Paolo Soro

Largo al commercialista digitale

Dalla trappola del digitale al digitale come risorsa per sviluppare nuovi business. È il percorso che un sempre crescente numero di studi professionali sta sperimentando nella propria attività quotidiana.

Secondo una recente ricerca del Politecnico di Milano su un campione significativo di dottori commercialisti, il 25% degli studi ha compreso il valore degli investimenti in tecnologie digitale e ne sta già usufruendo i benefici. Non solo. Nel 2015 la spesa per Ict è aumentata del 50% rispetto a quanto gli stessi professionisti avevano messo a preventivo solo un anno prima, arrivando a 1,1 miliardi di euro. E nel 2016 questo valore è destinato ad aumentare ancora, secondo tutte le più aggiornate indagini di mercato.

Insomma, i tempi stanno cambiando. Fino a ieri il mondo delle professioni era sostanzialmente vittima di un processo forzato di digitalizzazione imposto dalla pubblica amministrazione: trasmissione telematica delle dichiarazioni dei redditi e dei cedolini dei lavoratori, fatturazione elettronica, bilanci xbrl, processo civile telematico, hanno obbligato la gran parte degli studi professionali a dotarsi di strumenti e di competenze informatiche. Un obbligo subito tra mugugni e lamenti, aggravati dal sospetto di essere destinati a diventare servi della pubblica amministrazione. Sciocchi e malpagati, perché i clienti non sono per nulla interessati a questo sforzo di innovazione, né tantomeno disposti a sostenerne i costi.

Ma il percorso intrapreso in modo forzoso ha portato a un cambiamento di consapevolezza. È ormai evidente a tutti che la pubblica amministrazione non tornerà indietro e non rinuncerà ai servizi più o meno gratuiti richiesti ai professionisti, anzi le esigenze in termini di dati potranno solo aumentare. Tuttavia la digitalizzazione si è dimostrata utile a recuperare efficienza all’interno degli studi e a ridurre alcuni costi. E i social media per farsi conoscere e acquistare nuova clientela (nel 2013 solo l’8% degli studi li utilizzava, oggi siamo oltre il 30%).

Al di là di questi dati ormai largamente acquisiti, stanno emergendo anche alcuni rischi legati alla trasformazione del mercato dei servizi professionali: le banche stanno proponendo alle piccole e medie imprese servizi di fatturazione e tenuta della contabilità, mettendosi in concorrenza diretta con la fascia più bassa della professione contabile. Per sopravvivere gli studi dovranno spostarsi verso forme di consulenza più qualificata. E in questo senso l’informatizzazione può diventare un alleato indispensabile. Il professionista dovrà necessariamente trasformarsi in un hub digitale per le Pmi e i lavoratori autonomi che non hanno né il tempo né le capacità per adeguarsi alle nuove esigenze: per esempio, la fattura elettronica è per un idraulico così problematica che per evitarla sarà disposto a rinunciare al lavoro richiesto dalla pubblica amministrazione, ma le cose cambiano se è il commercialista a gestire l’adempimento; altro esempio, il software per la contabilità della Pmi può essere acquistato dal professionista che lo mette a disposizione di tutti i propri clienti realizzando così risparmi di tempo e di costi per tutti; l’utilizzo di sistemi in cloud può rendere più veloci ed economiche le attività di conservazione delle fatture e di revisione contabile, può consentire di lavorare anche fuori dallo studio, ridurre i costi di software e di hardware, permettere al professionista una connessione 24/24 con i propri clienti, consentire l’offerta di servizi innovativi, limitare le esigenze di spostarsi fisicamente dallo studio per recarsi in azienda. È comunque un fatto che la parte più innovativa delle professioni sta aumentando fatturato e utili grazie alle potenzialità offerte dalla digitalizzazione dello studio. E non c’è dubbio che l’offerta di servizi innovativi alla clientela diventerà sempre più un elemento di vantaggio competitivo tra gli stessi professionisti.

Fonte: Italia-Oggi

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