L'amministratore di società si può fare anche gratis. È inibita al fisco la possibilità di presumere che tale attività sia onerosa e quindi tassabile. Lo ha affermato la quinta sezione della Corte di cassazione con una recente sentenza (n.18643 del 13/7/2018) nella quale ha sconfessato, a distanza di ben dieci anni, quanto sostenuto dagli stessi giudici di legittimità con la sentenza n.1915 del 29 gennaio 2008. In tale contesto infatti la Cassazione non esitò, creando in effetti un certo clamore, nel confermare la legittimità dell'operato del fisco che aveva rettificato la dichiarazione dell'amministratore di una piccola srl ritenendo che la specifica attività svolta debba sempre e comunque dar luogo ad un compenso, anche in assenza di relativa appostazione in bilancio e di apposita delibera assembleare di attribuzione dello stesso.
Con apposito avviso di accertamento l'ufficio aveva rideterminato in capo al contribuente ai fini dell'irpef (e dell'Ilor essendo la controversia relativa al periodo d'imposta 1975!!) maggiori redditi di lavoro, sulla base della presunzione secondo cui le varie cariche sociali ricoperte dal contribuente in seno ad alcune società di capitali, non potessero che essere a titolo oneroso. Il contribuente impugnava l'accertamento. Dal contenzioso che ne seguiva si alternavano variegate decisioni nei tre gradi di giudizi successivamente instauratisi, commissione tributaria centrale compresa. L'ultima sentenza, favorevole al fisco, veniva impugnata di fronte alla Cassazione dagli eredi del contribuente, ormai nel frattempo deceduto.
I giudici della quinta sezione della Cassazione hanno ritenuto che le motivazioni che supportavano l'accertamento in ordine alla presunzione di onerosità della carica di amministratore, non fossero assolutamente convincenti. Secondo le tesi dell'Ufficio infatti, in parte avallate anche dalla sentenza della commissione tributaria centrale, tale onerosità della carica doveva essere presunta dalla natura di società a ristretta base azionaria delle società in cui il contribuente rivestiva all'epoca la carica di amministratore.
Secondo la sentenza in commento invece il semplice riferimento alla ristretta base azionaria delle società in esame non può essere sufficiente per sorreggere la presunzione che il contribuente avesse anche percepito compensi quale amministratore delle predette compagini e che, in caso affermativo, gli stessi fossero emolumenti ulteriori rispetto agli utili percepiti. In conclusione per i giudici della Suprema corte in materia di accertamento delle imposte sui redditi, l'amministrazione finanziaria non può pretendere, presumendone la onerosità, di assoggettare a tassazione il compenso dell'amministratore di una società in mancanza di prova contraria da parte del contribuente. L'ufficio, si legge testualmente nella sentenza in commento, non può fondare la pretesa di un maggior reddito di lavoro autonomo soltanto sulla base di una presunzione, inconferente in presenza di un diritto disponibile, quale quello dell'amministratore al compenso da parte della società. La decisione in commento è dunque di estremo interesse. Per oltre un decennio l'assunzione della carica di amministratore di società di capitali, in specie quelle di piccole se non addirittura di piccolissime dimensioni, è stata ingiustamente considerata a rischio fiscale qualora priva di un adeguato compenso. La sentenza della Suprema corte dovrebbe dunque ristabilire un clima di maggior tranquillità in tutte quelle situazioni in cui alla carica di amministratore i soci decidono di non attribuire uno specifico compenso.
Fonte: Italia Oggi