Secondo una recente ricerca del Politecnico di Milano su un campione significativo di dottori commercialisti, il 25% degli studi ha compreso il valore degli investimenti in tecnologie digitale e ne sta già usufruendo i benefici. Non solo. Nel 2015 la spesa per Ict è aumentata del 50% rispetto a quanto gli stessi professionisti avevano messo a preventivo solo un anno prima, arrivando a 1,1 miliardi di euro. E nel 2016 questo valore è destinato ad aumentare ancora, secondo tutte le più aggiornate indagini di mercato.
Insomma, i tempi stanno cambiando. Fino a ieri il mondo delle professioni era sostanzialmente vittima di un processo forzato di digitalizzazione imposto dalla pubblica amministrazione: trasmissione telematica delle dichiarazioni dei redditi e dei cedolini dei lavoratori, fatturazione elettronica, bilanci xbrl, processo civile telematico, hanno obbligato la gran parte degli studi professionali a dotarsi di strumenti e di competenze informatiche. Un obbligo subito tra mugugni e lamenti, aggravati dal sospetto di essere destinati a diventare servi della pubblica amministrazione. Sciocchi e malpagati, perché i clienti non sono per nulla interessati a questo sforzo di innovazione, né tantomeno disposti a sostenerne i costi.
Ma il percorso intrapreso in modo forzoso ha portato a un cambiamento di consapevolezza. È ormai evidente a tutti che la pubblica amministrazione non tornerà indietro e non rinuncerà ai servizi più o meno gratuiti richiesti ai professionisti, anzi le esigenze in termini di dati potranno solo aumentare. Tuttavia la digitalizzazione si è dimostrata utile a recuperare efficienza all’interno degli studi e a ridurre alcuni costi. E i social media per farsi conoscere e acquistare nuova clientela (nel 2013 solo l’8% degli studi li utilizzava, oggi siamo oltre il 30%).
Al di là di questi dati ormai largamente acquisiti, stanno emergendo anche alcuni rischi legati alla trasformazione del mercato dei servizi professionali: le banche stanno proponendo alle piccole e medie imprese servizi di fatturazione e tenuta della contabilità, mettendosi in concorrenza diretta con la fascia più bassa della professione contabile. Per sopravvivere gli studi dovranno spostarsi verso forme di consulenza più qualificata. E in questo senso l’informatizzazione può diventare un alleato indispensabile. Il professionista dovrà necessariamente trasformarsi in un hub digitale per le Pmi e i lavoratori autonomi che non hanno né il tempo né le capacità per adeguarsi alle nuove esigenze: per esempio, la fattura elettronica è per un idraulico così problematica che per evitarla sarà disposto a rinunciare al lavoro richiesto dalla pubblica amministrazione, ma le cose cambiano se è il commercialista a gestire l’adempimento; altro esempio, il software per la contabilità della Pmi può essere acquistato dal professionista che lo mette a disposizione di tutti i propri clienti realizzando così risparmi di tempo e di costi per tutti; l’utilizzo di sistemi in cloud può rendere più veloci ed economiche le attività di conservazione delle fatture e di revisione contabile, può consentire di lavorare anche fuori dallo studio, ridurre i costi di software e di hardware, permettere al professionista una connessione 24/24 con i propri clienti, consentire l’offerta di servizi innovativi, limitare le esigenze di spostarsi fisicamente dallo studio per recarsi in azienda. È comunque un fatto che la parte più innovativa delle professioni sta aumentando fatturato e utili grazie alle potenzialità offerte dalla digitalizzazione dello studio. E non c’è dubbio che l’offerta di servizi innovativi alla clientela diventerà sempre più un elemento di vantaggio competitivo tra gli stessi professionisti.
Fonte: Italia-Oggi