C'erano una volta le liberalizzazioni. Chi non ricorda le lenzuolate del decreto Visco-Bersani dell'agosto 2006 che avevano lo scopo, neanche tanto nascosto, di disarticolare gli ordini professionali, considerati un ostacolo alla libera concorrenza? Si trattava di un provvedimento ispirato all'osservanza stretta dei dogmi dell'antitrust, ma con l'obiettivo concreto di permettere l'invasione del territorio presidiato dalle professioni a società ed enti di area confindustriale-sindacale. Ora la storia sembra essersi presa le sue rivincite, non soltanto sul fronte delle tariffe professionali, dove è ancora in corso un'aspra battaglia per superare in qualche modo il veto imposto 13 anni fa. Ma è soprattutto su quello delle esclusive che la realtà ha dimostrato di andare in direzione opposta a quella auspicata dagli ideologi del liberismo spinto.
Gli ultimi anni hanno visto, infatti, un moltiplicarsi di albi, elenchi o registri, che evidentemente rispondo all'esigenza di sempre maggiore specializzazione, tipica di una società che diventa sempre più complessa. La caratteristica fondamentale di questa moltiplicazione è che si tratta quasi sempre di cluster multiprofessionali, cioè non riservati agli iscritti a un ordine professionale ma a più ordini. Per esempio, all'Albo degli amministratori giudiziali si possono iscrivere commercialisti e avvocati; all'elenco dei gestori delle crisi aziendali, commercialisti, avvocati e consulenti del lavoro; al registro degli esperti antincendio ingegneri, geometri, architetti, periti industriali e periti agrari. Sono più di 20 gli albi multiprofessionali censiti nell'inchiesta di ItaliaOggi Sette, a pag. 43, e molte di queste realtà si sono concretizzate solo negli ultimi anni. A questi bisognerebbe aggiungere anche le specializzazioni esistenti all'interno dei diversi ordini. In alcuni casi si tratta di realtà esistenti da molto tempo, basti pensare a quelle presenti all'interno delle categorie dei medici, degli ingegneri o dei periti industriali; in altri casi si tratta di acquisizioni recenti o che stanno ancora faticosamente venendo alla luce, come è per le specializzazioni forensi o per quelle dei dottori commercialisti. È tuttavia un fenomeno che, più che essere governato o voluto da un chiaro orientamento ideologico o politico, si è imposto quasi spontaneamente in seguito alle sempre più specialistiche esigenze del mercato dei servizi professionali. Là dove una volta bastava un ragioniere, ora sono necessarie le competenze di un professionista specializzato nella materia fallimentare o nell'amministrazione giudiziale o nella revisione dei conti e così via. Dal punto di vista del professionista, quindi, la laurea e l'esame di stato spesso non sono più il punto di arrivo di un percorso di formazione, ma solo una tappa che non conclude la necessità di ulteriori scelte, formazione, spesso anche esami. Con l'ulteriore aggravante di essere obbligati a mantenere l'iscrizione in più albi, elenchi o registri, con i conseguenti oneri in termini finanziari e di impegni formativi.
È evidente che dietro il proliferare di questi albi o elenchi si muovono anche numerose lobby che cercano ciascuna di portare l'acqua al proprio mulino, spesso mettendo in dura contrapposizione tra loro i responsabili delle diverse professioni, impegnati a ritagliare competenze ed esclusive per i propri iscritti. Ma, dal punto di vista del cittadino o dell'impresa, il moltiplicarsi delle specializzazioni, esterne o interne agli ordini professionali, significa anche la possibilità di trovare sul mercato consulenti sempre più preparati per il servizio, sempre più specifico, che viene loro richiesto. Alla fine, a vincere, è sempre il mercato (quello vero, non quello idealizzato dall'antitrust e dai suoi epigoni).
Fonte: Italia Oggi