonché vincoli di destinazione sugli stessi.
La disposizione in parola, determina, poi, il concetto di "oggetto esclusivo" dell'attività.
L'oggetto esclusivo o principale dell'ente residente è determinato in base alla legge, all'atto costitutivo o allo statuto, se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata. Per oggetto principale si intende l'attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall'atto costitutivo o dallo statuto. In mancanza dell'atto costitutivo o dello statuto nelle predette forme, l'oggetto principale dell'ente residente è determinato in base all'attività effettivamente esercitata nel territorio dello Stato; tale disposizione si applica in ogni caso agli enti non residenti.
Salvo prova contraria, si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell'amministrazione di società ed enti che detengono partecipazioni di controllo o sono controllati, anche indirettamente, da soggetti residenti nel territorio dello Stato o sono amministrati da un consiglio di amministrazione o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato. A tal proposito, rileva la situazione esistente alla data di chiusura dell'esercizio o periodo di gestione del soggetto estero controllato.
Al Capo II, Titolo III (artt. 165 - 169), del TUIR, troviamo, infine, i redditi prodotti all'estero e i rapporti internazionali.
La prima di tali disposizioni delinea il credito d'imposta per i redditi prodotti all'estero.
Se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi prodotti all'estero, le imposte ivi pagate a titolo definitivo su tali redditi sono ammesse in detrazione dall'imposta netta dovuta fino alla concorrenza della quota d'imposta corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all'estero e il reddito complessivo al netto delle perdite di precedenti periodi d'imposta ammesse in diminuzione. Se concorrono redditi prodotti in più Stati, la detrazione si applica separatamente per ciascuno Stato.
Nel caso di reddito d'impresa prodotto, da imprese residenti, nello stesso Paese estero, l'imposta estera ivi pagata a titolo definitivo su tale reddito eccedente la quota d'imposta italiana relativa al medesimo reddito estero, costituisce un credito d'imposta fino a concorrenza dell’eccedenza della quota d'imposta italiana rispetto a quella estera pagata a titolo definitivo in relazione allo stesso reddito estero, verificatasi negli esercizi precedenti fino all'ottavo. Per le imposte pagate all'estero, la detrazione spetta ai singoli soci nella proporzione ivi stabilita. Nel caso in cui il reddito prodotto all'estero concorra parzialmente alla formazione del reddito complessivo, anche l'imposta estera va ridotta in misura corrispondente.
La norma successiva si occupa, invece, di uno dei temi più delicati e largamente ricorrenti in contenzioso: ossia, il trasferimento all’estero della residenza.
Il trasferimento all’estero della residenza dei soggetti che esercitano imprese commerciali, che comporti la perdita della residenza ai fini delle imposte sui redditi, costituisce realizzo, al valore normale, dei componenti dell’azienda o del complesso aziendale, salvo che gli stessi non siano confluiti in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato. Si considerano in ogni caso realizzate, al valore normale, le plusvalenze relative alle stabili organizzazioni all’estero.
Notare che le perdite non compensate con i redditi prodotti fino a tale periodo, sono computabili in diminuzione del reddito della stabile organizzazione.
Altra precisazione degna di attenzione: il trasferimento della residenza fiscale all'estero non dà luogo di per sé all'imposizione dei soci della società trasferita.
I soggetti che trasferiscono la residenza, ai fini delle imposte sui redditi, in Stati appartenenti all'Unione europea ovvero in Stati aderenti all'Accordo sullo Spazio economico europeo inclusi nella white list, con i quali l'Italia abbia stipulato un accordo sulla reciproca assistenza in materia di riscossione dei crediti tributari, possono richiedere la sospensione degli effetti del realizzo ivi previsto.
A seguire, abbiamo le disposizioni in materia di imprese estere controllate (art. 167) e collegate (art. 168).
Se un soggetto residente in Italia detiene, direttamente o indirettamente, anche tramite società fiduciarie o per interposta persona, il controllo di un'impresa, di una società o di altro ente, residente o localizzato in Stati non white list, i redditi conseguiti dal soggetto estero partecipato sono imputati, a decorrere dalla chiusura dell'esercizio o periodo di gestione del soggetto estero partecipato, ai soggetti residenti in proporzione alle partecipazioni da essi detenute. Tali disposizioni si applicano anche per le partecipazioni in soggetti non residenti relativamente ai redditi derivanti da loro stabili organizzazioni situate in Stati non white list. Tali disposizioni non si applicano se il soggetto residente dimostra, alternativamente, che:
a. la società o altro ente non residente svolga un'effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nel mercato dello stato o territorio di insediamento;
b. dalle partecipazioni non consegue l'effetto di localizzare i redditi in Stati non white list.
La previsione di cui alla citata lettera a, non si applica qualora i proventi della società o altro ente non residente provengono per più del 50% dalla gestione.
Gli utili distribuiti, in qualsiasi forma, dai soggetti non residenti, non concorrono alla formazione del reddito dei soggetti residenti fino all'ammontare del reddito assoggettato a tassazione, anche negli esercizi precedenti. Le imposte pagate all'estero, sugli utili che non concorrono alla formazione del reddito, sono ammesse in detrazione fino a concorrenza delle imposte applicate, diminuite degli importi ammessi in detrazione.
La disciplina in parola trova applicazione anche nell'ipotesi in cui i soggetti controllati sono localizzati in stati o territori diversi da quelli ivi richiamati, qualora ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni:
- sono assoggettati a tassazione effettiva inferiore a più della metà di quella a cui sarebbero stati soggetti ove residenti in Italia;
- hanno conseguito proventi derivanti per più del 50% dalla gestione, dalla detenzione o dall'investimento in titoli, partecipazioni, crediti o altre attività finanziarie, dalla cessione o dalla concessione in uso di diritti immateriali relativi alla proprietà industriale, letteraria o artistica, nonché dalla prestazione di servizi nei confronti di soggetti che direttamente o indirettamente controllano la società o l'ente non residente, ne sono controllati o sono controllati dalla stessa società che controlla la società o l'ente non residente, ivi compresi i servizi finanziari.
In ogni caso, le disposizioni in questione non si applicano se il soggetto residente dimostra che l'insediamento all'estero non rappresenta una costruzione artificiosa volta a conseguire un indebito vantaggio fiscale, previo interpello all'Amministrazione Finanziaria.
Le regole concernenti le società controllate si applicano, di norma, anche alle società collegate (partecipazione non inferiore al 20%; 10%, se società quotate in borsa), fate salve alcune precisazioni.
I redditi del soggetto non residente oggetto di imputazione sono determinati per un importo corrispondente al maggiore fra:
- l'utile prima delle imposte risultante dal bilancio redatto dalla partecipata estera anche in assenza di un obbligo di legge;
- un reddito induttivamente determinato sulla base dei coefficienti di rendimento riferiti alle categorie di beni che compongono l'attivo patrimoniale.
A questo punto, il Legislatore ha provveduto ad aggiungere un articolo 168 bis, novellato: “Paesi e territori che consentono un adeguato scambio di informazioni.”
Detto articolo è di enorme importanza, giacché introduce, quale principale caratteristica afferente i Paesi non white list, non più il basso (o inesistente) livello di tassazione fine a sé stesso, quanto piuttosto la circostanza che si debba trattare di governi che non consentono - appunto, come da titolo - un adeguato scambio di informazioni con lo Stato italiano.
L’ultima disposizione inserita (art. 169) prevede la nota regola di portata generale, di favore per il contribuente:
“Le disposizioni del presente testo unico si applicano, se più favorevoli al contribuente, anche in deroga agli accordi internazionali contro la doppia imposizione”.