Paolo Soro

Web tax globale, l’ipotesi di una nuova tassazione sulle multinazionali

Tra accordi giudiziari e nuovi prelievi locali si moltiplicano le iniziative in ordine sparso. Dai fiscalisti internazionali l’ipotesi di una tassazione sulle multinazionali, non solo digitali.

Mentre in quattro Continenti - Nord America escluso per comprensibili ragioni - le amministrazioni fiscali inseguono in ordine sparso i fatturati (più che i profitti) digitali, e mentre l’Europa marcia spedita con il recupero tributario per via giudiziaria (giovedì l’accordo di Google con la Francia, guidato dal Parquet Financier sul “modello” Milano) a Londra l’International Fiscal Association ha messo a fuoco, nell’assemblea annuale, le idee più avanzate di ristrutturazione della sistema fiscale globale.

E se l’Italia una scelta di campo l’ha già fatta nelle ultime due Finanziarie (trattenuta del 3% sui fatturati ma con soglie ritagliate sugli Over The Top), con previsioni di gettito di 1,35 miliardi nel triennio, di fatto la web tax tricolore è ferma al palo dei decreti attuativi, mai attuati per scelte politiche. Altrove invece, Francia e Spagna per restare vicino a noi, la web tax è decollata sotto lo sguardo sinistro degli Usa, arrivati a minacciare sanzioni per un’imposta ritenuta unilateralmente punitiva dei Gafa (Google, Apple, Facebook, Amazon).

I fiscalisti riuniti a Londra hanno fatto il punto per cercare una sintesi utile a disinnescare conflitti di competenze, quando non diplomatici, tra l’approccio di tassare l’attività degli utenti (proposta dal Regno Unito), di puntare invece sui marketing intangibles (avanzata dagli Usa), o piuttosto sulla presenza digitale significativa, già adottata da Colombia e India. Ma oggi l’orientamento prevalente sembra mirare a una nuova modalità di tassazione di tutti i settori economici (e non solo dell’economia digitale), da applicare però solo alle multinazionali più grandi e nemmeno di tutti i settori (ad esempio gli intermediari finanziari ne resterebbero fuori).

Il diritto di uno Stato di tassare un’impresa non dipenderebbe più dalla sua presenza fisica (come nella classica definizione di stabile organizzazione), ma dal fatto che l’impresa vende prodotti o servizi in quel Paese, anche grazie ad investimenti in marketing che consentano di creare una base di clienti o utenti. I profitti nel nuovo sistema globale verrebbero allocati tra i vari Paesi partendo dal profitto realizzato a livello di gruppo; questo sarebbe poi suddiviso ricorrendo a formule matematiche o anche al notissimo transfer pricing.

Il passaggio a questa tassazione digital/globale ripropone però il tema della doppia tassazione dei profitti, della ripartizione delle perdite, dell’identificazione del soggetto tenuto al pagamento delle imposte. In questo contesto la multilateralità dell’Ocse, un po’ appannata dalle mode sovraniste non solo americana ed europee, tornerebbe in primo piano.

Nell’ulteriore step delle nuove regole la tassazione minima dei profitti d'impresa prevederebbe un’aliquota minima del reddito percepito ovunque prodotto (income inclusion rule); la possibilità per lo stato di residenza della società di passare dal metodo dell’esenzione a quello del credito d'imposta (switch over rule); il cambiamento dei trattati per permettere di tassare nello Stato della fonte i redditi non tassati nello stato di residenza (subject to tax rule); il disconoscimento della deducibilità o l’introduzione di ritenute alla fonte su pagamenti a parti correlate che non sono soggetti ad almeno un certo livello di tassazione nel paese di residenza delle parti correlate (undertaxed payment rule).

Fonte: Il Sole 24 Ore

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